Bce, da fabbrica di euro a fabbrica di illusioni
Mario Draghi, vinte le resistenze della Germania, ha usato il "bazooka" monetario, acquistando titoli di Stato e obbligazioni fino a 60 miliardi di euro all'anno e immettendo nel mercato una gran quantità di moneta circolante. Ma la fabbrica di moneta può rivelarsi una fabbrica di illusioni. Perché le ragioni della crisi sono strutturali e non dipendono dalla moneta.
La Banca centrale europea ha annunciato nei giorni scorsi il tanto atteso piano di allentamento monetario sull’onda di quanto realizzato da Stati Uniti e Giappone. Con l’acquisto di titoli di Stato e obbligazioni verranno immessi sul mercato fino a 60 miliardi di euro al mese nel tentativo di ridare dinamismo all’economia, di evitare una deflazione (riduzione dei prezzi) che viene considerata particolarmente pericolosa, di ridurre l’intero sistema dei tassi di interesse in modo da rendere più facili i prestiti insieme alla sostenibilità dei debiti in essere.
Va dato atto a Mario Draghi, che della Bce è presidente, di essere riuscito a vincere le resistenze della Germania su questa operazione anche se ha dovuto cedere, peraltro in modo più formale che sostanziale, sulla divisione dei rischi imputandone l’80% alle single banche nazionali. Una concessione più formale che sostanziale perché un eventuale fallimento di uno dei paesi interessati non potrebbe che coinvolgere con un effetto sistemico tutta l’area dell’euro.
I problemi di fondo di questa svolta di politica sono comunque altri e non di lieve portata. In primo luogo la scelta della Bce è una conferma della gravità della crisi in cui si trovano le economie europee. Se si usa il bazooka, come è stato definito l’intervento, non è certo per sparare alle farfalle. L’Europa si trova infatti in una forte stagnazione che è tuttavia causata molto più da elementi reali che non da fattori monetari.
Il calo dei consumi è infatti dovuto in gran parte alla stagnazione demografica, all’invecchiamento della popolazione, alla diminuzione dei matrimoni e della creazione di nuove famiglie.
La stasi degli investimenti è dovuta sul fronte privato dalle prospettive negative dei mercati non solo finanziari, e sul fronte pubblico, dai vincoli di bilancio e dalla complessità delle procedure burocratiche e amministrative.
La deflazione è determinata soprattutto dalla diminuzione dei prezzi del petrolio, una diminuzione che non potrà durare a lungo e che comunque rappresenta un elemento positivo per le economie europee fortemente dipendenti dalle importazioni energetiche.
La difficile competitività delle imprese è determinata dalla forte pressione fiscale, dalle rigidità del mercato del lavoro, dalla scarsa capacità di innovazione del sistema Paese.
Di fronte a questi fattori dare qualche soldo in più alle banche perché li girino più facilmente alle imprese e alle famiglie (è questa la logica della mossa Bce) può certamente dare un aiutino, ma altrettanto certamente non potrà essere una scelta risolutiva per le economie europee in generale ed italiana in particolare. In Europa non mancano i capitali, manca la ricchezza reale che può essere messa in campo dalla fiducia delle persone, delle famiglie e delle imprese. Una metafora utilizzata in passato diceva che se il cavallo non beve, perché non ha sete o è malato, è inutile aggiungere acqua alla fontana.
La fabbrica della moneta, cioè la banca centrale, può rivelarsi così la fabbrica delle illusioni. Gli strumenti che le banche centrali possono utilizzare, il controllo della quantità di moneta e dei tassi di interesse, appaiono limitati e insufficienti di fronte ad un mercato dei capitali che solo in minima parte è costituito dallo scambio fisico di banconote e monete e in cui il sistema finanziario ha un peso nettamente superiore a quello dell’economia della produzione e dello scambio.
Le banche centrali peraltro sono e devono essere formalmente indipendenti dal potere politico. Questo per evitare che la politica usi il potere di emettere moneta per aumentare il proprio consenso favorendo qualche settore particolare della società. Ma alla politica resta comunque in mano l’altra metà della strategia economica: quelle scelte fiscali e di bilancio che possono avere ancora più efficacia se strettamente coordinate con la politica monetaria. E invece la banca centrale diventa lo strumento di ultima istanza per sostenere le economie in difficoltà, economie che peraltro otterrebbero maggiori benefici da quello che può fare il sistema politico e la dimensione sociale: le riforme di struttura, la semplificazione burocratica, i tagli alla pressione fiscale, il rilancio delle politiche famigliari.