Bertinotti si è reso conto che il comunismo è fallito
L'ultimo dei "mohicani" del comunismo ha ammesso, al festival di Todi, che la sua ideologia è fallita. Non si è realizzata la liberazione del proletariato. Mentre i liberali avevano ragione. Peccato che questo discorso-shock non abbia ricevuto l'attenzione mediatica che meritava.
Che il sistema mediatico e i circuiti culturali italiani siano ancora troppo ingessati e irreggimentati lo si capisce dalle tenui, sbiadite e svalutanti reazioni al discorso che il 29 agosto l’ex segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti ha pronunciato al Festival di Todi, davanti a un pubblico a dir poco sbigottito e incredulo.
L’ultimo o quasi dei “mohicani” della vecchia sinistra italiana, intervistato da Alessio Falconio, direttore di Radio Radicale, sul tema “I vinti giusti, un certo sguardo sul futuro”, non solo ha recitato uno storico “mea culpa”, ma ha anche abbracciato entusiasticamente la visione del mondo opposta a quella che aveva coltivato durante la sua attività politica. Se non è una vera e propria abiura, poco ci manca.
L’ex Presidente della Camera già in passato aveva compiuto chiare prese di distanza dalle politiche della sinistra italiana degli ultimi anni e aveva attaccato “il partito di Repubblica” come unica vera lobby della sinistra italiana, da lui considerata ormai smembrata e senz’anima.
Ma a Todi le valutazioni di Bertinotti si sono spinte ben oltre. «La liberazione del proletariato non è avvenuta, i proletari avrebbero dovuto unirsi, combattere e vincere la guerra contro i padroni e gli sfruttatori, ma nulla di tutto questo è accaduto. Perciò il comunismo ha fallito. C’è stata la globalizzazione, ha prevalso l’economia finanziaria, il capitalismo». Frasi stroncatorie che si completano con imprevedibili elogi della cultura liberale, «l’unica –ha sostenuto l’ex leader comunista- che ha difeso i diritti della persona e che ha sempre avuto il merito di trattare come incomprimibili i diritti individuali nei confronti dello Stato».
Bertinotti ha dunque smascherato senz’appello l’utopia comunista che ha cercato a lungo di appiattire le individualità e di promuovere una finta uguaglianza, fatta in realtà di soprusi, ingiustizie, perfino crimini efferati. «Non bisognava attendere Praga e il 1956 per scoprire gli orrori di Stalin –ha aggiunto- Se si è dovuto aspettare fino ad allora è stato solo perché i comunisti hanno sempre represso il dissenso».
Mettere il silenziatore alle voci fuori dal coro è sempre stato un vizio dei regimi dittatoriali, degenerato in privazioni di libertà e stermini nei Paesi dell’orbita dell’ex Unione Sovietica. Bertinotti lo ammette senza troppi giri di parole e individua anche la causa di tali prolungate censure che hanno impedito ai cittadini di conoscere le verità atroci del comunismo: «D’altronde, tra il 1945 e il 1950, l’intellettualità europea… Sartre… Camus… tutti i registi neo-realisti, le case editrici, i principali cattedratici erano comunisti». Una cappa asfissiante di conformismo, quindi, che ha per lungo tempo impedito l’emersione della realtà dei fatti e ha manipolato per anni e anni le coscienze individuali e il sentire collettivo. Un’occupazione quasi militare di tutti gli ambienti culturali, del cinema, del mondo dell’arte, della musica, della scuola, dell’università da parte dei rappresentanti della cultura della sinistra più ideologica ha ostacolato fortemente, sia in Italia che in altre parti d’Europa, lo sviluppo di quel sano pluralismo di idee che avrebbe arricchito sensibilmente la nostra democrazia, tuttora malata anche a causa di questo “pensiero unico” ammorbante e prevaricante.
Se dunque la liberazione del proletariato non si è realizzata, null’altro resta da fare, secondo l’ex esponente politico comunista, che ripartire dalla cultura liberale, «indispensabile per intraprendere il nuovo cammino di liberazione». Bertinotti ha addirittura dichiarato che se dovesse ricominciare a fare politica ripartirebbe da lì.
Ovviamente in Rete si è scatenato un vivace dibattito sulle sue parole. Il popolo della sinistra gli ha subito dato del “traditore” e del “venduto”, dimenticando che ormai Bertinotti non ha più nulla da chiedere alla politica e non ha certamente svolto quelle considerazioni con qualche secondo fine. Il suo era un ragionamento sull’evoluzione delle culture. Ha anche usato parole entusiastiche nei riguardi di Papa Francesco: «Ha rivitalizzato la cultura cattolica –ha detto- attirando mondi storicamente assai lontani dalla Chiesa. Il gesto più rivoluzionario di questi anni è stato quello delle dimissioni da Papa di Joseph Ratzinger». Una rilettura critica di pagine di storia che i nostri antenati hanno vissuto dolorosamente sulla propria pelle potrebbe forse contribuire a creare le premesse per un futuro migliore, di pace, di sano confronto tra differenti opzioni, al riparo da sterili paratie ideologiche e da radicati pregiudizi. Il discorso-shock di Bertinotti muove in questa direzione. Peccato davvero che non abbia ricevuto l’attenzione che meritava.