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LA FABBRICA DEI BAMBINI

Bimbo in due uteri: il dolore di chi nasce così

Diciotto ore nell'utero di una, facendo proseguire la gravidanza nell'utero dell'altra. Così a una coppia di donne è stata offerta l'apparenza di una gravidanza condivisa. Un'altra frontiera della bioetica abbattuta. Ma nessuno ascolta il dolore dei figli privati di un padre, comprati con l'ovodonazione, cresciuti da due donne. Eppure le testimonianze non mancano....

Editoriali 09_12_2019

Mentre sempre più figli della fecondazione in vitro gridano contro l’ingiustizia di essere stati concepiti e mercificati per soddisfare il desiderio degli adulti che li hanno prodotti, l’industria inglese della fecondazione artificiale applaude al progresso che avanza a discapito dei più piccoli.

Una coppia di donne (clicca qui) ha appena celebrato la nascita del piccolo Otis, fecondato con lo spermatozoo di un uomo e con l’ovulo di una delle due, ma portato in grembo da entrambe. Proprio così: pur di assecondare anche il sogno, che mai si realizzerà, di essere entrambe le madri del bambino, la London Women’s Clinic ha impiantato l’embrione per 18 ore nell’utero di una, facendo proseguire la gravidanza in quello della seconda.
Jasmine, 28 anni, ha ringraziato così: «La procedura ha davvero fatto sentire me e Donna (30 anni, ndr) uguali in tutto il processo e ci ha unite di più sentimentalmente… se dovessimo ripetere il processo non cambieremmo nulla».
Insomma, ogni pretesa deve diventare un’ordine per gli scienziati che non si preoccupano delle conseguenze che le loro chimere possono avere su chi non ha ancora la capacità di difendere i propri diritti. Anzi, come ha spiegato Donna, «ci sono molte coppie dello stesso sesso in cui una persona fa tutto da sola, quella persona rimane incinta e partorisce, mentre così siamo coinvolte entrambe al massimo… ciò aiuterà le persone in futuro».

Ma quali persone aiuterà? Basterebbe usare un minimo di buon senso per capire quanti diritti del concepito sono lesi (privato di un padre, cresciuto da due donne, comprato con l’ovo-donazione, voluto per soddisfare un desiderio di maternità doppia in contrasto con la natura) e quindi il dolore e gli scompensi che avrà questo bambino. Ma siccome nessuno pensa più a cosa significhi permettere che i piccoli siano fabbricati in laboratorio (embrioni persi, embrioni congelati, embrioni scartati, embrioni venduti alla ricerca, embrioni senza un genitore, embrioni venduti e comprati ad altre coppie…) credendo alla favola del “come sei stato voluto”, come se l’erba voglio fosse sinonimo di amore, forse può aiutare leggere l’urlo dei concepiti in vitro con donazione di gameti.
Come in questo caso (infatti, Otis ha un padre anche se non si sa chi è mentre la sua madre biologica, nonostante l’azzardo di laboratorio, è solo una delle due).

A raccontare di loro è stata sul The Federalist Katy Faust, cresciuta con due donne e per questo contraria sia alle unioni fra persone dello stesso sesso sia alla crescita di bambini da parte loro. Faust chiarisce innanzitutto che «quando i bambini vengono fatti in laboratorio, si considera solo ciò che gli adulti vogliono, non i diritti o le esigenze dei bambini. Quindi il "successo" è misurato dal fatto che gli adulti siano felici o tristi, indipendentemente dal fatto che i bambini tornino a casa con i loro genitori biologici».
E in effetti è quantomeno ipocrita che Donna abbia dichiarato al The Telegraph che «Jasmine dice che lui (Otis, ndr) sarà un astronauta ma può essere ciò che vuole, lo sosterremmo riguardo a qualsiasi cosa voglia». Almeno finché ciò non sia in contrasto con la volontà delle due donne che infatti non si sono chieste se il bimbo voleva crescere o meno con un padre.

Jessika Kern, oggi adulta, concepita in laboratorio tramite lo sperma di un anonimo, spiega che «non sarei sorpresa se un bambino (concepito con eterologa, ndr) si sentisse mercificato quando raggiunge l'età per capirlo». Anche Alana Newman, figlia della donazione di gameti, ha chiarito che dovendo essere grato a chi lo ha prodotto, un «bambino potrebbe facilmente sentirsi come se non gli fosse permesso di far emergere i propri dolori e le proprie sofferenze riguardo al proprio concepimento». È chiaro infatti che chi nasce naturalmente sa che, se i suoi genitori si sono aperti alla vita, non è per loro diretta volontà che sono stati concepiti, venendo al mondo in un momento non determinato da loro e tramite una selezione non umana di migliaia di spermatozoi. Sapendo quindi di non essere il prodotto della sola volontà dei suoi genitori, ma di essere stato voluto da altro (chiamalo Dio o chiamalo caso). Il che sgancia il figlio dal pensiero di doversi sentire eternamente in debito ai genitori. 

Ecco perché, ha continuato Gregory Loy, questi bambini sono ricattati perché «crescono senza legami con i loro parenti biologici», per cui «dovrebbero semplicemente stare fermi e sentirsi bene perché “qualcuno” li voleva. Anche se insieme a questa affermazione, devono digerire l'idea che qualcun altro, i loro veri genitori, non li volevano». Elly ha aggiunto che «come persona concepita da un donatore, ho difficoltà a far fronte al fatto che mio padre biologico mi abbia data via, perché mi sembra un abbandono… e ho ancora più problemi a riconciliarmi con il fatto che pensava che darmi via fosse una cosa carina».

Le storie di queste persone sono drammaticamente descritte sul sito Them Before Us https://thembeforeus.com. Jay, 15 anni, ha raccontato qui il dramma di essere stato concepito con la donazione di sperma e cresciuto da sua madre e la sua compagna, esattamente come accadrà ad Otis: «Ho due genitori lesbiche e molto probabilmente un fratello minore gay che odio. Tutto quello che fanno è parlare della comunità lgbtqu che mi fa arrabbiare… Amo i miei nonni, sono più come fossero i miei genitori ma non è come per tutti gli altri. Sono così geloso che i miei amici abbiano una vita perfetta… vorrei solo poter conoscere mio padre e far sparire la depressione che ho ogni giorno». 

Ma, si sa, piuttosto che riportare queste scomode parole i grandi giornali preferiscono festeggiare con tanto di foto (che solo agli occhi assuefatti dall’ideologia non appaiono violente) due donne sorridenti con in braccio un neonato privato volutamente della figura paterna.