Bielorussia: Lukashenko perde il consenso della base
Bielorussia: per Lukashenko potrebbe essere giunto il "momento Ceausescu": quando il leader comunista raduna una folla che dovrebbe osannarlo e invece viene dalla stessa fischiato. La protesta dilaga e coinvolge anche settori dello Stato post-comunista
Per Aleksandr Lukashenko, il contestato presidente della Bielorussia, potrebbe essere arrivato il “momento Ceausescu”. Nel dicembre 1989, il dittatore comunista della Romania, quando radunò la piazza per farsi applaudire e smentire l’odio crescente nei suoi confronti, venne invece duramente contestato e apertamente fischiato. Qualcosa di simile è accaduto ieri anche in Bielorussia, dove il presidente Lukashenko, un nostalgico dichiarato dell'Urss, ha tenuto un comizio in una fabbrica statale di trattori, simbolo dell’economia socialista del suo Paese. La reazione degli operai, anche in questo caso, è stata sorprendente: fischi e slogan scanditi “vattene! vattene!”.
Come era ampiamente prevedibile, la protesta in Bielorussia sta montando. L’innesco è stato l’arresto di tutti i leader dell’opposizione ancora prima del voto. I risultati elettorali, che avrebbero dato un 80% al presidente in carica (secondo fonti dell’opposizione, invece, il 70% sarebbe andato alla sua rivale Svetlana Tikhanovskaja, ora in esilio in Lituania) hanno fatto scoppiare le prime manifestazioni, alimentate soprattutto da studenti e giovani attivisti democratici. A queste prime manifestazioni la risposta della polizia anti-sommossa (che ha ancora il nome sovietico di Omon) e dei corpi speciali (Spetsnatz) è stata rapida e brutale. I morti sono almeno due, centinaia i feriti e circa 7mila arrestati. Sul primo caduto, Aleksandr Tarajkovskij, un manifestante, inizialmente si diceva fosse morto dell’esplosione della sua stessa bomba molotov. Ma video successivamente emersi provano che sia stato ucciso dalla polizia e che fosse disarmato. Un secondo studente, Alaksadr Vikhor, è morto in carcere in seguito alle percosse ricevute dagli agenti. A quanto risulta, non è stato arrestato nel corso di una manifestazione: secondo i parenti della vittima, sarebbe stato fermato mentre si recava dalla sua fidanzata. Fra i quasi 7mila arrestati, quelli rilasciati stanno iniziando a diffondere notizie sul trattamento riservato ai prigionieri, fra percosse e torture vere e proprie.
Dopo sette giorni di manifestazioni e repressione, questo clima di terrore si è trasformato in odio nei confronti del presidente e del suo regime post-sovietico. Anche vistosi pezzi di Stato stanno passando dalla parte dei manifestanti: l’ambasciatore bielorusso in Slovacchia si è detto “dalla parte del popolo, che è il fondamento del potere secondo la nostra costituzione” e ha di fatto disconosciuto il presidente. L’orchestra sinfonica di Minsk, lungi dal suonare per il presidente, tiene concerti in piazza in solidarietà dei manifestanti. Persino giornalisti e operatori della Tv di Stato hanno “disertato” e sono scesi in piazza dalla parte dei manifestanti. La protesta ora dilaga nelle fabbriche e l'opposizione ha proclamato uno sciopero generale. Domenica, a Minsk, gli oppositori hanno riempito la centrale piazza sede del mausoleo agli Eroi sovietici. Le foto dimostrano che fossero circa 150-200mila, più del doppio di quanto dichiarato dalle fonti governative. La manifestazione a favore di Lukashenko è stata popolata da circa un decimo dei partecipanti, portati con bus di Stato soprattutto dalle cooperative agricole e dalle aziende pubbliche.
Oltre alle minacce, Lukashenko ricorre alle blandizie: ha promesso di indire un referendum costituzionale per conferire maggiori poteri al parlamento. E ha scarcerato già numerosi prigionieri ("quasi tutti", secondo le autorità) arrestati nel corso delle proteste. La contro-mossa presidenziale appare, però, troppo tardiva e limitata per calmare la piazza. Dalla Lituania, la Tikhanovskaja ha lanciato l'appello per nuove elezioni e liberazione di tutti i prigionieri politici. Dopo la sua apparente resa della settimana scorsa, all'indomani del voto e dell'esilio, ora la leader dell'opposizione si è detta pronta a guidare il Paese in un governo ad interim. Probabilmente si sente maggiormente protetta nel Paese che la ospita o forse ha ricevuto appoggi politici da Paesi europei, anche se, ufficialmente, l'Ue sta facendo molto poco: solo mercoledì (domani, per chi legge) si deciderà se applicare nuove sanzioni alla Bielorussia, dopo quelle, ad personam, decise venerdì. Reazione ancora più astratta da parte degli Usa, che, dopo aver contestato la validità del voto, deplorano la "situazione tragica".
La posizione dei cristiani bielorussi (ortodossi, cattolici e protestanti) è chiara: pregare per la pace. Anche prima dell’appello alla pace e al dialogo di Papa Francesco, rappresentanze di cattolici, ortodossi e protestanti si sono radunate il 13 agosto accanto alla cattedrale cattolica della Vergine Maria per recitare assieme il Padre Nostro, poi si sono recati in processione alla chiesa ortodossa dello Spirito Santo dove si è tenuta una celebrazione per la pace. Si è trattato di una preghiera ai limiti del dissenso, specie per gli ortodossi, il cui esarcato ha invitato tutto il clero a non partecipare ad alcuna manifestazione, neppure quelle dei propri fedeli.
La prima persona a cui il Lukashenko si è rivolto per chiedere aiuto è Vladimir Putin. La Bielorussia è da sempre il “miglior alleato della Russia”, anche se, con una mossa elettorale a sorpresa, durante la campagna il presidente bielorusso aveva accusato la Russia di preparare ingerenze, anche con l’uso di mercenari. Adesso, con un’ennesima svolta a U, è lui stesso che chiede l’intervento russo per stabilizzare la situazione. Mosca accusa la Nato di concentrare forze ai confini dello Stato alleato (cosa che l'Alleanza smentisce fermamente) e Putin dichiara di essere pronto ad intervenire in caso di ingerenze. L'esercito di Minsk ha avviato manovre militari ai confini della Lituania. Secondo fonti bielorusse e giornalisti indipendenti, truppe russe senza insegne e mostrine sarebbero già entrate in Bielorussia, seguendo un copione già visto in altri Stati ex sovietici. Si prepara un intervento russo? Una riedizione della “dottrina Brezhnev” (quella che giustificò l’intervento sovietico a Praga) in era post-comunista? Nel caso si materializzasse questo timore, la crisi diverrebbe internazionale e sarebbe incandescente, soprattutto considerando la vicinanza territoriale di Paesi Nato, quali la Lituania e la Polonia, che sostengono apertamente la causa della protesta.