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Bestemmia e cecità della mente - Il testo del video

Dopo l’incredulità, ecco gli altri due vizi contro la fede: la bestemmia è negare a Dio ciò che gli è dovuto e attribuirgli quanto non gli si addice; la cecità della mente è invece la privazione della visione intellettuale, e può essere un castigo o un peccato.

Catechismo 02_01_2022

Nella scorsa lezione abbiamo visto che, secondo l'esposizione che si trova nella Somma Teologica di San Tommaso, il primo vizio contrario alla fede è l'incredulità.

Abbiamo visto anche come l'incredulità sia tripartita: l'incredulità in generale, l'eresia e l'apostasia e ne abbiamo analizzato ogni aspetto.

Ora ci occorre mettere l'accento su un elemento importante: abbiamo detto che l'incredulità è l'opposto dell'atto di fede; così come l'atto di fede risiede nell'intelletto che aderisce alla verità rivelata, spinto dalla volontà e mosso all'origine dalla Grazia, così anche l'incredulità risiede nell'intelletto, ovvero è un difetto dell'intelletto che non aderisce alla verità di fede, perché è spinto da una volontà che resiste o addirittura disprezza il messaggio rivelato.

Veniamo ora all'argomento odierno. San Tommaso afferma che esistono altre due specie di vizi contro la fede e sono:

a- La bestemmia

b- La cecità e l'ottusità dei sensi

La bestemmia è un vizio contrario, non all'atto di fede, come l'incredulità, ma alla confessione di fede e abbiamo ricordato quanto sia importante la confessione della fede per la fede stessa.

La cecità e l'ottusità dei sensi sono invece un vizio contrario al dono dell'intelletto. Il dono dell'intelletto è uno dei sette doni dello Spirito Santo che, insieme alla scienza, vanno a perfezionare la virtù della fede.

  • Che cos'è il dono dell'intelletto?

E' quel dono dello Spirito Santo che permette un'acutezza, una penetrazione nel cogliere le verità della fede e le implicazioni della verità della fede, quindi parliamo dell'intelletto sopraelevato dalla virtù della fede.

 

LA BESTEMMIA

Alla bestemmia san Tommaso dedica due quaestiones: la tredici e la quattordici.

Per ora ci concentriamo sulla qaestio tredici, che tratta della bestemmia in generale.

Nell'articolo primo san Tommaso definisce la bestemmia come negare “a Dio di qualcosa che gli è dovuto” attribuirgli “quanto a Lui non si addice".

La materia della bestemmia perciò è la negazione di una perfezione di Dio oppure l’attribuzione a Lui di qualcosa che non gli compete o non gli si addice.

Questo avviene in due modi:

- Nell'intelletto. E' il caso in cui noi pensiamo e diciamo di Dio delle cose che a Lui non si addicono. Per esempio, che Dio è cattivo o ingiusto o gli attribuiamo degli attributi o degli aggettivi che non competono e non si addicono alla Sua Santità.

- Nell'ordine affettivo. Accade quando non si tratta solo di un ragionamento o di una espressione, ma vi è anche una carica interna che san Tommaso definisce come "una ripulsa affettiva".

La bestemmia “perfetta” è quando questi due livelli si uniscono, l'ordine intellettivo e l'ordine affettivo.

E' interessante notare come la bestemmia, appartenendo al genere dell'incredulità, sia per san Tommaso un peccato estremamente grave, un peccato mortale.

A differenza nostra che abbiamo un'idea strana di misericordia, come se fosse una scusa degli atti, i medievali ed in questo caso San Tommaso erano più veritieri. Quando san Tommaso tratta della gravità del peccato della bestemmia fa presente che è vero che le condizioni del soggetto possono trasformare il peccato da grave a veniale, tuttavia, dice san Tommaso:

"La bestemmia può sfuggire senza deliberazione in due modi. Primo, nel caso in cui uno non avverte che quanto dice è una bestemmia, e ciò può capitare quando uno sotto l'impeto della passione prorompe improvvisamente in parole immaginate di cui non considera il significato".

Il caso più eclatante: uno dice una bestemmia in lingua straniera che non conosce, oppure la dice nella propria lingua, ma non si rende conto che è una bestemmia perché non sa. Per esempio, un bambino che ripete quello che sente senza sapere. Invece,

"Quando uno avverte che l'espressione è blasfema, considerando il significato delle parole, allora non viene scusato dal peccato mortale, alla pari di colui il quale spinto da un moto improvviso di collera uccide uno che siede accanto a lui".

Se dunque uno sa il significato di ciò che dice o pensa volontariamente (non si parla delle tentazioni di bestemmia), il fatto che escano certe parole perché spinte dall'impeto, non scusa dal peccato, perché la collera è una passione che deve essere frenata. Se uno bestemmia mosso dalla collera non può pensare che non succeda nulla, deve confessare il peccato affinché la grazia riprenda possesso dell'anima.

Nell'articolo terzo, alla risoluzione della prima obiezione, san Tommaso in merito alla gravità della bestemmia dice:

"Se confrontiamo l'omicidio e la bestemmia secondo i loro oggetti, è chiaro che la bestemmia, offendendo direttamente Dio, è più grave dell'omicidio, che è un peccato contro il prossimo. Invece in rapporto al danno che arrecano è più grave l'omicidio: infatti è più dannoso al prossimo l'omicidio di quanto non sia dannosa a Dio la bestemmia. Ma nel considerare la gravità della colpa si deve badare più all'intenzione della volontà perversa che agli effetti dell'atto che viene compiuto. Perciò assolutamente parlando, chi bestemmia pecca più gravemente di chi uccide poiché intende menomare l'onore di Dio".

