Bennett se ne va. In Israele è tutto da rifare
Israele, il premier Naftali Bennett rassegna le dimissioni con una mossa a sorpresa. L'unico che ne era al corrente è Yair Lapid, ministro degli Esteri, che diventerà premier ad interim fino alle prossime elezioni. Per la quinta volta in tre anni e mezzo gli israeliani tornano alle urne. E in un momento delicato di crisi con l'Iran e con il Libano.
Che il Governo israeliano non navigasse in acque tranquille lo si sapeva ormai da qualche mese. Ma che Naftali Bennett rassegnasse le dimissioni, senza coinvolgere i componenti della maggioranza che lo sostenevano non era prevedibile. L'unico che è stato avvertito e che ne ha condivo la scelta, è Yair Lapid, capo del partito Yesh Atid, futuro Primo ministro ad interim, in caso di scioglimento della Knesset e fino allo svolgimento delle elezioni, previste per il 25 ottobre. La chiamata alle urne è la quinta in poco meno di tre anni e mezzo.
Bennett e Lapid hanno affermato, nel corso di una conferenza stampa congiunta, che lunedì prossimo porteranno in aula un disegno di legge, da sottoporre al voto dell'Assemblea, per lo scioglimento del Parlamento israeliano, anticipando la notizia che esiste già un consenso nella coalizione e nell'opposizione sulla data della consultazione elettorale. La mossa di Bennett ha colto di sorpresa l’ex Primo ministro, Benjamin Netanyahu, da tempo impegnato a far cadere il Governo per poter gestire, in prima persona, le prossime elezioni.
Quella di Bennett, è stata una decisione inevitabile, anche in vista della visita del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, prevista per il prossimo luglio. «Ho fatto il possibile per mantenere unita la coalizione - ha dichiarato Naftali Bennett - ma qualcuno non ha creato che problemi alla coalizione, mettendo Israele in cattiva luce davanti al mondo intero». Da parte sua, Lapid ha elogiato Bennett per «aver anteposto il bene del Paese al suo interesse personale, gestendo la cosa pubblica in modo innovativo e coraggioso e, a volte, con scelte impopolari».
Bennett, lo scorso venerdì, si è incontrato con il procuratore generale, Gali Baharav-Miara, per confrontarsi su un disegno di legge per l’emergenza in Cisgiordania. Nel corso della conversazione, il procuratore ha ribadito che la disposizione legislativa non poteva essere raggirata o prorogata oltre la scadenza del 30 giugno.
Ma cos'è questo progetto di "emergenza in Cisgiordania"? È una legge che il Governo israeliano sta applicando dal 1967 e che concede agli israeliani che vivono nei Territori occupati ad avere tutti i diritti dei cittadini israeliani che risiedono dentro i confini dello Stato. Questa legge viene confermata ogni cinque anni. Se la misura dovesse decadere, alla fine di giugno, gli israeliani che commetteranno reati in Cisgiordania saranno portati davanti ai tribunali militari israeliani e sconteranno la pena in Cisgiordania. Inoltre, la polizia israeliana non potrà più indagare su presunti crimini commessi da israeliani in Cisgiordania, né su coloro che li hanno commessi all’interno di Israele e sono fuggiti in Cisgiordania. Ma non è tutto, gli israeliani che vivono nei Territori probabilmente non avranno più diritto alla Sanità pubblica, né di far parte all’Ordine degli avvocati israeliani o di godere di altri diritti e privilegi previsti dalla legge. La mancata estensione della normativa avrebbe conseguenze anche sull’ingresso in Israele, sul reclutamento militare, sulla tassazione, sul registro della popolazione, sull’adozione di bambini e altre questioni.
Dunque, una situazione complicata dal punto di vista politico e amministrativo, con delle precise responsabilità, come ha sottolineato il ministro della Giustizia Gideon Sa'ar: «Con rammarico devo dire che l'irresponsabilità di alcuni parlamentari della coalizione ha portato all'inevitabile. Ne prendiamo atto. Ma l'obiettivo delle prossime elezioni è chiaro: impedire il ritorno al potere di Netanyahu e asservire lo Stato ai suoi interessi».
La crisi politica avviene, tra l’altro, in un momento di grave tensione tra Israele e Iran. Domenica scorsa, un attacco di pirateria informatica ha fatto suonare le sirene di allarme missilistico a Gerusalemme e a Eilat, la città israeliana posta sulle rive del mar Rosso. I militari hanno immediatamente annunciato, attraverso il loro canale radiofonico e altri strumenti di diffusione, che non si trattava di un attacco missilistico, ma di un guasto tecnico. A sferrare l'attacco sarebbero stati, invece, pirati informatici iraniani che da mesi agiscono prendendo di mira Israele.
Un giornale israeliano ha diffuso la notizia che gli iraniani sono riusciti a violare e a utilizzare la posta elettronica di un generale della riserva dell'esercito israeliano, compiendo attacchi per suo conto, nei confronti di organizzazioni politiche, accademiche e commerciali di alto livello. Il canale televisivo KAN ha mandato in onda un servizio nel quale confermava che gli autori di questi attacchi erano di origine iraniana e che tra le vittime vi fossero nomi importanti di personalità politiche, come l’ex ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni. Citando fonti riservate l'autore del servizio televisivo, Ittai Shickman, ha rivelato che i pirati informatici si erano introdotti nel cyberspazio israeliano da almeno sei mesi, e celandosi dietro questo anziano generale e ad altre note personalità, avevano avuto accesso a documenti e informazioni di autorità di Tel Aviv, rivolgendo gli attacchi elettronici anche contro istituzioni politiche, accademiche ed economiche.
Ma oltre all'Iran è aperto anche il fronte con il Libano. Il capo di Stato maggiore delle forze di difesa israeliane (IDF), Aviv Kochavi, sempre domenica scorsa, ha rivelato che Israele sarebbe pronto ad intervenire in Libano, se gli Hezbollah continueranno con le provocazioni che mettono a rischio la sicurezza del popolo ebraico.