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MAGISTERO

Benedetto XVI esalta il primato della "dimensione verticale"

In visita nella diocesi di San Marino-Montefeltro, il pontefice sottoliena che Persino i problemi politici si risolvono solo con l'apertura a Dio, la quale non è un mero esercizio intellettuale ma l'incontro personale con Cristo.

Attualità 20_06_2011
Papa Benedetto XVI


Il 19 giugno Benedetto XVI ha visitato la diocesi di San Marino-Montefeltro, retta da mons. Luigi Negri, incontrando i giovani a Pennabilli e le autorità e la popolazione di San Marino in un incontro nel Palazzo Pubblico e nella Messa celebrata nello Stadio di Serravalle. La breve ma intensa visita ha avuto a tema il primato della dimensione verticale dell'esistenza che oggi, in una situazione di crisi, è di fatto indispensabile per fondare e difendere i diritti fondamentali della persona. Un accostamento meramente immanente e orizzontale, che prescinda dalla trascendenza e da Dio, non basta.

Il tema fondamentale è stato illustrato nel bel discorso che il Papa ha tenuto ai giovani a Pennabilli. Ogni giovane, infatti, porta in sé la domanda fondamentale: «cosa devo fare, come devo vivere per vivere realmente, per trovare la vita». «Dentro questo interrogativo - ha detto il Papa - possiamo vedere racchiusa l’ampia e variegata esperienza umana che si apre alla ricerca del significato, del senso profondo della vita: come vivere, perché vivere». Oggi forze potenti tentano di annegare questa domanda in un relativismo assoluto, secondo il quale la domanda è inutile, perché comunque non ci sono risposte. Ma in realtà «l'uomo non può vivere senza questa ricerca della verità su se stesso - che cosa sono io, per che cosa devo vivere - verità che spinga ad aprire l’orizzonte e ad andare al di là di ciò che è materiale, non per fuggire dalla realtà, ma per viverla in modo ancora più vero, più ricco di senso e di speranza, e non solo nella superficialità».

Infatti, «i grandi interrogativi che portiamo dentro di noi rimangono sempre, rinascono sempre: chi siamo?, da dove veniamo?, per chi viviamo? E queste questioni sono il segno più alto della trascendenza dell’essere umano e della capacità che abbiamo di non fermarci alla superficie delle cose. Ed è proprio guardando in noi stessi con verità, con sincerità e con coraggio che intuiamo la bellezza, ma anche la precarietà della vita e sentiamo un’insoddisfazione, un’inquietudine che nessuna cosa concreta riesce a colmare. Alla fine tutte le promesse si dimostrano spesso insufficienti».

Questa inquietudine non va affatto, come alcuni tentano di fare, messa a tacere o eliminata. Al contrario, il Pontefice ha invitato i giovani «a prendere coscienza di questa sana e positiva inquietudine, a non aver paura di porvi le domande fondamentali sul senso e sul valore della vita. Non fermatevi alle risposte parziali, immediate, certamente più facili al momento e più comode, che possono dare qualche momento di felicità, di esaltazione, di ebbrezza, ma che non vi portano alla vera gioia di vivere, quella che nasce da chi costruisce – come dice Gesù – non sulla sabbia, ma sulla solida roccia. Imparate allora a riflettere, a leggere in modo non superficiale, ma in profondità la vostra esperienza umana: scoprirete, con meraviglia e con gioia, che il vostro cuore è una finestra aperta sull’infinito! Questa è la grandezza dell'uomo e anche la sua difficoltà».

Quando non elimina la domanda, il pensiero moderno affida la risposta soltanto alla tecnica e alla scienza. «Una delle illusioni prodotte nel corso della storia - ha proseguito il Papa - è stata quella di pensare che il progresso tecnico-scientifico, in modo assoluto, avrebbe potuto dare risposte e soluzioni a tutti i problemi dell’umanità». Oggi noi «vediamo che non è così. In realtà, anche se ciò fosse stato possibile, nulla e nessuno avrebbe potuto cancellare le domande più profonde sul significato della vita e della morte, sul significato della sofferenza, di tutto, perché queste domande sono scritte nell’animo umano, nel nostro cuore,  e oltrepassano la sfera dei bisogni. L’uomo, anche nell’era del progresso scientifico e tecnologico - che ci ha dato tanto - rimane un essere che desidera di più, più che la comodità e il benessere, rimane un essere aperto alla verità intera della sua esistenza, che non può fermarsi alle cose materiali, ma si apre ad un orizzonte molto più ampio».

