Bielorussia: la rivolta contro Lukashenko è cattolica e popolare
"La Chiesa cattolica è oggi il fulcro della rivolta. Oggi non si può praticamente essere bielorussi cattolici senza essere in piazza contro Lukashenko". Lo spiega alla NBQ il giornalista Dario Fertilio in giorni in cui la chiesa è attaccata dalla repressione.
Non cessano le proteste contro l’esito delle ultime elezioni in Bielorussia, che hanno confermato per la sesta volta il presidente in carica Aleksandr Lukashenko. Anche domenica scorsa, sfidando una polizia anti-sommossa sempre più violenta (sono ormai migliaia le denunce di tortura fra gli arrestati), gli oppositori hanno riempito la piazza di Minsk con almeno 150mila manifestanti.
Giovedì sera la polizia ha coinvolto direttamente i cattolici. In piazza dell’Indipendenza, un gruppo di una ventina di persone, per lo più giornalisti, era sul sagrato della chiesa dei santi Simone ed Elena, a Minsk, per assistere all’ultima manifestazione. La polizia è intervenuta duramente disperdendo il corteo, poi ha attaccato gli spettatori, che hanno cercato rifugio in chiesa, mentre veniva celebrata la Messa. Gli Omon (agenti anti-sommossa) hanno a questo punto sigillato tutte le porte ed hanno “arrestato” tutti quelli che erano dentro, fedeli, giornalisti e manifestanti, per una quarantina di minuti, mentre il grosso degli Omon disperdeva il corteo. La reazione dei vescovi bielorussi è stata particolarmente dura e non si è fatta attendere. “Azioni inammissibili e illegali. La chiesa è un santuario di Dio, che può essere liberamente visitato da tutti”, ha dichiarato il vicario generale dell’arcidiocesi di Minsk-Mogilev, mons. Yuri Kasabutsky. “Bloccare l’ingresso e l’uscita delle persone contraddice il diritto dei cittadini alla libertà di coscienza e di religione garantito dalla Costituzione della Repubblica di Bielorussia, insulta i sentimenti dei credenti e va oltre le leggi dell’uomo e di Dio”.
Attualmente, i cattolici bielorussi, una minoranza rispetto ad una maggioranza ortodossa e ad un 40% di atei e irreligiosi, stanno quasi tutti manifestando contro Lukashenko, che ha formato il suo regime post-sovietico, in perfetta continuità con l’Urss. Ce lo conferma il giornalista e scrittore Dario Fertilio, grande conoscitore dello spazio ex sovietico e in contatto da un trentennio anche con i dissidenti bielorussi, sia quelli fuggiti in Italia che quelli rimasti in patria.
Che ruolo hanno le chiese bielorusse in questa rivolta di piazza?
Il risveglio religioso è iniziato già con il crollo dell’Urss, tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90. Però dobbiamo considerare che le Chiese bielorusse sono soprattutto due, quella ortodossa e quella cattolica. Quella cattolica è oggi il fulcro della rivolta. Oggi non si può praticamente essere bielorussi cattolici senza essere in piazza contro Lukashenko. E questo soprattutto per i legami storici che la chiesa bielorussa ha con quella polacca. La Chiesa ortodossa non è in prima linea, ma forse qualcosa bolle in pentola, come nella chiesa ortodossa dell’Ucraina che ora si è separata dal Patriarcato di Mosca.
Si dice che questa rivolta sia un secondo Maidan, come la rivoluzione in Ucraina del 2013-2014…
“La rivolta popolare bielorussa è più simile alla Rivoluzione Arancione ucraina del 2004 e non alla Rivoluzione del Maidan del 2013-2014, che aveva caratteristiche molto più politiche, in un secondo momento anche militari. Quella in Bielorussia è un moto di indignazione contro i brogli elettorali, interno al sistema politico bielorusso. Mira al ristabilimento della verità. Non c’è una presa di posizione rivoluzionaria, politica. Solo la richiesta di ripristinare la legalità. L’indignazione coinvolge tutti i bielorussi, a prescindere dall’ideologia, con l’eccezione delle persone direttamente legate al regime. E questo secondo gruppo è costituito da un complesso agglomerato di interessi e ideologie che fa capo a Lukashenko: l’élite del suo regime, gli uomini di Putin che controllano molti aspetti dell’economia bielorussa e tutti coloro che condividono l’ideologia nazional-comunista, che accomuna Lukashenko a Putin, così come in passato era sostenuta da Yanukovych in Ucraina e Milosevic in Jugoslavia.
Quali caratteristiche ha il nazional-comunismo?
E’ la più potente ideologia del mondo post-sovietico e unisce aspetti di nazionalismo come il culto del sangue e della terra, con aspetti economici del comunismo sovietico. Il culto del sangue e della terra definisce l’identità. Ad esempio Putin ritiene che ovunque vi sia sangue russo, ivi è la Russia. Anche nel caso della Bielorussia, costumi, lingua, sangue e terra sono considerati gli elementi che definiscono l’identità. Lukashenko non aveva neppure remore ad elogiare Hitler, ci sono registrazioni che lo dimostrano, in cui affermava che il dittatore tedesco fosse comunque un uomo d’ordine che difendeva la sua nazione. La tradizione comunista sovietica, invece, caratterizza l’economia bielorussa. Lukashenko si è formato come dirigente nelle fattorie collettive, i kolkhoz. Quelli che dominano nel suo regime, poi, sono soprattutto i siloviki, gli uomini che nell’ex Unione Sovietica erano nei quadri dei servizi segreti e della polizia, tutto quel che serviva al mantenimento dell’ordine interno. Il terzo elemento del nazional-comunismo è poi la mobilitazione permanente delle masse. E generalmente si parla di masse o nostalgiche dell’Urss o impregnate di spirito nazionalista. Nel Donbass, nelle repubbliche separatiste sostenute dalla Russia, noi vediamo molto bene queste masse mobilitate, costituite da minatori, disoccupati, nostalgici dell’Urss, comunisti di nuova data o uomini dei servizi segreti e militari. In Bielorussia la composizione di queste masse è molto simile, come si vede nelle manifestazioni organizzate dal regime di Lukashenko, nel tentativo di contrastare la rivolta di piazza.
Per quanto riguarda la Bielorussia come è possibile parlare di nazionalismo? La Bielorussia pare sempre in procinto di fondersi con la Russia.
Fra Russia e Bielorussia c’è sempre stato un rapporto ambiguo. Cittadini bielorussi sono stati storicamente molto importanti nella storia sovietica, incluso Djerdjinskij, il fondatore della Ceka, antenata del Kgb. La Russia si considera, sia in era sovietica che post-sovietica, come il “grande fratello” che protegge il “piccolo”. Lukashenko ha simbolicamente sposato il legame post-sovietico con la Russia adottando quella che era la bandiera della Repubblica Socialista Sovietica della Bielorussia, rossa con una fascia verde. Mentre, come si vede da tutte le immagini della protesta, gli oppositori hanno adottato la bandiera bianca-rossa e si identificano con i dissidenti che si batterono contro la dominazione sovietica. Hanno come punto di riferimento il poeta Janka Kupala, un autore di culto e di testo, studiato anche durante l’era sovietica, benché tutti i suoi scritti patriottici fossero censurati. La classe intellettuale nazionale bielorussa è quasi tutta in esilio, soprattutto in Lituania, dove ha trovato asilo anche la leader dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaja. Le radici bielorusse si stanno risvegliando nella nuova generazione che, come molto spesso accade, vuol ricordare ciò che i padri hanno dovuto dimenticare.