Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giorgio a cura di Ermes Dovico
LA SENTENZA DI BOLOGNA

Bannato e risarcito. Facebook deve pagare un utente cancellato

Il tribunale di Bologna ha emesso una sentenza che crea un precedente interessante. Facebook ha cancellato una pagina dedicata alla storia militare di un avvocato, Vincenzo de Gaetano. Ma il giudice ha stabilito che lo deve risarcire, perché il motivo della cancellazione è arbitrario e il danno è stato forte. 

Economia 19_03_2021

Il tema della censura sui social continua ad essere al primo posto nella lista delle criticità legate all’esercizio dei diritti in Rete da parte degli utenti. I gestori delle più importanti piattaforme, da una parte invocano una irresponsabilità giuridica per i contenuti postati dagli utenti, dall’altra pretendono a volte di entrare a gamba tesa nella selezione (e rimozione) di tali contenuti, sulla base di criteri algoritmici o, in alcuni casi, di valutazioni ideologiche o legate alle loro policy interne. Ciò che difetta, però, è in moltissimi casi la mancanza di comunicazioni chiare e trasparenti agli utenti circa le ragioni di tali provvedimenti.

Una breccia si è tuttavia aperta nei giorni scorsi proprio in Italia, dopo una ordinanza del Tribunale di Bologna riguardante un professionista che si è visto riconoscere un risarcimento cospicuo per la chiusura arbitraria, da parte di Facebook, del suo account. 

Vincenzo de Gaetano, avvocato del capoluogo dell’Emilia Romagna, nonché appassionato di collezionismo e di storia militare, si era visto cancellare senza motivo  nel gennaio del 2020 il suo account su Facebook. Aveva chiesto spiegazioni ai titolari della piattaforma, i quali però si erano limitati a dire che era stata distrutta l’intera documentazione relativa al contratto e che dunque risultava impossibile verificare i motivi della rimozione e ripristinare l’account. Il gigante di Menlo Park è stato condannato dal Tribunale civile di Bologna a versargli 14mila euro di risarcimento per il danno subito nonché altri 12mila euro come punizione per una sorta di “lite temeraria”, ovvero un’azione legale scaturita da malafede e colpa grave.

L’uomo era iscritto a Facebook da più di dieci anni e aveva diverse pagine molto seguite. Una si chiamava “Collezionismo, militaria e legge” e l’altra “Libri e riviste storia militare”.  Facebook ha insistito perché la causa si svolgesse in Irlanda, ma il giudice ha fatto valere la legislazione a difesa del consumatore, che è in Italia. Da questo punto di vista, le tutele giurisprudenziali nazionali ed europee si sono notevolmente potenziate negli anni. Infatti, il foro competente viene sempre più spesso individuato nel luogo in cui il soggetto leso risiede o patisce il maggior danno e dunque ha un forte interesse a ricevere giustizia, sia in casi del genere sia in casi di danno reputazionale causato dalla pubblicazione di notizie, giudizi e opinioni che lo riguardano.

Come hanno chiarito i giudici bolognesi, "la rimozione di contenuti e la sospensione o cancellazione di account è prevista soltanto per le giuste cause indicate nel regolamento contrattuale, con obbligazione per il gestore di informare l’utente delle ragioni della rimozione". Inoltre, a causa della distruzione di tutti i dati contrattuali, si riscontra "un’evidente condotta contrattuale profondamente scorretta, che impedisce di ricostruire il rapporto". "Facebook – si legge nella ordinanza di Bologna - non è solo una occasione ludica, di intrattenimento, ma anche un luogo, seppure virtuale, di proiezione della propria identità, di intessitura di rapporti personali, di espressione e comunicazione del proprio pensiero". Creare nuove pagine e nuovi profili non cancella, dunque, il danno perché non garantisce il totale recupero dei contatti accumulati nel tempo dal titolare dei profili e delle pagine.

L’ordinanza ricorda che l’esclusione dal social network, con la distruzione della rete di relazioni frutto di un lavoro di costruzione durato, in questo caso, dieci anni "è suscettibile dunque di cagionare un danno grave, anche irreparabile, alla vita di relazione, alla possibilità di continuare a manifestare il proprio pensiero utilizzando la rete di contatti sociali costruita sulla piattaforma e, in ultima analisi, persino alla stessa identità personale dell’utente, la quale come noto viene oggi costruita e rinforzata anche sulle reti sociali".

Naturalmente, la stessa questione può presentarsi per qualsiasi altro social: come chiedere i danni a Instagram se banna un profilo? E come comportarsi se lo stesso provvedimento viene preso da altre piattaforme popolari? Dal punto di vista giuridico bisogna chiedersi se un social possa chiudere autonomamente un account oppure se un provvedimento del genere spetti a un giudice super partes o a una authority che applichi un corretto bilanciamento tra la libertà d’espressione e la tutela dei diritti della personalità altrui. In subordine, ove la piattaforma prenda un provvedimento di censura e di rimozione, occorre domandarsi se un giudice possa decretare l’illiceità di una simile decisione e possa imporre al gestore del social di risarcire l’utente. Il Tribunale di Bologna si è espresso favorevolmente e ha dunque stabilito un risarcimento per il professionista titolare dell’account rimosso da Facebook.

Peraltro negli ultimi due anni anche alcune ordinanze del Tribunale di Roma avevano assunto posizioni analoghe in materia di propaganda politica, censurando la decisione del social di Mark Zuckerberg di chiudere gli account di Casapound e ordinandone l’immediata riattivazione, alla luce del fondamentale rispetto del principio del pluralismo dei partiti politici. "L’esclusione dal social network di un’associazione attiva nel panorama politico italiano dal 2009 – si legge in un’ordinanza del Tribunale di Roma del 12 dicembre 2019 - si pone in contrasto con il predetto diritto al pluralismo eliminando o fortemente comprimendo la possibilità per l’associazione di esprimere i propri messaggi politici".

Sono pronunce che sottolineano il valore della libertà d’espressione e la necessità che si fissino regole precise per contemperare la libertà d’impresa delle piattaforme con la tutela dei diritti individuali e sociali.