L'UDIENZA
Benedetto XVI rilancia l'ecumenismo «dall’alto»
Per il Papa l'unità dei cristiani non verrà dai compromessi ma da Cristo. Oltre la cordialità e la cooperazione, bisogna rafforzare la nostra fede.
Attualità
18_01_2012
L’udienza del 18 gennaio di Benedetto XVI, interrompendo la consueta «scuola della preghiera», è stata dedicata alla Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che inizia oggi e di cui La Bussola Quotidiana si è occupata con un’intervista a don Nicola Bux.
Il Papa ha voluto ricordare la storia della settimana ecumenica. «La pratica della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani fu introdotta nel 1908 da Padre Paul Wattson [1863-1940], fondatore di una comunità religiosa anglicana che entrò in seguito nella Chiesa cattolica. L’iniziativa ricevette la benedizione del Papa san Pio X [1835-1914] e fu poi promossa dal Papa Benedetto XV [18541922], che ne incoraggiò la celebrazione in tutta la Chiesa cattolica con il Breve “Romanorum Pontificum”, del 25 febbraio 1916». Il Pontefice ha anche ricordato il ruolo molto importante svolto «dall’Abbé Paul Couturier [1881-1953] di Lione, che sostenne la preghiera “per l’unità della Chiesa così come vuole Cristo e conformemente agli strumenti che Lui vuole”. Nei suoi ultimi scritti, l’Abbé Couturier vede tale Settimana come un mezzo che permette alla preghiera universale di Cristo di “entrare e penetrare nell’intero Corpo cristiano”; essa deve crescere fino a diventare “un immenso, unanime grido di tutto il Popolo di Dio”, che chiede a Dio questo grande dono». Infine, ha ricordato il Papa, il movimento delle Settimane di Preghiera è stato fatto proprio dal Concilio Ecumenico Vaticano II: ancorché sia importante ricordare che la sua origine è molto più antica.
Come in altre occasioni, Benedetto XVI ha insistito su un ecumenismo «dall’alto» piuttosto che «dal basso». «Questo appuntamento spirituale, che unisce cristiani di tutte le tradizioni, accresce la nostra consapevolezza del fatto che l’unità verso cui tendiamo non potrà essere solo il risultato dei nostri sforzi, ma sarà piuttosto un dono ricevuto dall’alto, da invocare sempre». Per quanto le iniziative e le discussioni teologiche siano interessanti, il Papa ricorda che «la preghiera è la via primaria per raggiungere la piena comunione, perché uniti verso il Signore andiamo verso l'unità».
Il tema della Settimana di quest’anno è tratto dalla Prima Lettera ai Corinzi: «Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore» (cfr 1 Cor 15,51-58). Questo tema è stato scelto per il 2012 dal gruppo ecumenico polacco, il quale – ha detto il Pontefice – «riflettendo sulla propria esperienza come nazione, ha voluto sottolineare quanto forte sia il sostegno della fede cristiana in mezzo a prove e sconvolgimenti, come quelli che hanno caratterizzato la storia della Polonia». Il tema ha una valenza spirituale, e invita a ricordare «le parole di san Paolo che, rivolgendosi alla Chiesa in Corinto, parla della natura temporanea di ciò che appartiene alla nostra vita presente, segnata anche dall’esperienza di “sconfitta” del peccato e della morte, in confronto a ciò che porta a noi la “vittoria” di Cristo sul peccato e sulla morte nel suo Mistero pasquale».
