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STATI DI CRISI

Belgio in cerca di autore, ma almeno di un governo

Mentre incombe lo spettro della secessione, sono i cattolici a poter  svolgere un ruolo di primo piano
per conservare l'unità nazionale.

Attualità 25_02_2011
Belgio Un futuro incerto attende il Belgio nei prossimi mesi. Abituato da sempre a lottare - basti pensare alle due occupazioni subite ad opera della Germania nel corso del secolo scorso - il popolo belga da oltre 250 giorni non ha un primo ministro: mai un paese aveva finora vissuto una simile esperienza.
Gli affari correnti sono stati affidati al premier uscente, il cristiano-democratico Yves Leterme, dimessosi nell’aprile del 2010. Convocate le elezioni anticipate, il paese attendeva l’uscita di un vincitore in grado di formare un nuovo governo, tradizionalmente composto da un’alleanza tra più partiti. I risultati, pur premiando a livello nazionale il partito socialista, non hanno però portato alla formazione di una maggioranza stabile. Tentativi in tal senso sono stati compiuti dall’italo-belga Elio Di Rupo, presidente del Partito socialista vallone (Ps), e da Bart De Wever, leader dei secessionisti moderati della Nuova Alleanza Fiamminga (N-Va).  

Recentemente re Alberto II, ha incaricato Didier Reynders, ministro in carica dell’Economia, di proporre al Parlamento la discussione di alcuni provvedimenti finanziari, la cui approvazione è resa necessaria per la normale attività dello Stato.      

L’impasse istituzionale rispecchia la natura federale del Paese. A partire dal 1993 il Belgio è composto da tre regioni: le Fiandre (13.522 km² e quasi 6,2 milioni di abitanti), di lingua neerlandese; la Vallonia (16.884 km² e circa 3,5 milioni di abitanti), di lingua francese, e la Regione di Bruxelles-Capitale (1,1 milioni di abitanti in larga maggioranza francofoni). Le Fiandre producono il 58% del Pil del Paese, la Vallonia il 23,3 %. Da lungo tempo i fiamminghi manifestano una certa insofferenza nei confronti delle regioni francofone accusate di assistenzialismo e scarsa produttività.

Alla luce delle divisioni esistenti, i cattolici, la cui presenza è stata fondamentale lungo la storia del Belgio, possono ricoprire un ruolo di primo piano nel tentativo di conservare l’unità nazionale. Fin dalla sua indipendenza, avvenuta nel 1830 sulla scia della rivoluzione liberale scoppiata nella vicina Francia, la nazione belga ha potuto infatti contare sull’apporto dei cattolici. A seguito della secessione dal Regno dei Paesi Bassi, la Chiesa belga fu riorganizzata dal cardinale Engelbert Sterckx (1792-1867), arcivescovo di Malines dal 1830 al 1867. Verso la metà del XIX secolo il cattolicesimo belga fu in grado di proporsi come un modello per le altre Chiese in Europa, grazie a una proficua collaborazione tra clero e laici; questi ultimi, come ha ricordato lo storico Roger Aubert, «seppero capire che un lealismo incondizionato verso la fede cristiana, la Chiesa e il papa, era perfettamente compatibile, con una larghezza di spirito, simpaticamente aperto alle aspirazioni del proprio tempo e soprattutto verso quello che vi era di sano e perfino di cristiano nelle intuizioni fondamentali del liberalismo moderno».

Nonostante la sua vitalità, la Chiesa belga fu soggetta a una dura battaglia sia con il ceto dirigente liberale sia con la classe operaia del Paese. Provvedimenti anticlericali furono adottati dai governi liberali in particolare nel campo della scuola. La reazione della Chiesa fu affidata ai congressi di Malines (1863, 1867 e 1909), che permisero ai cattolici di reagire agli attacchi subiti grazie all’elaborazione di un alternativo modello sociale e all’organizzazione di un proprio partito in grado di competere nella guida del Paese con le altre forze politiche.

Negli anni seguenti attraverso la Lega democratica belga e l’apporto dell’Università Cattolica di Lovanio - la sola università cattolica del mondo a possedere tutte le facoltà - i cattolici del Belgio furono in grado di collaborare allo sviluppo del paese ed alla crescita del cattolicesimo in generale. Lo stesso prestigio internazionale raggiunto dal Belgio all’interno dell’Unione Europea e dei principali organismi internazionali è dovuto in parte al contributo del cattolicesimo locale.     

Recentemente, hanno ricordato i padri gesuiti de La Civiltà Cattolica, il clero belga è stato sconvolto «dalla rivelazione di atti pedofili commessi 25 anni fa dal vescovo di Bruges. Questa confessione, seguita dalle dimissioni, ha offerto l’occasione ai vescovi del Belgio, e in particolare al nuovo arcivescovo di Malines-Bruxelles, mons. André-Joseph Léonard, successore del cardinale Godfried Danneels, di manifestare la ferma determinazione a dare la priorità alla sorte delle giovani vittime di abusi sessuali, piuttosto che a cercare di salvare ad ogni costo la reputazione dell’istituzione ecclesiale». Nonostante gli scandali e gli attacchi subiti, il cattolicesimo belga si candida a ricoprire un ruolo di primo piano all’interno della società belga.

Per quanto concerne la vita politica non resta che augurarsi l’adozione di una giusta soluzione, in grado di accogliere le richieste delle varie componenti nazionali. Il compito spetta alle forze politiche, le quali ultimante sono però apparse più interessante a censurare le dichiarazioni del Papa sull’uso del preservativo nella lotta contro l’Aids in Africa, piuttosto che a risolvere i problemi del Paese.