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MANCHESTER

Basta un concerto a rispondere alla furia islamista?

Dopo l'attentato kamikaze di un giovane musulmano che due settimane fa ha ucciso 22 persone uscite dal concerto della pop star Ariana, domenica sera in oltre 50 mila si sono radunati per l'evento "One Love Manchester". Sul palco, tra sentimentalismo e volontarismo, il mondo della musica ha risposto censurando il dolore e la domanda di senso che emergono di fronte alla morte e alla violenza che sta invadendo l'Occidente.

Editoriali 06_06_2017
Concerto "One Love Manchester"

Forse potrà bastare a chi ancora si illude che l’irenismo e l’amore facile di “un abbraccio e via”, che non ha nulla a che vedere con il sacrificio di portare sulle proprie spalle la vita del prossimo, possano sconfiggere il male diabolico e feroce del diavolo che muove il terrorismo islamico. O a chi, non trovando altra via d’uscita alle stragi compiute dai kamikaze in Europa, si è recato al concerto “One Love Manchester” organizzato nello stadio del cricket di Old Trafford.

L'AMORE VUOTO - A rispondere così  all’attentato  di Manchester del 22 maggio scorso è stata la cantante Ariana Grande e il mondo della musica pop, nella speranza che basti sforzarsi di andare avanti per “creare un mondo di pace”. Con lei sul palco tantissime star hanno abbozzato tentativi di risposta, forse in alcuni casi mosse davvero da nobili intenzioni ma tristi e insufficienti. Se non addirittura umilianti quando, ad esempio, Ariana e il suo fidanzato Mac Miller hanno offerto come consolazione alla morte violenta di 22 persone il loro amore "light" fatto di sentimento e di “esplorazioni” nel letto (come recita il testo di “The Way”). Perché proviamo a immaginarci di essere uno dei parenti delle piccole vittime trucidate e chiediamoci se non ci offenderebbe sentirsi gridare da una 23enne, che solitamente si esibisce in body con e orecchie da coniglio, che “bisogna dimenticare e guardare avanti” e che “questo tipo di amore (gente riunita insieme a cantare per nascondere un vuoto straziante, ndr) è la medicina di cui ha bisogno il mondo”.

L'OBLIO DEL MALE - Che differenza fra questa melassa che nasconde il vuoto cantato a squarciagola per dimenticare e le immagini della vedova di un martire copto, ucciso durante la domenica delle palme fuori da una chiesa, che reagiva così: “Non sei nel giusto, figlio mio, credimi, non la pensi nel modo giusto (…) io chiedo a Dio di perdonare e di aiutarli a ravvedersi (…) Pensateci ancora, cosa state facendo, è giusto o sbagliato? Ripensateci ancora”. A dimostrare che l’"amore leggero" nasconde una grande indifferenza che non c’entra nulla con il perdono di Dio che amandoli giudica i nemici. Infatti guardando ai cantanti che inneggiano il “love” fatto di cuori rosa e frasi fatte, alle braccia alzate e delle mani unite a forma di cuore, a Katy Perry, una delle star invitate a esibirsi, che afferma "l'amore batte l'odio e batte la paura”, perciò “toccate la persona che è accanto a voi, entrate in contatto l'uno con l'altro. E ditevi: ti voglio bene", o a Robbie Williams che ha stretto i denti intonando “Manchester we're strong, we're strong", viene la sensazione che non solo questa risposta sia insufficiente e ridicola agli occhi del furore islamico, avido della mollezza occidentale, ma che un concerto simile non faccia che peggiorare la situazione. Non solo non rendendo onore ai morti e alle famiglie delle vittime, ma incrementando l’oblio del male e l’illusione della pace senza prezzo, vivaio del jihadismo crescente nelle nostre città prive di ideali abbastanza forti da sfidare il fondamentalismo islamico.

VIETATO PENSARE - Non un grido, dunque, non un perché, non una parola sul terrorismo islamico, non una lacrima di dolore profondo al “One love Manchester”, fatto di grandi emozioni, pianti reattivi e abbracci di vicinanza momentanei ad anestetizzare la sofferenza che dovrebbe necessariamente emergere per ricordare all’uomo il suo bisogno infinito di salvezza. Quello a cui non c’è concerto di 55 mila persone, radunate nonostante la sera prima a Londra fosse stata vittima di un altro tentato, che possa rispondere davvero. Per questo se non la condanna di una religione che fa di Dio un guerrafondaio, unita alla possibilità del perdono cristiano (una grazia che, bisogna dirlo, costa lacrime e sangue), sarebbe stato più dignitoso dar sfogo al dolore. Perché solo accogliendolo si finisce per intuire che di fronte al male dilagante e alla morte può rispondere adeguatamente solo un Dio che la morte l’ha vinta assumendola su di sé e risorgendo. Unicamente in questo modo si sarebbe più facilmente spinti a non reagire con l’irenismo o il volontarismo ma piuttosto mendicando in ginocchio la salvezza. Però è chiaro che tutto questo al potere moderno e autosufficiente non piace.

COSA DEVE ACCADERE ANCORA? - Così, di forte all’ennesimo evento che poteva essere drammaticamente pedagogico per un Occidente dimentico che la vita in terra è passeggera e che esiste quella eterna, ci si ostina a credere nei ponti e nella pace senza contenuti, sforzi o sacrifici (figurarsi il sangue del martirio). Tanto che viene da domandarsi che cosa debba accadere ancora per riuscire a liberare l'uomo dall’incantesimo autolesionista del pacifismo ideologico.