Ma il tema scelto suggerisce pure una meditazione su come i cristiani aggrediti e perseguitati siano stati capaci di sviluppare tra loro un ecumenismo della sofferenza e nel sangue, che non comporta di per sé l’unità dottrinale ma costituisce un elemento comunque significativo. E «la storia particolare della nazione polacca, che ha conosciuto periodi di convivenza democratica e di libertà religiosa, come nel XVI secolo, è stata segnata, negli ultimi secoli, da invasioni e disfatte, ma anche dalla costante lotta contro l’oppressione e dalla sete di libertà». Proprio la storia della Polonia «ha indotto il gruppo ecumenico a riflettere in maniera più approfondita sul vero significato di “vittoria” – che cosa è la vittoria – e di “sconfitta”. Rispetto alla “vittoria” intesa in termini trionfalistici, Cristo ci suggerisce una strada ben diversa, che non passa attraverso il potere e la potenza. […] Per tutti i cristiani, la più alta espressione di tale umile servizio è Gesù Cristo stesso, il dono totale che fa di Se stesso, la vittoria del suo amore sulla morte, nella croce, che splende nella luce del mattino di Pasqua. Noi possiamo prendere parte a questa “vittoria” trasformante se ci lasciamo noi trasformare da Dio, solo se operiamo una conversione della nostra vita e la trasformazione si realizza in forma di conversione». Si torna così al tema dell’ecumenismo «dall’alto».
L’unità non è un compromesso più o meno al ribasso, ma «esige che ci lasciamo trasformare e conformare, in maniera sempre più perfetta, all’immagine di Cristo». Non si tratta dunque «semplicemente di cordialità o di cooperazione, occorre soprattutto rafforzare la nostra fede in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, che ci ha parlato e si è fatto uno di noi; occorre entrare nella nuova vita in Cristo, che è la nostra vera e definitiva vittoria». Beninteso, criticare forme insufficienti o sbagliate di ecumenismo non significa abbandonare la strada ecumenica. Questa è parte essenziale della missione della Chiesa oggi. «Il Concilio Vaticano II – ha ricordato il Papa – ha posto la ricerca ecumenica al centro della vita e dell’operato della Chiesa: “Questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica” (“Unitatis redintegratio”, 4). Il beato Giovanni Paolo II [1920-2005] ha sottolineato la natura essenziale di tale impegno, dicendo: “Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all’essere stesso di questa comunità” (Enc. “Ut unum sint”, 9)».
Nessuno, dunque, potrebbe in coscienza rifiutare l’ecumenismo così come il Magistero lo definisce e lo precisa. «Il compito ecumenico è una responsabilità dell’intera Chiesa e di tutti i battezzati». Anche coloro che non sono specialisti di ecumenismo possono dare il loro contributo, con la preghiera. Anzi, «la preghiera per l’unità non è circoscritta a questa Settimana di Preghiera, ma deve diventare parte integrante della nostra orazione, della vita orante di tutti i cristiani, in ogni luogo e in ogni tempo». L’ecumenismo è anche indispensabile per l’evangelizzazione, ha detto il Papa, e oggi per la nuova evangelizzazione. «Da quando il movimento ecumenico moderno è nato, oltre un secolo fa, vi è sempre stata una chiara consapevolezza del fatto che la mancanza di unità tra i cristiani impedisce un annuncio più efficace del Vangelo, perché mette in pericolo la nostra credibilità. Come possiamo dare una testimonianza convincente se siamo divisi?».
È sempre bene fare notare da una parte che, «per quanto riguarda le verità fondamentali della fede, ci unisce molto più di quanto ci divide», dall’altra – per non indulgere a forme di buonismo o di relativismo – che «le divisioni restano, e riguardano anche varie questioni pratiche ed etiche, suscitando confusione e diffidenza». Nel viaggio in Germania il Papa aveva fatto notare i danni prodotti da comunità cristiane che tollerano o addirittura attivamente promuovono una cultura ostile alla vita e alla famiglia con aperture all’aborto, all’eutanasia, al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. La Settimana ci ricorda che la soluzione non verrà dai compromessi ma solo dall’alto, da Cristo. «Solo Lui è capace di trasformarci e renderci, da deboli e titubanti, forti e coraggiosi nell’operare il bene. Solo Lui può salvarci dalle conseguenze negative delle nostre divisioni».