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IL CASO

Bonus, quei furbetti che imbarazzano Pd e M5S

In vista delle elezioni regionali, a Pd e Cinque Stelle potrebbe non convenire che si sappiano i nomi dei furbetti, visto che le regioni e i grandi comuni chiamati al voto il 20 e 21 settembre sono, nella maggioranza dei casi, amministrati dal centro-sinistra.

Politica 19_08_2020
Pasquale Tridico (Inps)

Lo scandalo dei furbetti del bonus, cioè di quei politici nazionali, regionali e locali che hanno spudoratamente chiesto i famosi 600 euro previsti per gli autonomi e le partite Iva durante il lockdown, sta assumendo contorni paradossali.

Coerentemente con le normative vigenti, il Garante della privacy ha autorizzato la divulgazione dei nomi dei rappresentanti del popolo che hanno fatto richiesta e hanno ottenuto il sussidio, ma il presidente Inps, Giovanni Tridico, nominato su indicazione del Movimento Cinque Stelle, fa muro. Ma come, verrebbe da dire, proprio i grillini, teorici dello streaming, della trasparenza, dell’uno vale uno ora cercano di coprire l’identità degli approfittatori che, in ambito regionale e locale, hanno predicato giustizia sociale ma poi sono stati i primi a prendere in giro l’opinione pubblica facendo inopportunamente domanda di aiuti statali non necessari?

Ancora due giorni fa l’Autorità garante della protezione dei dati personali è dovuta tornare sull’argomento ribadendo il concetto: la pubblicazione dei nomi degli eletti a livello nazionale e locale che hanno beneficiato del sussidio è lecita. «Spetta all’Inps – fa sapere il Garante - verificare la possibilità di comunicare i nomi, valutando anche la diversa posizione dei beneficiari eletti a livello nazionale e locale».

Ma, evidentemente, in vista delle elezioni regionali, a Pd e Cinque Stelle potrebbe non convenire che si sappiano i nomi dei furbetti, visto che le regioni e i grandi comuni chiamati al voto il 20 e 21 settembre sono, nella maggioranza dei casi, amministrati dal centro-sinistra. Come reagirebbero gli elettori di quelle realtà territoriali se scoprissero che proprio gli eletti nei partiti di governo hanno avuto la faccia tosta di chiedere un aiuto pensato per lavoratori autonomi costretti dal lockdown a sospendere le proprie attività senza guadagnare neppure un euro? L’omertà su questi nomi risulta, quindi, sospetta. E non si spiega perché i partiti di opposizione non stiano combattendo con determinazione questa sacrosanta battaglia per la trasparenza relativa all’utilizzo dei soldi pubblici.

Questo non significa liceità totale nella pubblicazione dell’intera lista dei beneficiari di contributi economici pubblici, in questo caso erogati a milioni di cittadini.

Nelle Linee guida fornite dal Garante della privacy alle pubbliche amministrazioni in materia di trasparenza, si prevede «l’obbligo di pubblicazione degli atti di concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati di importo superiore a mille euro», ma si puntualizza altresì che «non possono, tuttavia, essere pubblicati i dati identificativi delle persone fisiche destinatarie di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici, nonché gli elenchi dei relativi destinatari nel caso in cui, fra l’altro, “da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati” (art. 26, comma 4, d. lgs. n. 33/2013)». 

A completare la disciplina della materia ci sono anche le Linee guida dell’Anac (Autorità anti-corruzione), nelle quali si chiarisce che l’Inps, nel valutare le richieste di accesso civico ai dati dei beneficiari dei sussidi, deve tenere conto di alcuni parametri. Tra questi vi è «il ruolo ricoperto nella vita pubblica, la funzione pubblica esercitata o l’attività di pubblico interesse svolta dalla persona cui si riferiscono i predetti dati», unito alla circostanza che, nel caso dei parlamentari e, magari anche di assessori e consiglieri regionali beneficiari del bonus, la divulgazione dei loro nomi servirebbe a svelare la non sussistenza di una vera situazione di disagio economico-sociale.

La discrezionalità spetta dunque all’Inps, che deve verificare caso per caso. E quindi Tridico, per non prestare il fianco a sospetti di faziosità, dovrebbe addirittura promuovere e incentivare la divulgazione dei dati dei beneficiari del bonus. Non solo dei politici, ma anche di altri personaggi pubblici che, pur non essendo titolari di incarichi elettivi, abbiano percepito per altre vie soldi pubblici.

In particolare continua a rimanere segreto il nome di un noto conduttore televisivo che avrebbe richiesto e ottenuto il bonus dei 600 euro. Se avesse un contratto come lavoratore autonomo in Rai vorrebbe dire che percepirebbe soldi pubblici sia attraverso il canone pagato da tutti i cittadini sia come fruitore del sussidio Inps. Il che sarebbe davvero un pugno nello stomaco di migliaia di autonomi che hanno richiesto quel bonus ma che per mille ragioni non l’hanno ottenuto. Se, oltre che essere conduttore, fosse anche iscritto all’Ordine dei giornalisti, la categoria dei giornalisti non potrebbe non essere in imbarazzo. Ma perché Ordine e sindacato non chiedono quel nominativo? Proprio in una fase storica nella quale l’informazione di qualità ha spesso garantito reportage puntuali e documentati sull’andamento della pandemia, fugare ogni sospetto sulla presunta appartenenza all’Ordine dei giornalisti di quel conduttore lautamente pagato da una tv (pubblica o privata) si rivelerebbe una boccata d’ossigeno per la credibilità dei giornalisti. I giornali più giustizialisti, che per primi hanno scovato i nominativi dei tre parlamentari furbetti, dimostrino analogo amore per la verità anche se in questo caso il furbetto risultasse un iscritto al loro stesso Ordine professionale. In questo modo dimostrerebbero di sentirsi parte di una casta.