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ECONOMIA

Baader, cristiano e liberale

L'unico vero statuto della libertà
sono i Dieci Comandamenti. Nulla
a che vedere con il socialismo.

Cultura 14_01_2012
Roland Baader (1940-2012)

Tra le sue aspirazioni c’era quella di rendere “popolare” la dottrina ispirata alla libertà elaborata dai grandi teorici Ludwig von Mises e Friedrich August von Hayek.

Roland Baader, che con von Hayek discusse una tesi d’economia politica all’università di Friburgo, si è spento l’8 gennaio (era nato nel 1940 vicino a Spira). Pubblicista e autore di numerosi studi dedicati al liberalismo classico  e all’analisi dell’attualità economico finanziaria, Baader, andrà ricordato anzitutto come un uomo che ha tentato di unire nella propria persona, prima che nella realtà sociale, il pensiero liberale e il cristianesimo: «La maggior parte dei liberali (e dei libertari) del mondo occidentale», scriveva nel 1998 all’atto di fondazione della rivista “eigentümlich frei”, di cui è stato fino all’ultimo prezioso collaboratore, «sostiene la tesi secondo la quale nel liberalismo, in quanto concezione secolare del mondo, non vi sia posto per enunciati programmatici di natura religiosa. Immedesimare la religione, e questo in occidente (che è anche il continente in cui è nato il liberalismo), con la fede cristiana sarebbe una questione privata e non vi sarebbe alcuna relazione necessaria con l’idea di libertà del liberalismo classico o del moderno libertarismo. Si tratterebbe di un’opzione possibile solo per il liberale inteso come singola persona, non per il liberalismo inteso auspicato ordinamento sociale».

Baader intendeva i Dieci Comandamenti come “statuto della libertà”, come il messaggio dell’amore al prossimo liberamente scelto da contrapporre alla statolatria e alla mortale etica rapinatrice del socialismo, per sua natura così pseudo-morale. Del cristianesimo non parlava in astratto, facendone lui stesso esperienza come marito, come padre e come amico.
Cristo, era solito dire, invitava a donare per libero convincimento, non a sottrarre all’altro con violenza. A partire da questa posizione Baader si contrapponeva al totalitario socialismo di Stato come pure al “socialismo con i guanti di velluto” proprio dello Stato assistenziale: entrambi erano per lui causa del decadimento della civiltà moderna, con la sola distinzione che il secondo produce lo stesso effetto più lentamente. Come nessun altro ha sviscerato la relazione tra il denaro “sano” (contrapposto a quello “fittizio” in carta), la morale e la sopravvivenza della cultura e della civiltà. Come pure ha preconizzato la crisi finanziaria e morale quando non vi erano altri in grado neppure di ipotizzarlo: «Già durante le allegre feste d’estate i più sensibili iniziano a infreddolirsi», era solito dire. Baader non è stato tenero neppure con le Chiese, che criticò duramente per lo stretto vincolo con il quale si sono legate allo stato assistenziale: così facendo quelle chiese vengono meno al loro compito morale e dunque ne risultano pervertite.

Baader si considerava uno “statista minimalista”, ma le sue convinzioni recenti andavano più nella direzione dell’anarchismo libertarian: «Sebbene mi ritenga uno statista minimalista e non mi annoveri tra gli anarco-capitalisti, devo ammettere che ultimamente questi ultimi sostengono gli argomenti migliori».
A proposito della sua produzione di studioso, colpiscono i titoli di alcuni libri (del tutto ignorati in Italia): L’illusione del socialismo sconfitto, del 1991, La catastrofe Euro. Per un Europa al plurale, contro l’univocità di Bruxelles, del 1993, fino al suo ultimo, pubblicato nel 2010, Il socialismo del denaro. Sulle vere cause della nuova depressione globale.
Pensatore raro per lucidità d’analisi e visione prospettica, di Baader proponiamo una riflessione del 27 dicembre scorso sull'attuale Germania: «Se osserviamo la Germania con gli "occhi del capitalista", ci accorgiamo di un Paese con un sistema pensionistico statale (cioè socialista), con un sistema sanitario statale, con un sistema educativo statale, con un mercato del lavoro vincolato dallo stato e dai sindacati, con un sistema fiscale confiscatorio (con una quota riservata allo stato superiore al 50%), con un mercato immobiliare pesantemente condizionato, con un comparto agrario massicciamente regolato e sovvenzionato e con un’industria energetica condizionato da un complicato intreccio di mercato e stato, con almeno centomila aziende di “proprietà comunale” (cioè proprietà dello stato) e con un monopolio statale della cartamoneta, perfino con una televisione di stato da sostenere con tassa obbligatoria».

Così «ci accorgiamo di un Paese nel quale quasi il 40% della popolazione vive interamente o prevalentemente di soldi provenienti dallo stato e nel quale l’intera vita dei cittadini viene determinata dalle regole dello Stato. Chi chiama capitalismo questo 80% di realtà socialista dev’essere accusato di cecità ideologica. E chi parla di turbo capitalismo o di capitalismo predatore deve aver perso del tutto il lume della ragione (o dev’essergli venuto il timor panico per la perdita di potere sopraggiuntagli per i balli di San Vito praticati verbalmente)».