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DOTTRINA SOCIALE

Bene comune e sussidiarietà: dove sta l'equivoco

È uscito in libreria “Le chiavi della questione sociale. Bene comune e sussidiarietà: storia di un malinteso”, a cura di Stefano Fontana, Fede & Cultura, Verona 2019 (con contributi di Danilo Castellano, Samuele Cecotti, Giampaolo Crepaldi, Stefano Fontana, Padre Arturo Ruiz IVE, Giovanni Turco”. Pubblichiamo un ampio stralcio dalla Introduzione di Stefano Fontana. Il libro verrà presentato lunedì 18 febbraio 2019, ore 18,30, a Verona, in via Marconi 60, presso la libreria “L’Isola del Tesoro”.

Editoriali 17_02_2019

È uscito in libreria “Le chiavi della questione sociale. Bene comune e sussidiarietà: storia di un malinteso”, a cura di Stefano Fontana, Fede & Cultura, Verona 2019 (con contributi di Danilo Castellano, Samuele Cecotti, Giampaolo Crepaldi, Stefano Fontana, Padre Arturo Ruiz IVE, Giovanni Turco”. Pubblichiamo un ampio stralcio dalla Introduzione di Stefano Fontana. Il libro verrà presentato lunedì 18 febbraio 2019, ore 18,30, a Verona, in via Marconi 60, presso la libreria “L’Isola del Tesoro”.

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I concetti fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa possono perdere, col tempo, di significato, oltre che venire deformati a causa dell’influenza di correnti di pensiero con essi incompatibili. I cattolici possono quindi intenderli e adoperali in modo sbagliato e lo stesso Magistero ne può dimenticare alcune dimensioni fondamentali e presentarli in modo riduttivo. Il processo di precisazione e approfondimento del loro significato è quindi continuo e va portato avanti in ogni epoca. L’intento di questo processo deve essere apologetico, ossia di chiarimento e difesa del senso pieno e preciso di quei concetti.

Quanto appena detto vale senz’altro per due principi di prim’ordine della Dottrina sociale della Chiesa, quello del bene comune e quello di sussidiarietà. Ambedue non mancano mai negli elenchi dei principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa che i manuali abitualmente stendono. È però anche vero che i due principi in parola sono oggi molto fraintesi, non sempre chiariti dallo stesso Magistero, generalmente appiattiti su categorie di pensiero non cattoliche e generalmente intesi in senso prevalentemente, quando non esclusivamente, orizzontale. Poiché quello della Dottrina sociale della Chiesa è un corpus dottrinale, le ripercussioni di questi fraintendimenti investono altri aspetti del quadro, compromettendolo nel suo insieme. Poiché, nonostante oggi si dica il contrario, non c’è prassi senza dottrina, le ripercussioni negative non rimangono certo astratte ma incidono sulla vita, mostrando tutto il danno bruciante dell’errore.

La prima condizione per intendere in modo corretto il bene comune e la sussidiarietà è di ordine teoretico, perché l’esistenza segue l’essenza e l’essenza si coglie con un atto realistico dell’intelligenza. La Dottrina sociale della Chiesa ha alle spalle un sistema di pensiero filosofico, che essa esige come proprio preambulum. Questo sistema è il realismo metodico o filosofia dell’essere, come stabilito dalla Aeterni Patris (1879) e dalla Fides et ratio (1998). Quando ci si discosta da questo quadro di senso filosofico, diventa inevitabile che principi come quelli del bene comune e di sussidiarietà perdano il loro fondamento reale e finalistico, finendo per venire intesi intesi in senso contrattualistico o utilitaristico, come somma di interessi privati, oppure come procedure per conseguite obiettivi di interesse generale, come il ben-essere dello Stato o come il benessere senza il Bene.

