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RIPASSO DI STORIA

Basta fare paragoni azzardati con Hitler

Hitler non venne eletto in elezioni libere e democratiche. Il suo fu un vero golpe bianco, approfittando della sua nomina in un governo di transizione. Non venne comunque votato dalla maggioranza dei tedeschi. E i cattolici gli furono sempre contro. Serve un ripasso per evitare di ripetere i soliti paragoni azzardati

Cultura 08_02_2017
Manifesto elettorale di Hitler

Negli ultimi tempi, ogni volta che si parla dei danni del cosiddetto ‘populismo’, si cita come esempio Hitler e la sua ascesa al potere, e si afferma che egli fu eletto democraticamente, oppure, come ha affermato anche papa Francesco nell’intervista rilasciata al quotidiano El Pais lo scorso 20 gennaio, che «tutta la Germania» votò Hitler.

In realtà, in elezioni libere, democratiche e prive di condizionamenti e di violenze, Hitler non ebbe mai la maggioranza assoluta dei voti, né voti sufficienti per formare una maggioranza parlamentare. Per comprendere la genesi del movimento nazionalsocialista e il suo crescente successo bisogna tornare agli anni del primo dopoguerra.

In Germania, i primi cinque anni della Repubblica di Weimar, quelli immediatamente successivi alla sconfitta degli imperi centrali nella Prima Guerra Mondiale, furono caratterizzati da un susseguirsi di sollevazioni comuniste e di colpi di Stato di estrema destra, dall’occupazione di porzioni di territorio tedesco da parte di potenze straniere, da tentativi di secessione, da un numero impressionante di omicidi politici, nonché dal succedersi di nove governi. 

Il Land dove maggiormente regnava l’odio e la ribellione anti-berlinesi e anti-repubblicani era la Baviera, fino al novembre 1918 retta dalla dinastia dei Wittelsbach. Orgogliosamente legati alle proprie tradizioni politiche, culturali e religiose, i bavaresi avevano digerito l’inglobamento nel Reich bismarckiano e guglielmino solo per il fatto che nella struttura confederale dell’Impero tedesco non era stata toccata la quasi totalità delle competenze che i singoli Stati avevano goduto in precedenza. La nuova Costituzione repubblicana, invece, le abrogava quasi tutte.

Governata dal 1919 dal partito di ispirazione cattolica Bayerische Volkspartei (BVP) - nel resto del Paese l’elettorato cattolico era rappresentato dalla Deutsche Zentrumspartei, Partito Tedesco di Centro -, la Baviera viveva sotto la costante minaccia di organizzazioni politiche e paramilitari di estrema destra, monitorate ma non debellate dal governo del Land in vista di una possibile lotta di indipendenza da Berlino. 

Tra le formazioni politiche più in vista dell’estremismo di destra bavarese vi era il Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (Nazionalsozialistiche Deutsche Arbeiterpartei – NSDAP) guidata da Adolf Hitler, un caporale di origini austriache, che nei primi convulsi mesi del dopoguerra aveva militato anche nella Rote Armee (Armata Rossa), formazione paramilitare dei ribelli comunisti che avevano preso il potere a Monaco nel novembre 1918. 

Dopo avere guidato un fallito colpo di Stato a Monaco il 9 novembre 1923, egli fu condannato a un anno di reclusione. Tuttavia, dopo l’espiazione della pena, non venne espulso dalla Germania (era cittadino straniero, appunto austriaco), e ciò dietro espressa richiesta del leader socialdemocratico bavarese Auer, il quale considerava Hitler politicamente finito e ormai del tutto innocuo.

Dal 1924 al 1929 la NSDAP si diffuse in tutta la Germania, senza tuttavia ottenere grandi risultati elettorali. Con la crisi economica del 1929, aggravata dai pesantissimi danni di guerra che la Germania doveva pagare ai Paesi dell’Intesa, sulla NSDAP, e a sinistra, sui comunisti, si riversarono i voti di protesta dei tedeschi ridotti all’estrema povertà. Il primo successo per il partito di Hitler avvenne nelle elezioni del Land Turingia, dove esso triplicò i propri voti ottenendo l’11,3%.

A livello nazionale, alle elezioni politiche del 14 settembre 1930 la NSDAP ottenne il 18,3% e 107 deputati, il partito comunista il 13,1% e 77 deputati su 577 seggi. Con un parlamento bloccato dagli opposti estremismi, il Cancellerie Brüning, cattolico del Partito di Centro, governò il Paese per due anni praticamente senza Parlamento, emanando decreti presidenziali che non necessitavano dell’approvazione parlamentare.

