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Avvenire e i gay, la dottrina recente meglio della vecchia

Avvenire tenta di sdoganare l'omosessualità appellandosi ad un asserito mutamento nella dottrina e facendo leva sul dubbio.

Gender Watch 22_02_2019

Un ottimo compendio per comprendere come alcuni, in casa cattolica, vogliano sdoganare l’omosessualità è dato dall’articolo, a firma di Luciano Moia pubblicato martedì scorso su Avvenire, dal titolo “Omosessualità e pedofilia. Spunti per capire”. In questo pezzo, scritto alla vigilia del Summit vaticano dedicato agli abusi su minori, viene condensata buona parte della strategia per far digerire l’omosessualità al cattolico della Domenica.

In primo luogo è bene essere obliqui nella prosa: mai affermare che l’omosessualità è condizione buona, mai scrivere esplicitamente che gli atti omosessuali esprimono vero amore. L’incedere deve essere sfumato, nebbioso, ambiguo, implicito, mai assertivo, altrimenti anche il lettore più distratto ti coglie subito in fallo. Per farlo basta semplicemente ricorrere alla forma dubitativa, perché la nuova Chiesa, secondo alcuni, non insegna la verità ma il dubbio, non dà risposte, ma pone solo domande. E così si passa dal “dubbio secondo cui si considera omosessualità e pedofilia comportamenti devianti frutto della stessa radice” al “rapporto irrisolto tra norma, coscienza e discernimento”, passando dal dovere “di interrogarsi e di interrogare” e infine approdare ad una gragnola di domande: “Fino a che punto spingere l’accoglienza? Accogliere non comporta il rischio di approvare anche implicitamente uno stile di vita? Quando si parla di dovere della castità cosa si intende? Rispetto, fedeltà e impegno di aiuto reciproco nella relazione o astinenza assoluta? […] Cosa intendiamo quando parliamo di omosessualità?”. La sintesi è questa: “Le domande potrebbero continuare a lungo ma le risposte al momento non ci sono, comunque non sono agevoli”. 

E dunque occorre studiare, approfondire, discernere, investigare, analizzare, soppesare, valutare sempre con prudenza. Tutte cose giuste, si badi bene, ma nella Chiesa cattolica da una parte vi sono alcune questioni che sono ancora avvolte dal mistero, ma non è questo il caso dell’omosessualità, e su altro fronte esistono alcune verità di fede e di morale ormai acquisite una volta per tutte, verità che possono e devono essere approfondite per capirle meglio – dato che la verità ha una profondità infinita – non per confutarle. L’approfondimento serve per aggiungere verità a verità, non per  trasformare la verità in errore. Forse che se ci interroghiamo e investighiamo a lungo un giorno potremmo scoprire che l’aborto e la pedofilia sono atti buoni? Quindi la strategia è chiara e procede per gradi: non negare esplicitamente che l’omosessualità è condizione intrinsecamente disordinata e le condotte omosessuali atti moralmente riprovevoli, ma porre il dubbio e dunque essere possibilisti sulla bontà dell’omosessualità. Esaurita questa fase, domani si potrà tranquillamente affermare che l’omosessualità è certamente cosa buona.

Dunque ad Avvenire ci si domanda se l’omosessualità sia una condizione moralmente accettabile oppure no (tenendo però a sottolineare che tra omosessualità, pedofilia ed efebofilia ci sono “enormi ed esplicite divergenze”). Eppure la dottrina è limpida e tutte le domande prima indicate hanno già ottenuto risposta esaustiva da tempo. Nel mazzo peschiamo a caso la carta del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati. […] Le persone omosessuali sonoo chiamate alla castità.” (2357, 2359). Più chiari di così si muore. Curioso che in un pezzo che si intitola “Spunti per capire” non si citi la fonte cattolica più autorevole.

Perché Moia non lo fa? La risposta rimanda alla seconda tattica gay friendly: la dottrina muta. Infatti l’autore dell’articolo appunta: “«La dottrina parla chiaro», direbbero coloro che usano le norme come pietre da scagliare nella vita delle persone. Già, ma quale norma? In Amoris laetitia – che rimane il più recente documento magisteriale sul tema – dopo aver ricordato l’esigenza della vicinanza pastorale alle persone omosessuali da parte della Chiesa, Francesco non aggiunge alcuna condanna etica, non ricorda il passaggio del Catechismo a proposito del «disordine morale oggettivo», come avevano fatto i precedenti documenti del magistero”. Dunque la dottrina è come le versioni del pacchetto Office: la più recente è migliore delle precedenti e le sostituisce. Per Moia il Catechismo quando parla di omosessualità è anticaglia perché Papa Francesco non ha condannato esplicitamente l’omosessualità. E allora perché il Papa ha approvato la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis del 2016 in cui si nega l’accesso ai seminari alle persone con tendenze omosessuali e perché nel libro intervista del 2018 La forza della vocazione il Pontefice ha ribadito la validità di tale divieto?

Terzo trucchetto: scovare nel male il bene. Moia a questo proposito parla “di coppia stabile, fedele, reciprocamente oblativa, [che] è omosessuale”. Dunque se come dice l’ormai superato Catechismo l’omosessualità è una condizione intrinsecamente disordinata, va da sé che tutti gli atti, non solo sessuali, che promanano da tale condizione sono anch’essi disordinati. E dunque anche la relazione di coppia è ovviamente censurabile dal punto di vista morale, perché è essa stessa una relazione disordinata. La fedeltà nel disordine non è da benedire, ma da censurare perché consolida una realtà contraria a natura. Inoltre l’oblatività, inteso come dono reciproco, non è predicabile nelle relazioni omosessuali perché l’affetto omosessuale è anch’esso disordinato e quindi non c’è vero dono. Però se la dottrina cattolica sull’omosessualità, ormai ammuffita, è da smaltire in qualche isola ecologica e teologica, va da sé che queste riflessioni siano parimenti spazzatura.

Infine c’è una quarta strategia, la più gettonata: accoglienza misericordiosa verso le persone omosessuali. E qui il pezzo di Moia ricorda le varie iniziative pastorali a riguardo. L’accoglienza ovviamente è cosa giusta e doverosa, ma, come si domanda Moia, “accogliere non comporta il rischio di approvare anche implicitamente uno stile di vita?”. Non nascondiamoci dietro un dito: con il pretesto dell’accoglienza si vogliono spalancare le porte delle chiese all’omosessualità. E poi in realtà, spesso, è un’accoglienza non limpida nelle motivazioni. La pastorale gay friendly oggi di moda abbraccia la persona omosessuale solo per motivi di ingiusta discriminazione (o forse anche per scusarsi di quello che dice il Catechismo?), non perché consci che questa persona è prigioniera di una condizione che la rende infelice. L’abbraccio serve per nasconderlo dagli sguardi malevoli degli altri, non per liberarlo dai lacci dell’omosessualità.

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