La seconda condizione è che questi concetti, oltre a venire intesi dentro il quadro di una filosofia adeguata, vengano concepiti in rapporto alla corretta dottrina della fede, con la dogmatica e la morale. Se questo non avviene, si assiste allo scollamento dei due principi suddetti dalle esigenze della fede della Chiesa ed essi diventano esclusivamente laici. Ci si chiede, a quel punto, cosa abbia da dire la Chiesa tramite la sua Dottrina sociale su di essi.

La Dottrina sociale della Chiesa sta esattamente nel punto di incontro tra natura e soprannatura. Essa ha un compito missionario e, a suo modo, salvifico, che esercita non sovrapponendosi oppure accostandosi alle esigenze naturali e correttamente razionali, ma confermandole, assumendole e purificandole. Il sapere naturale, a suo modo già interno alla logica della salvezza in quanto frutto della Creazione ma bisognoso di redenzione, non viene annullato né considerato indifferente, ma incorporato, illuminato e innalzato. Una volta eliminati i concetti di natura e soprannatura, come avviene da molta parte della teologia contemporanea, per la Dottrina sociale della Chiesa non rimane molto spazio. Ciò è evidente nei due principi che stiamo esaminando. Quello del bene comune porta con sé l’ontologia della comunità politica e quella della persona, il rapporto tra l’uno e i molti, un concetto finalistico di autorità, il fondamento della morale e così via. Quello di sussidiarietà porta con sé il concetto organico della società umana, quello della responsabilità morale in ordine al perseguimento dei propri fini naturali, una visione della libertà come dipendente dalla responsabilità e quindi dei diritti come dipendenti dai doveri. Si tratta di una concettualità filosofica di cui la Dottrina sociale della Chiesa si nutre e che non può quindi dipendere indifferentemente da correnti filosofiche le più varie ma dalla retta ragione, dalla filosofia naturale. 

Strettamente collegato con questi aspetti è il rapporto dei due concetti di bene comune e sussidiarietà con il pensiero moderno e le sue principali categorie. L’eccessivo affrettarsi a condividere con la modernità le sue modalità di pensiero sta gettando la filosofia cristiana e la teologia verso l’assunzione di principi che corrompono la Dottrina sociale della Chiesa. La continuità tra natura e soprannatura viene così impedita e la Dottrina sociale della Chiesa non può più contare su una logica veritativa e quindi non può più pretendere di parlare a tutti gli uomini con il linguaggio naturalmente umano. Da un punto di vista logico, essa diventa così un’opinione che si rapporta con le altre opinioni in un dialogo privo di veri criteri.

Quello di bene comune è un concetto che si basa su un ordine naturale, prima di tutto anche se non esclusivamente, ma la filosofia moderna rifiuta il concetto di natura e, nelle sue formulazioni più acute, anche quello di ordine. Il bene comune è un concetto di ordine morale e, quindi, presuppone un finalismo nelle cose, ma il pensiero moderno, assieme al concetto di natura ha eliminato anche quello di fine, sicché una normatività dell’essere viene esclusa a vantaggio di un bene non più dato come ciò a cui tutti tendono ma come costruito: un bene non più normativo ma normato da parte di chi lo determina. Il bene comune è un concetto tradizionale, nel senso di quanto ci precede in un ordine ben compaginato e organico, e segna così anche il nostro dover essere, ma la modernità ha accentuato l’assolutezza del “nuovo” - storico, prassico, politico che sia - considerando la rivoluzione come matrice di verità e di bene morale, anzi più propriamente l’atto rivoluzionario, anche privo di contenuto e quindi nichilista. Il bene comune è un concetto anche verticale, reso possibile dalla trascendenza e da Dio, ma il pensiero moderno nasce sotto lo stigma del principio di immanenza, del prevalere della coscienza sull’essere e quindi sulla chiusura dell’io dentro se stesso come prigione. Un io, del resto, continuamente depotenziato sicché il suo bene, oltre ad essere individualisticamente solo proprio (e non comune), diventa anche un nulla di bene.