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Biden e i documenti segreti parcheggiati a casa sua

Il presidente Biden può avere un problema con la giustizia e già da ora ha oggettivamente un problema con la legge. Alla fine del suo mandato da vicepresidente non ha consegnato, agli Archivi Nazionali, decine di documenti segreti. Ha la stessa colpa di Trump. Anche se il mondo mediatico ritiene che i due casi non siano paragonabili. 

Esteri 13_01_2023
Joe Biden

Il presidente Biden può avere un problema con la giustizia e già da ora ha oggettivamente un problema con la legge. Alla fine del suo mandato da vicepresidente non ha consegnato, agli Archivi Nazionali, decine di documenti segreti. Una parte di questi sono stati trovati nel suo ufficio nella sede del think tank che porta il suo nome a Washington DC, il 2 novembre scorso, e consegnato agli Archivi Nazionali dai suoi avvocati. Il caso stava montando da appena due giorni che è stato segnalato il ritrovamento di altri documenti segreti nel garage della residenza di Biden a Wilmington (Delaware). Il procuratore generale Merrick Garland, che aveva già dato l’incarico al procuratore di Chicago John Lausch per esaminare il primo lotto di documenti, ora ha assunto come consulente anche il procuratore del Maryland Robert Hur, per aiutarlo a indagare sul caso. Sia Lausch che Hur sono stati a suo tempo nominati da Donald Trump, per assicurare il carattere bipartisan dell’inchiesta. La Casa Bianca si trincera dietro ad una cortina di silenzio.

La congiura del silenzio è l’aspetto più notevole di tutta questa vicenda. Si pensi, ad esempio, all’ampia copertura mediatica che era stata data al raid dell’Fbi nella residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago (Florida), nella notte fra l’8 e il 9 agosto, per sequestrare 186 segreti che l’ex presidente aveva portato con sé. Il primo lotto dei documenti di Biden è invece stato ritrovato nel suo studio del think tank di Washington DC il 2 novembre, una settimana prima delle elezioni di metà mandato, ma l’informazione non è stata data alla stampa fino a questa settimana. La vicenda di Biden è differente nella forma (la riconsegna del maltolto è avvenuta consensualmente), nella quantità (decine di documenti contro i quasi duecento di Trump), ma non nella sostanza. Sia Biden che Trump hanno violato la legge allo stesso modo: l’ultimo giorno del loro mandato avrebbero dovuto consegnare tutti i documenti segreti agli Archivi Nazionali.

Joe Biden, da questo punto di vista, ha clamorosamente smentito se stesso. In un’intervista rilasciata alla CBS dopo l’indagine nella residenza di Donald Trump, di fronte alle foto dei documenti segreti prelevati dall’Fbi, aveva affermato, con voce grave: “Mi chiedo come sia stato possibile tutto questo. Mi chiedo come si possa essere così irresponsabili”. Ora la sua linea di difesa, oltre al silenzio della Casa Bianca, consiste nel dire che non sapeva o non ricordava. Degli ultimi documenti, ritrovati nel suo garage, dice solo: «Le carte top secret trovate a Wilmington non erano in mezzo alla strada, erano al sicuro, in garage dove sono le mie Corvettes. Io e i miei avvocati stiamo cooperando pienamente con il dipartimento di Giustizia».

Tanto, a gestire la comunicazione del presidente pensa già il grosso del mondo mediatico. Nei giorni imbarazzanti in cui si scopre che anche l’attuale inquilino della Casa Bianca (e non solo il suo predecessore) si era portato a casa o in studio documenti segreti, la linea di difesa giornalistica è: “non è paragonabile alla colpa di Trump”. Giusto per fare una piccolissima rassegna stampa, Insider ritiene che gli avvocati di Biden, trovando e consegnando i documenti segreti agli Archivi Nazionali, abbiano fatto «esattamente quel che ci si attendeva da loro». E che in generale si tratti di “routine”. Anche il Washington Post ritiene che le due vicende non siano la stessa cosa, con argomenti simili. E la CNN avverte: «Biden sembra collaborare con gli Archivi Nazionali e il Dipartimento di Giustizia come Trump non ha fatto e, a differenza dell'ex presidente, non è indagato per possibile ostruzione della giustizia». L’esperto in questioni di sicurezza intervistato dalla CNN, Bradley Moss, vicedirettore del James Madison Project, afferma con sicurezza che paragonare il caso Biden al caso Trump è «come confrontare le mele con le pere». Anche fuori dagli Usa, il britannico Guardian ritiene che il caso Trump sia più grave, perché vi sono due caratteristiche che possono spingere il Dipartimento di Giustizia ad aprire un’indagine: ostruzione della giustizia e quantità dei documenti trattenuti. Però forse a tutti sfugge (o vuole sfuggire) un dettaglio: che entrambi possono essere accusati di aver violato la stessa identica legge sul trattamento dei documenti segreti. Se non si tratta di una violazione importante, non degna di un processo, allora non lo è neppure per Donald Trump.

«Si tratta la legge in modo diverso in base alle proprie convinzioni politiche», denuncia Kevin McCarthy, nuovo presidente repubblicano della Camera. Se Biden è un intoccabile, non solo perché è presidente, ma anche perché è Democratico, un problema c’è. Però è un problema reversibile e la maggioranza repubblicana alla Camera, che promette di indagare sulla politicizzazione delle agenzie di giustizia e sicurezza interna, nei prossimi due anni ha l’occasione di rimettere ordine nelle istituzioni, per fare in modo che l’arbitro torni a fare l’arbitro e non il portiere di una delle due parti.

Ma il vero problema che andrà risolto è Biden, con la sua più o meno voluta smemoratezza e la leggerezza con cui maneggia la macchina dello Stato. Perché ha tenuto questi documenti con sé, cosa c’era, è stata aperta una breccia nella sicurezza? Sono domande che legittimamente ci si è posti per i documenti di Trump a Mar-a-Lago, ora tocca a Biden rispondere a queste domande, a maggior ragione ora che è presidente.