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IL CASO

Belgio, riaffiora lo scandalo abusi: il cardinale eletto rinuncia

Papa Francesco ha accettato la rinuncia al cardinalato di mons. Lucas Van Looy, che avrebbe dovuto ricevere la porpora nel concistoro di agosto. Fatali al vescovo emerito di Gand le accuse, da parte del Werkgroep Mensenrechten in de Kerk, di non aver fatto abbastanza a suo tempo per fermare due religiosi responsabili di violenze su minori. Imbarazzo nella Chiesa belga.

Ecclesia 22_06_2022

Contrordine, fratelli! La notizia della rinuncia al cardinalato di monsignor Lucas Van Looy, accettata da Papa Francesco, ha provocato un brusco dietrofront da parte della Conferenza episcopale belga. Lo scorso 29 maggio, infatti, quando il Santo Padre aveva annunciato che nell’elenco dei cardinali che saranno creati il 27 agosto c’era anche il nome del vescovo emerito di Gand, il presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Jozef De Kesel, aveva fatto sapere di aver chiamato Van Looy per congratularsi con lui a nome di tutti i vescovi e aveva anche annunciato la sua presenza a Roma per il Concistoro. Anche padre Tommy Scholtes, portavoce della Conferenza, aveva reagito con giubilo alla notizia.

L’euforia, però, è durata poco: il tempo di leggere il comunicato dell’associazione Werkgroep Mensenrechten in de Kerk (“Gruppo di lavoro Diritti umani della Chiesa”) che criticava duramente la condotta passata sul fronte abusi del cardinale eletto, accusato di non aver agito adeguatamente per fermare due religiosi responsabili di violenze su minori durante la loro attività missionaria in Africa. In uno dei due casi, quello di Omer V. che negli anni Ottanta avrebbe violentato diversi minori in Congo e negli anni Novanta una ragazza nella periferia di Gand, si registrò anche un incidente diplomatico: nel 2014, infatti, l’imminente partenza per una missione umanitaria tra gli orfani africani del discusso prete venne bloccata soltanto dall’intervento del console generale onorario del Ruanda che fece ritirare il visto dopo lo scoppio dello scandalo sui media belgi.

All’epoca la Diocesi di Gand si era difesa dalle accuse di non aver fatto abbastanza, sostenendo che il vescovo aveva imposto misure restrittive che erano state ignorate da Omer V. e che non poteva fare molto altro. Il giornalista Yves Delepeleire ha raccontato che il console del Ruanda si disse “molto dispiaciuto” dell’atteggiamento di Van Looy con cui si conosceva personalmente e che mai gli aveva parlato di quel caso, nonostante ne fosse a conoscenza. Il dossier era noto anche a Roma come aveva raccontato nel 2014 proprio Van Looy dicendo di aver chiesto la riduzione allo stato laicale per Omer V. che però nel 2009 era stato insignito dalla diocesi di un’onorificenza per i 50 anni di sacerdozio.

Per tutti questi motivi, già nel 2018 l’organizzazione Ending clergy abuse (Eca) aveva chiesto al Vaticano di aprire un’indagine sul vescovo di Gand e lo scorso mese all’annuncio del Concistoro i malumori sono riemersi, con il comunicato del Werkgroep Mensenrechten in de Kerk, nel quale Van Looy è stato accusato di aver ignorato le loro lettere di denuncia e di non aver agito come avrebbe dovuto. Il conseguente clamore ha portato al passo indietro del salesiano belga che ha chiesto al Papa di esonerarlo dall’accettazione del cardinalato. Così è stato. Una svolta che ha costretto la Conferenza episcopale belga a cambiare il registro delle dichiarazioni: il cardinale De Kesel, che precedentemente aveva fatto sapere con entusiasmo di voler partire per Roma per assistere al Concistoro, ha annunciato di aver accolto “favorevolmente” la decisione. Addirittura sul canale social della Conferenza, “Cathobel” (con ricondivisione del portavoce Scholtes), la notizia del passo indietro è stata presentata come la prova che la Chiesa belga “decide di mettere al centro le vittime”.

Eppure, tre settimane prima, nonostante le accuse a Van Looy di “non aver reagito con sufficiente energia, quale vescovo di Gand (2004-2020), contro gli abusi” fossero già note, non si era pensato alle prevedibili critiche delle associazioni, ma ci si era limitati ad esultare. Una figuraccia per la Chiesa del Belgio che ha alle spalle una storia recente di sofferenze per lo scandalo abusi: l’opinione pubblica, infatti, non le ha ancora perdonato il caso dell’ex vescovo di Bruges, Roger Vangheluwe, reo confesso dell’aggressione sessuale di un suo nipote minorenne e che attualmente vive ritirato in un’abbazia francese, a Solesmes.

La credibilità minata sulla questione abusi si unisce al deserto vocazionale che fa svanire sempre più il mito del Belgio come roccaforte del cattolicesimo: secondo un report basato sui numeri dell’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2019, infatti, è probabile che seguendo questo trend l’ultimo monastero belga chiuderà nel 2030, quindi fra meno di dieci anni. Uno scenario che non spaventa il suo primate, il cardinale De Kesel, che da sempre vede nella scristianizzazione un’opportunità e sostiene che il cattolicesimo debba abbracciare la società secolarizzata. Proprio l’attuale presidente della Conferenza episcopale belga ha compiuto pochi giorni fa il fatidico 75° compleanno e ha inviato a Roma le sue dimissioni da arcivescovo di Malines-Bruxelles. Questa volta, però, non si replicherà il precedente del 2015, quando le dimissioni del suo predecessore, monsignor André-Joseph Léonard (voluto lì nel 2010 da Benedetto XVI al posto del cardinal Godfried Danneels, nonostante l’uscente avesse indicato la sua preferenza proprio per De Kesel), vennero accettate a tempo di record: è probabile, infatti, che tutto resti invariato fino al prossimo novembre, mese in cui è programmata la visita ad limina dei vescovi del Belgio.

 

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