Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
USA

Biden, troppo smemorato per essere processato. Però governa

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il presidente Joe Biden è troppo anziano per ricordare di aver conservato in casa sua documenti presi dagli Archivi Nazionali. Lo dice il rapporto del procuratore che getta nuove ombre sulla sua salute mentale.

Esteri 10_02_2024
Joe Biden (La Presse)

Il presidente Joe Biden è troppo anziano per ricordare di aver conservato in casa sua documenti presi dagli Archivi Nazionali, dopo aver concluso il suo mandato da vicepresidente. La giuria, in un eventuale processo, lo vedrebbe come un anziano di buona volontà ma dalla memoria incerta. Ma è dunque in grado di governare? Il rapporto di quasi 350 pagine, redatto dal procuratore Robert Hur, libera il presidente dall’inchiesta sui documenti illegalmente detenuti. Ma lo condanna politicamente.

Per Biden, la buona notizia, quella di non essere più indagato, è ormai molto meno importante della cattiva. Nella conferenza stampa che ha tenuto immediatamente dopo la pubblicazione del rapporto, è apparso visibilmente indignato e sorpreso dai contenuti del documento. Ma, come nelle commedie più crudeli, ha confuso Egitto con Messico, affermando che al Sisi è il presidente messicano. E ha involontariamente confermato i sospetti di chi, da almeno quattro anni, si pone domande sulla sua salute mentale. Il rapporto Hur, infatti, giunge come una conferma di quel che è sotto gli occhi di tutti, ma che solo pochi vogliono dire, lasciando le critiche alla destra più disinvolta e ai discorsi da campagna elettorale dei candidati repubblicani.

Le prime risposte della Casa Bianca, sono del tenore: “tutti fanno gaffe”, il procuratore Hur “non ha competenze mediche per valutare la salute mentale del presidente” e “il rapporto è politicamente motivato” e si chiede anche di riscriverlo. I portavoce sottolineano anche che il rapporto omette le circostanze degli interrogatori: subito dopo l’attacco di Hamas a Israele, in un momento di grande confusione e stress.    

Le conferme a questi sospetti, nel rapporto di Hur sono in ben quattro passaggi. «La memoria di Biden era limitata sia durante i lavori per il suo libro nel 2017 che durante i colloqui per l’indagine nel 2023», si legge a pagina 9. «La memoria di Biden sembra avere limiti significativi [...] non ricordava quando era vicepresidente, dimenticando nel corso dei colloqui quando era finito il suo mandato (“…se era il 2013? Quando ho smesso di essere vicepresidente”) e ancora dimenticando l’inizio del suo mandato come vice (“Nel 2009 ero ancora vice presidente?”)», si legge a pagina 208. «[Biden] non ricordava, nemmeno dopo diversi anni, quando fosse morto suo figlio Beau», si legge alla stessa pagina 208. E infine: «Per i giurati gli errori di febbraio e aprile sembrano legati alle diminuite facoltà mentali e alla memoria difettosa», si legge a pagina 247. Il quadro che emerge è molto peggiore delle “gaffe” (così vengono chiamate da una stampa amica o cordiale) di volta in volta registrate nelle conferenze stampa del presidente.

Ci si spiega meglio perché il presidente, in un discorso elettorale a Las Vegas, abbia dichiarato di aver parlato con il presidente francese François Mitterrand, al G7 del 2021, invece che con Emmanuel Macron. E perché, nella stessa settimana, in un altro discorso elettorale, stavolta a New York, abbia detto di aver parlato nello stesso G7 con Helmuth Kohl, invece che con Angela Merkel. Due morti che parlano allo stesso G7 e nella stessa settimana, sono un po’ troppi per non essere notati, anche dalla stampa amica. Subito dopo, in compenso, si è dimenticato il nome di Hamas.

Ci si spiega meglio anche perché sia apparso “stanco e confuso” nella conferenza stampa tenuta durante il suo viaggio di Stato in Vietnam, quel «non so voi, ma io vado a letto», detto dal palco ai giornalisti, inducendo la portavoce, Karine Jean Pierre, a chiudere “lo show” con largo anticipo. O il discorso al Global Fund, dove lo si vede palesemente in preda alla confusione, rimanere sul palco dopo aver finito di parlare senza saper dove andare. O quando, leggendo un importante discorso sul suo ordine esecutivo a sostegno dell’aborto, ha pronunciato pure “fine della citazione, ripeti la frase”, confondendo gli appunti con il testo. Ci si spiega le mani tese per stringere quelle di persone che non ci sono. E le numerose scivolate e cadute, sulla scaletta dell’Air Force One, sul podio durante le cerimonie e anche dalla bicicletta.

Già nella campagna elettorale del 2020 incidenti di questo tipo erano stati talmente tanti e così involontariamente comici da sollevare dubbi sulla sua reale candidatura. Secondo una teoria cospirativa, in voga durante e dopo le elezioni, al presidente sarebbe subentrata la sua vice, Kamala Harris, già nel corso del suo mandato. Biden avrebbe fatto da apri-pista, ma i Democratici avrebbero subito avuto la loro prima presidente donna. Peccato però che Kamala Harris si sia rivelata da subito una vicepresidente inadeguata al ruolo (soprattutto incline a ridere nei momenti peggiori), crollata ben presto nei sondaggi e pressoché sparita dai media.

Indubbiamente, anche se non lo dicono, i Democratici si staranno interrogando sul da farsi. Mancano ancora quasi nove mesi alle elezioni di novembre, ma il candidato alla rielezione appare già da ora un’anatra zoppa. Però la domanda che dovrebbero porsi è molto più grave. È veramente capace di governare, in un periodo di quasi-guerra? Oltre alle scene riprese dalle televisioni, ci sono momenti misteriosi della presidenza Biden che non trovano risposta. Come il presidente ha gestito realmente la ritirata dall’Afghanistan, nell’estate del 2021? Nello stesso rapporto Hur si afferma che il comandante in capo abbia fatto molta confusione nel raccontarlo, dimostrando poca memoria su nomi, circostanze e dialoghi. La ritirata in piena estate, mentre l’offensiva dei Talebani era in corso, era stata sconsigliata dai militari prima e dal Dipartimento di Stato poi. Ma il presidente ha tirato dritto, senza alcuna apparente razionalità, se non una presa di posizione per principio. All’inizio di quest’anno, in piena crisi del Mar Rosso, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin è stato ricoverato per un tumore e il presidente non è neppure stato informato della sua assenza. Il ministro ha assunto su di sé tutte le responsabilità ed è stato perdonato. Ma se fosse una prassi, ormai, quella di non informare il presidente di tutto quel che avviene nel governo?

I dubbi sulla salute mentale di Biden non sono solo un problema elettorale per i Democratici. Sono un dilemma per tutto il mondo: chi sta guidando la prima potenza mondiale, in un momento così delicato?