I giovani sanno intuitivamente che la vita non si riduce alla sua dimensione tecnico-scientifica. «Tutto questo - ha detto Benedetto XVI - voi lo sperimentate continuamente ogni volta che vi domandate: ma perché? Quando contemplate un tramonto, o una musica muove in voi il cuore e la mente; quando provate che cosa vuol dire amare veramente; quando sentite forte il senso della giustizia e della verità, e quando sentite anche la mancanza di giustizia, di verità e di felicità».
La scelta cui la cultura moderna ci pone di fronte - si tratta di un tema ricorrente nel Magistero di Benedetto XVI - è drammatica e alternativa. O rimanere imprigionati nella dimensione orizzontale e immanente, dichiarando che è la sola che esiste, o aprirsi alla dimensione verticale e trascendente. Infatti «l’esperienza umana è una realtà che ci accomuna tutti, ma ad essa si possono dare diversi livelli di significato. Ed è qui che si decide in che modo orientare la propria vita e si sceglie a chi affidarla, a chi affidarsi. Il rischio è sempre quello di rimanere imprigionati nel mondo delle cose, dell'immediato, del relativo, dell’utile, perdendo la sensibilità per ciò che si riferisce alla nostra dimensione spirituale».

Certamente «non si tratta affatto di disprezzare l’uso della ragione o di rigettare il progresso scientifico, tutt’altro; si tratta piuttosto di capire che ciascuno di noi non è fatto solo di una dimensione “orizzontale”, ma comprende anche quella “verticale”. I dati scientifici e gli strumenti tecnologici non possono sostituirsi al mondo della vita, agli orizzonti di significato e di libertà, alla ricchezza delle relazioni di amicizia e di amore».
In realtà - il Papa lo ricorda in tutti i suoi viaggi - questa scelta è antica. L'Europa, ogni nazione europea, è figlia delle sue radici cristiane, cioè è figlia delle scelte per la dimensione verticale delle prime comunità cristiane che sono all'origine della sua storia. Nella Messa allo Stadio di Serravalle il Papa ha ricordato che questo è vero anche per San Marino «nel corso della sua storia antica e gloriosa».

Come fa in tutti i Paesi, il Pontefice ne ha ripercorso la storia. «L’evangelizzazione di questa terra - ha ricordato - è attribuita ai Santi scalpellini Marino e Leone, i quali alla metà del III secolo dopo Cristo sarebbero approdati a Rimini dalla Dalmazia. Per la loro santità di vita sarebbero stati consacrati l’uno sacerdote e l’altro diacono dal Vescovo Gaudenzio e da lui inviati nell’entroterra, l’uno sul monte Feretro, che poi prese il nome di San Leo, e l’altro sul monte Titano, che poi prese il nome di San Marino. Al di là delle questioni storiche – che non è nostro compito approfondire – interessa affermare come Marino e Leone portarono nel contesto di questa realtà locale, con la fede nel Dio rivelatosi in Gesù Cristo, prospettive e valori nuovi, determinando la nascita di una cultura e di una civiltà incentrate sulla persona umana, immagine di Dio e perciò portatore di diritti precedenti ogni legislazione umana. La varietà delle diverse etnie – romani, goti e poi longobardi – che entravano in contatto tra loro, qualche volta anche in modo molto conflittuale, trovarono nel comune riferimento alla fede un fattore potente di edificazione etica, culturale, sociale e, in qualche modo, politica. Era evidente ai loro occhi che non poteva ritenersi compiuto un progetto di civilizzazione fino a che tutti i componenti del popolo non fossero diventati una comunità cristiana vivente e ben strutturata e edificata sulla fede nel Dio Trinitario. A ragione, dunque, si può dire che la ricchezza di questo popolo, la vostra ricchezza, cari Sammarinesi, è stata ed è la fede, e che questa fede ha creato una civiltà veramente unica».

