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ISRAELE

Attentato di Har Hadar, violata una frontiera pacifica

Har Hadar, insediamento israeliano, era considerata una delle aree di frontiera più tranquille, dove ebrei e arabi dialogavano e lavoravano assieme più che altrove. L'attentato di ieri, avvenuto al suo ingresso, con tre poliziotti uccisi, spezza questa tregua spontanea e prelude a un futuro inquietante.

Esteri 27_09_2017
Har Hadar

Una delle cose che facciamo più fatica a capire di Israele è che gli insediamenti in Cisgiordania non sono tutti uguali. C'è insediamento e insediamento (e anche coloni e coloni, a dire il vero). Meglio: ci sono posti dove il famoso muro tra arabi ed ebrei - fisico ma non solo – nonostante tutto non è così impermeabile. Posti dove lo stesso conflitto non sembrerebbe poi così irrisolvibile, se una famiglia di ebrei continua fidarsi di un arabo per le pulizie di casa sua.

Ecco: bisogna partire da qui se si vuole capire che cosa è successo ieri ad Har Hadar. Per non ridurre l'ennesimo attacco di un palestinese che uccide tre guardie israeliane sul cancello che delimita l'ingresso dell'insediamento alla solita storia già vista mille volte. Non lo è. Perché mostra ancora più chiaramente come la violenza di quest'intifada nascosta - a bassa intensità ma non per questo meno pericolosa – sia ostinata nell'andare a colpire con precisione chirurgica proprio là dove una soluzione sarebbe più facile. Har Hadar non è infatti un insediamento «ideologico», ma uno dei tanti che sorgono ad appena poche centinaia di metri oltre Linea Verde, la linea armistiziale del 1967, punto di riferimento per i famosi ipotetici due Stati. Ad Har Hadar non c'è nemmeno la sensazione di «stare dall'altra parte».

È una zona residenziale molto vicina al monastero di Abu Gosh; graziose villette abitate da quattromila persone che alle ultime elezioni hanno persino votato per l'Unione Sionista, la lista formata dai Laburisti e Tzipi Livni, l'alternativa a Netanyahu, quelli che (almeno a parole) sono per il negoziato con i palestinesi. Non è un caso che un centinaio di arabi del villaggio vicino - ovviamente ben selezionati e con gli appositi permessi, perché siamo sempre nel cuore di un conflitto - entrino ogni mattina per lavorare ad Har Hadar. Creando pure quei rapporti che sono normali tra le persone: le foto e i nomi dei figli, le piccole cortesie reciproche. Ecco: proprio uno di questi lavoratori e proprio mentre iniziava una giornata apparentemente come le altre ieri ha sparato. Abbattendo il mito della frontiera meno dura rispetto alle altre.

Ora ovviamente tutto cambierà anche ad Har Hadar. Del resto è già cominciato il solito coro dei politici che anziché interrogarsi sul perché la situazione si infiammi anche in un posto del genere, iniziano la litania delle accuse reciproche. Netanyahu ha subito attaccato Abu Mazen per «l'incitamento alla violenza» che genera il terrorismo. Per i palestinesi invece ha parlato Hamas, sostenendo che si tratta di un atto di «resistenza» alle «provocazioni» israeliane a Gerusalemme. Solo che c'è un dettaglio importante: Hamas ha appena annunciato l'ennesimo accordo per un governo di unità nazionale palestinese e dunque in qualche modo parla a nome di tutti. Anche perché questo accordo sembrerebbe essere una cosa un po' più seria dei precedenti, se è vero che lunedì è atteso a Gaza il premier palestinese Rami Hamdallah che per la prima volta dal 2006 dovrebbe assumere formalmente il governo della Striscia. Si tratta di un'unità figlia dell'estrema debolezza di Hamas, ormai a corto di sponsor; ma che si consolida anche grazie all'assenza di alcun ipotesi seria di negoziato con Israele, con buona pace di Donald Trump che da immobiliarista sognava di chiudere l'«affare della vita» in Medio Oriente.

Inoltre questo nuovo fatto di sangue si intreccia con un anniversario: proprio oggi, 27 settembre, ricorrono i 50 anni del primo insediamento israeliano in Cisgiordania dopo la guerra dei Sei giorni. Che in realtà fu un ritorno, quello a Kfar Etzion, sulle colline della Giudea, un kibbutz sionista che era stato abbandonato nel 1948 durante la prima guerra arabo-israeliana. Per oggi era già in programma una celebrazione ufficiale che la destra nazionalista ebraica si apprestava a cavalcare. Dopo questo nuovo eccidio non ci vuole molto a immaginare quale sarà il grido di oggi: nuovi insediamenti, nessun limite alle costruzioni oltre la Linea Verde, nessun compromesso su Giudea e Samaria. I discorsi di sempre che vedono - alla fine - alleati i fanatici da una parte come dall'altra. Uniti per cancellare uno alla volta i posti come Har Hadar. Quelli dove l'umanità prova in qualche modo a resistere anche nel cuore di un conflitto.