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MEDIO ORIENTE

Biden striglia Netanyahu. Alleati, ma con opposti interessi

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Nella sua telefonata a Netanyahu, Biden ha dichiarato che Israele sta perdendo il consenso internazionale. Ma è la politica interna che preme sul presidente Usa. 

Esteri 14_12_2023
Joe Biden e Benjamin Netanyahu (La Presse)

Alleati “di ferro” ma con precise e stringenti esigenze e priorità politiche diverse che stanno determinando un clima di crescente tensione tra Stati Uniti e Israele.

Benjamin Netanyahu non può accettare ulteriori pause nei combattimenti nella Striscia di Gaza perché dopo l’attacco al territorio israeliano del 7 ottobre ha assunto l’impegno, prioritario anche per la sua sopravvivenza politica, oltre che per la sicurezza di Israele, di schiacciare militarmente Hamas e le altre milizie palestinesi presenti nella Striscia. Per farlo questa volta deve andare fino in fondo (a differenze delle altre operazioni a Gaza che negli anni scorsi hanno visto le truppe israeliane fermarsi sotto le pressioni della comunità internazionale), eliminando i miliziani e i loro capi o costringendoli a lasciare la Striscia di Gaza dopo aver gettato le armi. Priorità che cozzano con le richieste che, da tutto il mondo, invocano un cessate il fuoco umanitario e che rischiano di isolare Israele, ma anche gli Stati Uniti che hanno posto il veto la scorsa settimana alla risoluzione promossa all’Onu, dal mondo arabo, che chiedeva una sospensione delle ostilità. 

Anche per questo Joe Biden è stato costretto a dure dichiarazioni nei confronti di Israele, chiedendo un cambio di atteggiamento al governo di Netanyahu e parlando per la prima volta di “bombardamenti indiscriminati”. Una presa di distanze “tattica”, imposta in realtà da ragioni elettorali e di politica interna, in seguito alle continue contestazioni che Biden riceve ad ogni appuntamento elettorale da parte di ampie fette del suo elettorato ed in particolare tra i giovani del Partito Democratico.

In Colorado, Massachusetts, Nevada, California, Pennsylvania e persino alla Casa Bianca, Biden ha dovuto fare i conti con cori e cartelli di protesta, ricorda oggi The Hill. Il conflitto a Gaza, al pari di quello in Ucraina, sta indebolendo Biden (già ai minimi storici di popolarità e da molti considerato non più all’altezza di guidare la Casa Bianca per ragioni di salute) e il suo partito. Per invertire la tendenza ora il presidente parla sempre più spesso della necessità di proteggere i civili palestinesi, di attuare nuove tregue per cercare di far liberare i 138 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas contestando il rifiuto del governo israeliano di riconsegnare a un’autorità palestinese la Striscia di Gaza, una volta terminato il conflitto, in base al principio dei due Stati.

Il confronto si fonda quindi su esigenze diametralmente opposte tra Washington e Gerusalemme, aggravate dalla risoluzione non vincolante dell'Assemblea generale dell’Onu presentata da Egitto e Mauritania e votata ieri sul cessate il fuoco che ha visto 153 voti a favore, 10 contrari e 23 astenuti. Risoluzione accolta con favore da Hamas.

Sul campo di battaglia Israele continua ad avanzare nella Striscia dove finora le fonti palestinesi lamentano 18.608 morti e 50.594 feriti mentre Israele dal 27 ottobre ha registrato 115 soldati caduti in battaglia nelle strade di Gaza: dal 7 ottobre invece i militari israeliani morti sono 444, per tre quarti uccisi nell’attacco palestinese del 7 ottobre che ha determinato in totale circa 1.200 vittime israeliane.   

Le truppe israeliane hanno iniziato ad allagare i tunnel di Hamas con acqua di mare nonostante sia possibile che all’interno si trovino anche molti ostaggi per il cui rilascio Israele e Hamas sono lontani dal raggiungere un nuovo accordo. «Attualmente non ci sono trattative in corso. Ci sono colloqui preliminari volti a valutare se entrambe le parti sono disposte a discutere termini per un nuovo accordo», ha specificato una fonte.

Hamas ha inoltre evocato un’insurrezione anche in Cisgiordania dove secondo un sondaggio condotto dal Palestinian Center for Policy and Survey Research tra il 22 novembre ed il 2 dicembre su un campione di 1.231 persone intervistate nei territori palestinesi il movimento Hamas ha quadruplicato i consensi, dal 12% al 44% in tre mesi mentre a Gaza è salito di solo quattro punti, dal 38% al 42%.

Il 57% degli intervistati a Gaza e l'82% in Cisgiordania approvano il massacro eseguito da Hamas in Israele il 7 ottobre e solo il 10% ritiene che i miliziani abbiano commesso crimini di guerra. Crolla invece il consenso dell'Autorità Nazionale Palestinese con quasi il 60% degli intervistati che ne auspica lo scioglimento mentre l'88% auspica che il suo leader, Abu Abbas, sui dimetta.

Questo contesto, che vede gli Stati Uniti sempre più isolati e l’ipotesi dei “due Stati” sempre meno perseguibile, sembra creare i presupposti per una soluzione negoziata che, una volta sconfitto Hamas, veda protagoniste nazioni che in questi oltre due mesi di guerra hanno assunto posizioni meno schierate quali Cina, Russia e Turchia. Non a caso negli ultimi giorni Vladimir Putin si è recato in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti (non solo per discutere di petrolio) e ha parlato per quasi un’ora al telefono con Netanyahu.

Ieri la Russia ha chiesto all'Onu la convocazione di una conferenza internazionale su Gaza. «L'unico modo per risolvere in modo giusto e per sempre questo problema è organizzare una conferenza internazionale a cui, ovviamente, partecipino tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu, Usa, Russia, Cina, Francia e Regno Unito», ha detto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Dovrebbero partecipare anche i Paesi della Lega Araba, l'Organizzazione per la cooperazione islamica e il Consiglio di cooperazione del Golfo, riporta l'agenzia russa Tass. «Spero il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, sia in grado di lanciare questa iniziativa», ha affermato Lavrov, avvertendo del rischio di «alimentare sentimenti terroristici ed estremisti molto gravi».

Mosca punta quindi a prendere le redini dell’iniziativa diplomatica sfruttando le difficoltà elettorali statunitensi e l’ormai cronica inesistenza dell’Europa.

Ieri il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev e il consigliere per la sicurezza nazionale israeliano Tzachi Hanegbi hanno discusso al telefono del conflitto israelo-palestinese e del deterioramento della situazione nella Striscia di Gaza: un ulteriore elemento che potrebbe indicare un’iniziativa diplomatica che dopo la sconfitta di Hamas possa indurre Israele ad accettare una soluzione per la gestione della Striscia di Gaza. Finora Netanyahu ha respinto ogni ipotesi di ritorno del territorio al controllo palestinese o a un’amministrazione internazionale negando al tempo stesso di voler ripristinare l’occupazione dell’intero territorio palestinese da cui gli israeliani si ritirarono nel 2005 ma sostenendo la necessità di una “fascia di sicurezza” che protegga il confine dello Stato Ebraico da ulteriori attacchi.

Ipotesi a cui si è subito opposta la Turchia che ha accolto ieri altri 68 feriti palestinesi per curarli che portano il totale a 182 e altri sono previsti in arrivo la prossima settimana.