Il 30 maggio 1932 Brüning fu destituito dal presidente Hindenburg, circostanza che provocò il caos politico più completo. Quell’anno vi furono due elezioni parlamentari, il 31 luglio e il 6 novembre, che lasciarono la situazione del tutto immutata. In occasione della prima consultazione elettorale, la NSDAP salì al 37,3% dei voti per 230 deputati, mentre il 6 novembre, il partito di Hitler perse due milioni di voti rispetto a tre mesi prima, fermandosi al 33,1% e 196 deputati.

In questa situazione i due governi formatisi quell’anno su iniziativa di Hindenburg ebbero vita breve: il primo, guidato da Franz von Papen, ex membro del Centro, non riuscì neppure a presentarsi in Parlamento per ottenere la fiducia. Dopo pochi mesi, sempre su decisione del Presidente, fu sostituito dal generale Kurt von Schleicher, il quale rimase in carica solamente settanta giorni, prima di essere egualmente deposto da Hindenburg.

Le elezioni del 6 novembre sembravano rappresentare l’inizio della fine per la NSDAP. La situazione economica dava segni di miglioramento, e Hitler era sfiancato dall’opposizione della sinistra interna del partito, guidata da Rudolf Strasser, e dall’insofferenza dell’ala movimentista, rappresentata dalle SA (Sturmabteilungen) e dal suo capo, Ernst Röhm, il quale reclamava un’azione più energica dal punto di vista militare per la conquista del potere.

Fu in questo contesto che Papen, volendosi ritagliare un futuro politico all’interno del governo del Paese e togliere di mezzo Schleicher, convinse il presidente Hindenburg a nominare Hitler Cancelliere del Reich.

Il gabinetto Hitler, secondo le intenzioni di Papen, avrebbe dovuto rappresentare una transizione in attesa di tempi più propizi ai suoi disegni personali. Lo stesso Hitler veniva considerato prigioniero in un governo conservatore, nel quale solamente tre ministri - Wilhelm Frick agli Interni, Franz Gürtner alla Giustizia e Hermann Göring Ministro senza portafoglio e Commissario Speciale per la Prussia - appartenevano alla NSDAP. Tuttavia essi controllavano i gangli vitali dello Stato e del Land più importante, la Prussia. Da questa posizione di forza Hitler fece subito sciogliere di nuovo il Parlamento senza neppure chiedere un voto di fiducia, e indisse nuove elezioni.

La campagna elettorale fu caratterizzata da violenze e minacce, in alcuni casi sfociate in episodi di vero e proprio terrorismo urbano contro comunisti, socialdemocratici e partiti cattolici. L’incendio scoppiato al Reichstag nella notte tra il 27 e 28 febbraio, attribuito ai comunisti, ma opera probabilmente dei nazionalsocialisti, diede al governo il pretesto per emettere un Decreto Presidenziale ‘in difesa del popolo e dello Stato’ che sospendeva gli articoli della Costituzione che garantivano le libertà di espressione, di riunione, di associazione e di stampa, mentre il partito comunista fu subito sciolto d’autorità.

Nonostante questi fatti, che rendono le elezioni del 5 marzo 1933 non più libere e democratiche, il partito nazionalsocialista non ottenne l’agognata maggioranza assoluta dei voti, bensì solo il 43,9%, costringendo la NSDAP a un’alleanza di governo con il piccolo partito di destra moderata dei tedesco-nazionali. Anche questa finzione di democrazia durò poco, nei tre mesi successivi tutti i partiti parlamentari furono sciolti o costretti all’auto-scioglimento.

In conclusione, sebbene sia vero che la NSDAP ebbe molti voti – come abbiamo visto, nel 1932 la votò circa 1/3 dell’elettorato – non possiamo dire che il popolo tedesco abbia “eletto” Hitler. Ancora meno corrisponde a verità l’affermazione che “tutta la Germania” abbia votato per lui. Tra l’altro, la stragrande maggioranza degli elettori cattolici praticanti obbedirono alle indicazioni dei loro vescovi e furono fedeli fino all’ultimo ai due partiti cattolici. La cosa più importante è che la Chiesa cattolica tedesca rappresentò l’unico fattore di resistenza in terra tedesca allo strapotere nazionalsocialista, combattendo strenuamente l’ideologia neopagana di regime, teorizzata soprattutto dagli scritti dell’ideologo del partito, Alfred Rosenberg. 

Dinanzi al tentativo del regime di costruire una comunità di popolo fondata sul concetto di razza e sangue, essa ripropose senza tentennamenti la Legge di Dio e i Dieci Comandamenti quale fondamenti del vivere civile. La fedeltà del popolo cattolico alla dottrina e alla Legge di Dio, la resistenza degli intrepidi pastori della Chiesa tedesca di quel tempo rappresentò un fattore decisivo che indebolì il regime, costringendolo a una sfibrante lotta interna che alla fine risultò decisiva per le sue sorti.