Non solo: di San Marino il Papa ha voluto specialmente ricordare - un richiamo di questi tempi mai superfluo - «l'assoluta fedeltà al Vescovo di Roma, al quale questa Chiesa ha sempre guardato con devozione ed affetto; come pure l’attenzione dimostrata verso la grande tradizione della Chiesa orientale e la profonda devozione verso la Vergine Maria».
Ricordare fedelmente le radici cristiane, dunque, Ma «il modo migliore di apprezzare un’eredità è quello di coltivarla e di arricchirla». Ci troviamo, ha detto il Papa, «in un momento tra i più decisivi della storia», caratterizzato da «profonde e rapide trasformazioni culturali, sociali, economiche, politiche, che hanno determinato nuovi orientamenti e modificato mentalità, costumi e sensibilità». Trasformazioni non sempre positive: «non mancano difficoltà e ostacoli, dovuti soprattutto a modelli edonistici che ottenebrano la mente e rischiano di annullare ogni moralità. Si è insinuata la tentazione di ritenere che la ricchezza dell’uomo non sia la fede, ma il suo potere personale e sociale, la sua intelligenza, la sua cultura e la sua capacità di manipolazione scientifica, tecnologica e sociale della realtà. Così, anche in queste terre, si è iniziato a sostituire la fede e i valori cristiani con presunte ricchezze, che si rivelano, alla fine, inconsistenti e incapaci di reggere la grande promessa del vero, del bene, del bello e del giusto che per secoli i vostri avi hanno identificato con l’esperienza della fede. Non vanno, poi, dimenticate la crisi di non poche famiglie, aggravata dalla diffusa fragilità psicologica e spirituale dei coniugi, come pure la fatica sperimentata da molti educatori nell’ottenere continuità formativa nei giovani, condizionati da molteplici precarietà, prima fra tutte quella del ruolo sociale e della possibilità lavorativa».

Non si tratta di puri fenomeni sociali, ma di conseguenze - dirette o indirette - della perdita della dimensione verticale dell'esistenza. Nell'incontro con le autorità di San Marino nel Palazzo Pubblico il Papa è tornato su un concetto che ha più volte esposto negli ultimi anni: la «sana laicità», la quale si manifesta quando le istituzioni pubbliche, che per loro natura presiedono alla dimensione orizzontale della vita umana, non negano la dimensione verticale ma vi si aprono - senza confusione, ma con una disponibilità alla collaborazione. E in questo caso, ha affermato il Pontefice, «la Chiesa, rispettosa della legittima autonomia di cui il potere civile deve godere, collabora con esso al servizio dell’uomo, nella difesa dei suoi diritti fondamentali, di quelle istanze etiche che sono iscritte nella sua stessa natura».

Una sana laicità che non rifiuti la dimensione verticale, pur affermando la propria legittima autonomia, non può negare la legge naturale di cui la Chiesa sa che Dio è l'autore, e dunque i principi non negoziabili. Allo stato che voglia adottare il criterio della sana laicità il Papa chiede «legislazioni civili promuovano e tutelino sempre la vita umana, dal concepimento fino al suo spegnersi naturale. Inoltre, chiede per la famiglia il dovuto riconoscimento e un sostegno fattivo. Ben sappiamo, infatti, come nell’attuale contesto l’istituzione familiare venga messa in discussione, quasi nel tentativo di disconoscerne l’irrinunciabile valore. A subirne le conseguenze sono le fasce sociali più deboli, specialmente le giovani generazioni, più vulnerabili e perciò più facilmente esposte al disorientamento, a situazioni di auto-emarginazione ed alla schiavitù delle dipendenze. Talvolta le realtà educative faticano a dare ai giovani risposte adeguate e, venendo meno il sostegno familiare, spesso essi si vedono precluso un normale inserimento nel tessuto sociale. Anche per questo è importante riconoscere che la famiglia, così come Dio l’ha costituita, è il principale soggetto che può favorire una crescita armoniosa e far maturare persone libere e responsabili, formate ai valori profondi e perenni».

