Attualità di Leone XIII: virtù attive e virtù passive
Molta "partecipazione attiva" e "buone pratiche", poca contemplazione. Un problema già affrontato oltre un secolo fa nella lettera "Testem benevolentiae".
Si dice giustamente che la Dottrina sociale della Chiesa è “per la pratica”. Si potrebbe allora pensare che il suo cuore sia una “attività”, con la conseguente messa tra parentesi della “contemplazione”.
Infatti, nella Chiesa si parla sempre più spesso di “attiva partecipazione” nella liturgia, di impegno e collaborazione nella vita democratica, di consenso e condivisione con tutti e si indicano spesso obiettivi pratici specifici da percorrere, come per esempio la soluzione della cosiddetta “questione climatica”.
Si parla anche spesso di “buone pratiche”, come si legge nel Documento preparatorio alla Settimana Sociale dell’anno prossimo e si sostiene che la fratellanza (“Fratelli tutti”) si dovrebbe vedere appunto in un’azione comune verso obiettivi concreti e contro ogni forma di esclusione. Anche la parola “integrazione”, frequentemente adoperata, richiama ad una prassi di accoglienza e l’immagine della Chiesa come un ospedale da campo o come un Buon Samaritano sembrano suggerire la preferenza data alle virtù attive su quella passive.
Su questo tema era intervenuto Leone XIII in una lunga lettera al cardinale Gibbons dal titolo Testem bevevolentiae del 22 gennaio 1899 che a ragione viene considerato un testo di Dottrina sociale della Chiesa. Qui il Papa critica il cosiddetto “americanismo” e, in particolare, la contrapposizione tra virtù attive e virtù passive. Dato che anche il nostro tempo è caratterizzato da questa distinzione, la ripresa di quei lontani ma attuali insegnamenti può essere utile.
La distinzione tra virtù attive e passive, con il conseguente disprezzo o sottovalutazione di queste ultime, è infondata, spiega Leone XIII, perché non esistono virtù completamente passive, dato che la virtù è atto, ossia buon uso del libero arbitrio. Inoltre, continua, per virtù attive si intende di solito le virtù naturali, “quasi che questo risponda meglio ai costumi e alle esigenze dell’ora presente” e “renda l’uomo più disposto e più alacre all’operare”. Le virtù naturali avrebbero quindi maggiore efficacia di quelle soprannaturali. Il rovesciamento delle cose è evidente: la natura sarebbe più importante della grazia, il soprannaturale non opererebbe direttamente ma solo indirettamente sul naturale, le virtù soprannaturali non servirebbero a granché nell’agire degli uomini lungo la storia. La conseguenza per la Dottrina sociale della Chiesa è mortifera: essa sarebbe una specie di prassi umanisticheggiante priva di agganci con la vita soprannaturale. La preghiera contemplativa o l’adorazione eucaristica sarebbero considerate solo virtù passive e, quindi, ininfluenti.
È di grande interesse considerare l’attualità di queste considerazioni del “lontano” 1899. Attualità di Leone XIII: virtù attive e virtù passive