DIBATTITO
Bioetica: legge e cultura devono andare a braccetto
Le polemiche intorno al ddl sul fine vita riportano d'attualità il rapporto tra legge e cultura: la storia dimostra che l'una senza l'altra è inefficace.
Attualità
07_04_2011
Nei dibattiti bioetici – compreso quello di questi giorni relativo al disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento – nel mondo pro-life si fronteggiano spesso due impostazioni: quella di chi dice che bisogna puntare esclusivamente, o almeno principalmente, all’emanazione o all’abrogazione di certe leggi e quella di chi afferma che bisogna investire esclusivamente, o almeno principalmente, sulla cultura.
Entrambe queste prospettive hanno delle buone ragioni da esibire, ed entrambe sbagliano assolutizzandole. Infatti, leggi e cultura si influenzano reciprocamente e sono entrambe molto incisive nella determinazione dei comportamenti di massa.
Da un lato, per molti motivi, è vero che una legge contro l’aborto e l’eutanasia ha bisogno di essere supportata da una cultura pro life.
In primo luogo, se la cultura maggioritariamente prevalente contrasta con una legge quest’ultima viene trasgredita molto spesso; spesso si cerca di violarla impunemente, per esempio con aborti ed eutanasie clandestine. Viceversa, dove una legge consente pratiche malvagie ma nondimeno si diffonde con grande energia ed instancabilmente una cultura pro-life, il ricorso alle pratiche malvagie consentite dalla legge può calare drasticamente, come è avvenuto per esempio in Croazia, dove la legge sull’aborto è la stessa dal 1978, eppure dal 1985 al 2005 gli aborti sono diminuiti addirittura dell’88,5%.
In secondo luogo, se i magistrati cominciano a smantellare alcuni articoli della legge o ad interpretarli “creativamente” (cioè in modo da non dover punire l’aggiramento dei divieti) è difficile ad istanze superiori (i politici, che detengono il potere legislativo, ed altri magistrati) contrastarli, perché esse debbono andare contro l’opinione sociologicamente prevalente; anzi, in una cultura anti-life sono pochi i politici ed i magistrati che vogliono rimarginare le ferite inferte ad una legge da un giudice o rintuzzarne l’aggiramento.
In terzo luogo, se la cultura è anti-life una legge anche ottima ha davvero poche possibilità di resistere nel tempo alla volontà di smantellamento dei politici: nel corso degli anni si creano delle maggioranze, talvolta trasversali ai partiti, che cominciano a “picconare” una legge prima per edulcorarla, poi per abrogarla, prima o poi. La maggioranza parlamentare che vota una legge, infatti, non è eterna e rischia solo di cambiare in peggio se la cultura di un Paese non è pro-life.
D’altro canto, anche le leggi hanno un clamorosa incidenza sui comportamenti e sulla stessa cultura.
Sui comportamenti, perché le pene hanno un’ovvia efficacia deterrente e, come dice già Aristotele, una notevole massa di persone «ubbidisce di più alla necessità che al ragionamento, e più alle punizioni che al bello» (cioè alle esortazioni a coltivare il bene). Proviamo a depenalizzare il furto, proviamo a rimuovere l’effetto deterrente della pena, e stiamo pur certi che i furti aumenteranno clamorosamente. Similmente, gli aborti e le eutanasie clandestine ci saranno sempre (ma non certo nelle proporzioni enormemente gonfiate e menzognere di chi spaccia questo genere di dati: a titolo di esempio, clicca qui), ma saranno sempre molto meno numerosi di quelli praticati legalmente, perché il divieto di queste pratiche rende difficile trovare delle strutture o delle persone per praticarle in modo illegale. Per non dire che è diverso dover pagare l’aborto o l’eutanasia (propria o altrui) illegale coi propri soldi invece che farsela pagare dal servizio sanitario nazionale.
A chi ribatte che la presenza di una legge incrementa i comportamenti vietati per desiderio di trasgressione si potrebbe rispondere in molti modi, ma nel caso dell’aborto e dell’eutanasia non c’è bisogno, perché – tranne forse pochissimi casi – nessuno vuole la morte di qualcuno (concepito o già nato) per motivi di questo genere.
Le leggi incidono poi sulla cultura perché creano mentalità: non soltanto disciplinano le situazioni sociali, ma inoltre le modificano, hanno sulla mentalità e sul costume un forte impatto, che dipende dal messaggio che esse esprimono, dato che molto spesso il ragionamento dell’uomo medio è di stampo giuspositivista: «se un’azione è legale allora è anche morale» (quando invece una legge, pur emanata con tutti i crismi e rispettando tutte le procedure, può essere gravemente ingiusta: cfr., per esempio, appunto, una legge che depenalizza aborto ed eutanasia, come anche una legge che prescrive l’eliminazione degli ebrei, dei non comunisti, ecc.). Al riguardo, è istruttivo confrontare la ex DDR (Repubblica Democratica Tedesca) e la ex BRD (Repubblica Federale Tedesca). In Germania Est l’aborto era permesso e finanziato dallo Stato, mentre in Germania Ovest era sì in vigore una legge che lo vietava (salvo alcuni casi), ma l’effetto incriminante della norma era minimo, ovvero non c’erano quasi procedimenti penali e condanne. Però l’influenza culturale di questa norma era enorme: la percentuale del numero degli aborti della Germania Est era tre volte maggiore rispetto alla percentuale degli aborti in Germania Ovest, dove i cittadini erano generalmente convinti che un’azione è moralmente negativa se un legislatore l’ha dichiarata punibile (il caso è analizzato in M. Karle, Influsso della legislazione sulla coscienza dei cittadini, in AA. VV., I cattolici e la società pluralista, ESD 1996, pp. 91-92).
Un altro esempio è il divorzio breve introdotto da Zapatero nel 2005 in Spagna, dove è avvenuto un aumento clamoroso dei divorzi: erano già saliti del 74,3 % nel 2006, e sono ulteriormente cresciuti del 140 % nel 2008 (da quell’anno c’è poi stato un calo, ma purtroppo dovuto in gran parte dei casi solo alla diminuzione previa dei matrimoni nonché alla crisi immobiliare ed economica, che ha reso difficile ai coniugi la vendita della casa comune e l’acquisto di abitazioni separate). Questo aumento si può spiegare correlandolo sia alla riduzione del tempo del ripensamento, sia – e soprattutto – alla concezione di matrimonio che lo Stato diffonde con leggi simili, una concezione banalizzante (che sia consapevole o meno), quella di un rapporto temporaneo e provvisorio, legato esclusivamente alla volontà reciproca di coltivarlo, tanto è vero che è possibile interromperlo dopo breve tempo: dunque un rapporto per il quale non sono necessari né un’accurata preparazione precedente, né un impegno quotidiano dopo la sua celebrazione, perché tanto si può rapidamente ricominciare da capo.
Insomma, le leggi e la cultura pro-life devono reciprocamente sorreggersi.