Dopo avere messo al primo posto - come sempre - i valori non negoziabili della vita, della famiglia e dell'educazione il Papa ha ricordato anche altri valori: il lavoro e l'accoglienza, così come nella recita dell'Angelus ha chiesto attenzione ai rifugiati. La crisi economica, ha affermato Benedetto XVI tornando su un tema della sua ultima enciclica, «spinge a riprogettare il cammino e diventa occasione di discernimento (cfr Enc. Caritas in veritate, 21); essa infatti pone l’intero tessuto sociale di fronte all’impellente esigenza di affrontare i problemi con coraggio e senso di responsabilità, con generosità e dedizione, facendo riferimento a quell’amore per la libertà che distingue il vostro popolo. A questo riguardo, vorrei ripetervi le parole rivolte dal Beato Giovanni XXIII [1881-1963] ai Reggenti della Repubblica di San Marino, durante una loro visita ufficiale presso la Santa Sede: “L’amore della libertà – diceva Papa Giovanni – vanta tra voi squisitamente radici cristiane, e i vostri padri, cogliendone il vero significato, vi insegnarono a non disgiungere mai il suo nome da quello di Dio, che ne è il suo insostituibile fondamento” (Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, I, 341-343: AAS 60[1959], 423-424). Questo monito del grande Papa conserva ancora oggi il suo valore imperituro: la libertà che le istituzioni sono chiamate a promuovere e difendere a livello sociale, ne manifesta una più grande e profonda, quella libertà animata dallo Spirito di Dio, la cui presenza vivificante nel cuore dell’uomo dona alla volontà la capacità di orientarsi e determinarsi per il bene».

La citazione di Papa Roncalli non è un mero richiamo storico, e torna all'essenziale del viaggio pontificio. Anche i problemi politici, alla fine, si risolvono solo con l'apertura alla dimensione verticale e all'incontro con Dio, «bontà che non ci lascia» - come ha detto il Papa nella Messa allo Stadio di Serravalle - e che, pur potendo distruggere il peccatore, viene invece a offrirgli il perdono. «Nel mondo c’è il male, c’è egoismo, c’è cattiveria e Dio potrebbe venire per giudicare questo mondo, per distruggere il male, per castigare coloro che operano nelle tenebre. Invece Egli mostra di amare il mondo, di amare l’uomo, nonostante il suo peccato, e invia ciò che ha di più prezioso: il suo Figlio unigenito. E non solo Lo invia, ma ne fa dono al mondo. Gesù è il Figlio di Dio che è nato per noi, che è vissuto per noi, che ha guarito i malati, perdonato i peccati, accolto tutti».

Occorre però comprendere bene in che cosa consista l'apertura alla dimensione verticale, che non è un mero esercizio intellettuale. Ancora ai giovani il Papa ha voluto ricordare che «l'incontro con Cristo non si risolve nell’adesione ad una dottrina, ad una filosofia, ma ciò che Lui vi propone è di condividere la sua stessa vita e così imparare a vivere, imparare che cosa è l'uomo, che cosa sono io». Alla fine, «la parola di Cristo mostra che la vostra vita trova significato nel mistero di Dio, che è Amore: un Amore esigente, profondo, che va oltre la superficialità! Che cosa sarebbe la vostra vita senza questo amore? Dio si prende cura dell’uomo dalla creazione fino alla fine dei tempi, quando porterà a compimento il suo progetto di salvezza. Nel Signore Risorto abbiamo la certezza della nostra speranza! Cristo stesso, che è andato nelle profondità della morte ed è risorto, è la speranza in persona, è la Parola definitiva pronunciata sulla nostra storia, è una parola positiva». Nessun altra parola salva.