 

LA CECITA' DELLA MENTE E L'OTTUSITA' DEI SENSI

a- La cecità della mente che cosa indica?

E' una privazione della visione intellettuale. Non si parla in questo caso dell'intelletto naturale, ma di quella visione sopraelevata, che viene data dalla luce della virtù teologale fede. Cecità significa accecamento, non riuscire più a vedere.

b- L'ottusità dei sensi cosa indica?

Una debilitazione, un indebolimento dei sensi superiori rispetto ai beni spirituali. Una sorta di fiacchezza non della volontà, ma dell'intelletto, una sorta di indebolimento degli occhi che vedono sfuocato e non distinguono più dal punto di vista spirituale.

Nella visione intellettuale abbiamo tre distinti principi. Il secondo è “una certa luce derivante da un abito aggiunto alla luce naturale della ragione. E di questa luce talora l'anima può essere privata. E tale privazione o cecità è un castigo [...] per cui di alcuni nella Scrittura [Sap 2, 21] si legge: «la loro malizia li ha accecati»" (Quaestio 15, articolo 1).

La cecità spirituale, quella luce dell'intelletto che si aggiunge alla luce naturale, può sparire e quindi l'intelletto diventa cieco. Questa cecità è un castigo, cioè è l'esito di determinate scelte e comportamenti, di determinate attitudini molto gravi e reiterate che portano a questo.

San Tommaso fa una ulteriore precisazione:

"Il terzo principio della visione intellettiva consiste in certi dati conoscitivi, mediante i quali la mente umana può conoscere altre cose. A questi ultimi principi di ordine intellettivo, la mente umana può attendere o non attendere. E questa mancanza di considerazione può derivare da due motivi. Talora dipende dal fatto che uno spontaneamente vuole distogliersi dalla considerazione di tali principi, secondo le parole del Salmo [35, 4]: «Rifiuta di capire per non compiere il bene». Altre volte invece dipende dall'occupazione della mente in altre cose più amate e dalle quali essa viene distolta in modo da perdere di vista i principi suddetti, E nell'uno e nell'altro di questi due casi la cecità della mente è un peccato".

  • Perché la cecità della mente è un peccato?

Perché è l'uomo che non vuole volgersi alla conoscenza di ciò che dovrebbe conoscere, ossia alle verità della fede, e così non le conosce colpevolmente; oppure si vuole volgere ad altro che gli è più dilettevole, ma che invece non è così importante.

La cecità, quindi, o è un castigo o è un peccato; nel primo caso sarà la conseguenza di peccati ben precisi, nel secondo è un peccato essa stessa.

L'ottusità dei sensi. Si tratta dell'indebolimento; san Tommaso la definisce una "debilitazione dei sensi rispetto ai beni spirituali”: manca l'acutezza, manca la prontezza nel cogliere, manca una certa lucidità nella conoscenza.

San Tommaso, nel terzo articolo della quaestio 15, richiama un principio dell'Etica Nicomachea di Aristotele:

"Ciascuno compie nel migliore dei modi gli atti in cui prova piacere, mentre non compie affatto, oppure solo con fiacchezza, gli atti contrari".

Richiamando questo principio, san Tommaso affermando che proprio perché uno compie con più facilità ciò verso cui è incline, ciò che gli fa piacere e che gli procura soddisfazione e lo è molto meno verso ciò che gli procura dispiacere, arriva a cogliere un punto fondamentale. Due vizi capitali, legati soprattutto alla carne, ossia la gola e la lussuria, sono all'origine della cecità e dell'ottusità, perché piegano e inclinano l'uomo verso la carne, verso i piaceri sensibili. In questo modo l'uomo si trova più pronto a dedicarsi ai piaceri sensibili che non alla ricerca spirituale, e così debilitano e fiaccano l'intelletto sino a renderlo cieco.

La lussuria, essendo la passione più forte e violenta rispetto alla gola, è quella che provoca la cecità, la gola, essendo meno forte, provoca l'ottusità dei sensi.

San Tommaso richiama così il passo biblico presente nel capitolo primo del profeta Daniele. Daniele, insieme ai tre giovani Anania, Azaria e Misaele, viene catturato e portato a Babilonia per essere formato tra i giovani alla corte del Re per diventare un giorno suoi funzionari a diversi livelli. Viene perciò data loro una determinata alimentazione, ma Daniele si rifiuta perché si tratta di cibi proibiti agli ebrei e propone ad uno dei sovraintendenti che li educava, di potersi nutrire solo di legumi. Questo tipo di alimentazione, così come la purezza di questi giovani, fanno in modo che essi diventino sapienti, tanto che Daniele acquisisce il dono della profezia e dell'interpretazione dei sogni. Ebbene san Tommaso spiega che i doni ricevuti da Daniele venivano anche dal fatto che egli aveva saputo domare la duplice passione della carne: la gola e la lussuria.

Questa prospettiva è molto interessante perché ci mette in una dimensione molto lontana da quella che abbiamo acquisito nell'epoca moderna e ci ricorda l'unità tra corpo e spirito: se le passioni della carne, che pure non sono le più gravi, non vengono domate, bloccano l'intelletto e la luce della fede e possono portare alla terribile conseguenza della cecità dell'intelletto e della cecità dei sensi.

Dalla lezione di oggi si capisce l'importanza di custodire, di coltivare, di difendere il dono immenso della fede e di farlo da tutti i punti di vista: la chiarificazione, il rafforzamento e la purificazione dell'intelletto, ma anche la purificazione e il rafforzamento della volontà. Sapendo che il principio della fede è sempre nella grazia di Dio per la quale è fondamentale la preghiera.