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GIUSTIZIA

Berlusconi assolto. Ora si facciano le riforme

Il processo Ruby ha avvelenato la politica, drenato risorse pubbliche, inquinato i media, svilito il ruolo della magistratura. Adesso che si è arrivati all'assoluzione piena dell'ex Cavaliere il percorso riformatore può continuare.

Politica 19_07_2014
Silvio Berlusconi

La piena assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby è stata subito strumentalizzata da destra e da sinistra e ha ridato fiato alle trombe degli opposti schieramenti. L’entourage dell’ex Cavaliere parla di vittoria del diritto, gli avversari ricordano che l’ex premier è comunque già stato condannato per altri reati per i quali sta scontando un periodo di affidamento in prova ai servizi sociali.

L’ossessione che la sinistra giustizialista ha sempre dimostrato verso Berlusconi ha sin qui impedito di guardare con occhio distaccato ai fatti e alle carte processuali. Ora che la Corte d’Appello di Milano ha spazzato via una sentenza di primo grado assolutamente risibile e fondata sul nulla (nessuna prova, nessun concusso, solo congetture e teoremi), bisogna interrogarsi sulle macerie che il processo Ruby lascia sul terreno della politica e del vivere civile.

Anche (ma non solo) a causa di un bombardamento mediatico e giudiziario con pochi precedenti nella storia d’Italia (come dimenticare il fiume di intercettazioni compiute dagli inquirenti in violazione della privacy del domicilio di Arcore e pubblicate contro ogni principio di deontologia professionale da alcuni giornali per speculare su vicende assolutamente private della vita del leader del centrodestra?), il governo Berlusconi, eletto legittimamente dal popolo, fu costretto a dimettersi il 12 novembre 2011 per lasciare il posto a un esecutivo figlio di una Santa Alleanza tra poteri forti. Neppure le elezioni del febbraio 2013 sono bastate per restituire ai cittadini un governo investito direttamente da loro. Il sostanziale pareggio tra i principali contendenti ha provocato la definitiva sospensione della democrazia, favorendo l’ascesa a Palazzo Chigi di Enrico Letta prima e Matteo Renzi poi, entrambi leader del Partito democratico, entrambi scelti da Napolitano in base ad un accordo tra i partiti (nel primo caso anche l’allora Popolo della Libertà).

Il processo Ruby ha dunque avvelenato in maniera irreversibile il quadro politico, spargendo veleno nei rapporti tra le principali forze politiche e allontanando quello scenario riformatore che oggi si sta faticosamente cercando di ricostruire.

In piena crisi economica, l’odio ideologico di una parte minoritaria della magistratura ha colpevolmente prodotto un enorme sperpero di tempo e denaro sulle spalle dei cittadini per perseguire scientemente un disegno di eliminazione dell’avversario storico della sinistra, che ha quasi sempre impedito alla sinistra di vincere sul campo. L’affannosa e spasmodica ricerca di prove (mai trovate) per dimostrare il nesso di causalità tra le dazioni di denaro alle olgettine e il compimento di atti di prostituzione è sembrata per anni l’unica priorità della procura di Milano. E molti giornali hanno fatto da cassa di risonanza di questo giustizialismo becero che ha ritardato il ripristino di un clima di normale e civile dialettica tra centrodestra e centrosinistra.

Ora i cittadini, oltre che sentirsi defraudati di importanti risorse che sarebbero state spese molto più intelligentemente e utilmente per migliorare il funzionamento della giustizia piuttosto che per spiare e intercettare leader politici e personaggi pubblici, dovrebbero chiedersi se qualche giudice del Tribunale di Milano che emise la sentenza di condanna a sette anni di carcere per Berlusconi sia in qualche modo preso da rimorso o pentimento. E, questione ancor più decisiva per la credibilità del sistema giudiziario italiano, ci aspettiamo che il Consiglio Superiore della Magistratura, pur lacerato da lotte fratricide tra opposte fazioni, trovi il necessario equilibrio per valutare (e respingere), ora o in futuro, eventuali ipotesi di promozione per Ilda Boccassini o di riconferma nel ruolo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano per Bruti Liberati. Entrambi escono malconci dal verdetto di ieri della Corte d’Appello. Senza di loro forse il processo Ruby non si sarebbe neppure aperto, com’era nella logica del diritto. E invece per anni ha assorbito, fin dalle indagini preliminari, uomini e mezzi investigativi inimmaginabili per reati dello stesso tipo e paragonabili solo a quelli utilizzati per dare la caccia a terroristi e mafiosi. Inoltre, quell’inchiesta, con il fomentato clamore mediatico, è stata usata come spada di Damocle per influenzare il corso della politica italiana.

Ora il centrodestra si ricompatta attorno al suo leader, come si evince dalle prime reazioni soddisfatte ed entusiaste dei fedelissimi, ma anche dei dissidenti (da Fitto a Minzolini e perfino ad Alfano). Matteo Renzi può tirare un sospiro di sollievo. In caso di nuova condanna di Berlusconi, il “rompete le righe” minacciato da ampi settori di Forza Italia si sarebbe tradotto in gesti concreti e, forse, anche nella dissociazione dal progetto riformatore. Certo, restano aperti per l’ex Cavaliere i fronti giudiziari di Napoli e Bari, ma almeno per ora il premier sa che può contare su un’opposizione che si riconosce in un unico leader, Berlusconi, che crede nell’urgenza di approvare il nuovo Senato e una legge elettorale che assicuri governabilità. Il Patto del Nazareno, messo a dura prova dalle tensioni delle ultime settimane, sembra rinsaldato. E i grillini verranno coinvolti al tavolo delle riforme ma in via subordinata e senza particolari concessioni. A Renzi interessa solo neutralizzare la loro carica antisistema e attirarli nell’orbita del Palazzo per impedire che rimangano l’unico polo attrattivo della protesta sociale. Senza contare che a settembre il premier potrebbe dover fronteggiare nuove sfide dettate dall’emergenza economica. E nessuno può escludere un appoggio esterno di Forza Italia all’esecutivo, magari preparato da un gesto distensivo del Quirinale nei confronti di Berlusconi.

Ma affinchè si realizzi tale scenario ci vorrà un nuovo Capo dello Stato eletto da questo Parlamento, nel quale i rapporti di forza sono ancora equilibrati tra centrodestra e centrosinistra e pertanto il peso dei berlusconiani è determinante. La grazia all’ex Cavaliere non potrebbe darla Napolitano, che in più occasioni l’ha esclusa (a meno di una richiesta formale dei figli o dei suoi avvocati, che “re Giorgio” si è impegnato a valutare ma che i diretti interessati hanno più volte escluso). Bisogna aspettare, quindi, le sue dimissioni, che potrebbero arrivare all’inizio del 2015 (l’anno prossimo Napolitano compirà 90 anni). Ma intanto Berlusconi avrà terminato i servizi sociali e si sarà sempre più accreditato come “padre della Patria” appoggiando le riforme di Renzi. E c’è da scommettere che il nuovo Presidente della Repubblica valuterà a quel punto l’ipotesi della grazia per il leader del centrodestra, chiudendo una fase burrascosa della vita politica italiana.