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LIBERTÀ RELIGIOSA

Attacco al confessionale. Bufera in Irlanda

Nell'Isola Verde un progetto di legge vuole imporre ai sacerdoti di riferire notizie su abusi di minori anche se apprese in confessione. Inaudito.

Attualità 22_07_2011
Confessione

 

Lo scontro in corso fra Irlanda e Santa Sede dopo la pubblicazione, il 13 luglio, del rapporto sugli abusi di minori da parte di sacerdoti della diocesi di Cloyne non ha precedenti nella storia europea recente. Il primo ministro Enda Kenny ha attaccato la Santa Sede in Parlamento in modo durissimo. Il nunzio apostolico è stato convocato dal governo. Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano The Irish Independent, non solo la maggioranza dei parlamentari ma il 72% della popolazione sarebbe favorevole alla rottura delle relazioni diplomatiche con il Vaticano. L'aspetto più grave della vicenda è un progetto di legge che, se approvato, obbligherebbe i sacerdoti a riferire notizie su abusi di minori anche se apprese in confessione: se non lo facessero, rischierebbero cinque anni di prigione.

Su quest'ultima proposta, si deve essere anzitutto molto chiari. Si tratta di una violazione gravissima e senza precedenti della libertà religiosa. Neppure i peggiori governi anticlericali dei secoli XIX e XX in Francia hanno mai osato attaccare il segreto della confessione, e in un'epoca in cui l'anticattolicesimo protestante influenzava in modo molto pesante la vita politica degli Stati Uniti più volte la Corte Suprema di Washington dichiarò che violare il sacrario del confessionale cattolico avrebbe distrutto la nozione stessa di libertà di religione su cui l'esperimento statunitense ha costruito se stesso. Come alcuni sacerdoti irlandesi hanno già dichiarato, se davvero questa legge assurda dovesse passare, e saranno interrogati sul contenuto delle confessioni, non resterà loro che tacere e andare in prigione, posto che si deve obbedire a Dio prima che agli uomini. Ma ci si può augurare che la Corte Europea dei Diritti Umani constati l'evidente violazione della libertà religiosa o, meglio ancora, che passata l'emozione di questi giorni il Parlamento irlandese non prenda neppure in considerazione l'approvazione della legge.

Ma da dove viene l'emozione? Il rapporto sulla diocesi di Cloyne ha suscitato la rabbia del mondo politico e di molti irlandesi per tre motivi. In primo luogo perché per ventitré anni vescovo di Cloyne è stato monsignor John Magee, che è stato segretario personale di tre Papi - Paolo VI (1897-1978), Giovanni Paolo I (1912-1978) e Giovanni Paolo II (1920-2005) - ed è una figura conosciutissima in Irlanda. Per la verità, leggendo il rapporto, si scopre che monsignor Magee è accusato principalmente di non avere seguito personalmente le vicende relative a preti pedofili, delegandole al suo discusso vicario generale monsignor Denis O'Callaghan: ma la sua vigilanza sembra essere stata in effetti insufficiente.

In secondo luogo, il rapporto prende in esame diciannove casi di sacerdoti accusati di abusi su minori dal 1996 al 2009, cioè dopo il documento del 1995 Child Sexual Abuse: Framework for a Church Response, predisposto da una commissione di esperti cui la Conferenza Episcopale Irlandese aveva chiesto di formulare suggerimenti dopo i primi scandali. Sei di questi casi furono denunciati dalla diocesi alle autorità civili; dei rimanenti tredici, secondo il rapporto nove avrebbero dovuto essere anch'essi denunciati, ma la diocesi non lo fece. In terzo luogo - ed è questa la ragione principale della crisi con la Santa Sede - il rapporto insiste su una lettera del 1997, peraltro già pubblicata da mesi su diversi siti Internet, in cui l'allora nunzio apostolico in Irlanda, monsignor Luciano Storero (1926-2000), comunicava ai vescovi irlandesi le "serie riserve" della Congregazione del Clero sul modo in cui il documento del 1995 formulava l'obbligo di denunciare alle autorità civili i casi di pedofilia.

Gran parte della stampa e dei politici irlandesi vede nella lettera di monsignor Storero la prova che la Santa Sede chiedeva ai vescovi irlandesi di disobbedire, come ha detto il primo ministro, «alle loro stesse linee guida» del 1995 e alla legge del loro Paese. Per la verità non è proprio così. Il documento del 1995, a differenza di altri adottati dalle Conferenze Episcopali negli Stati Uniti, in Germania e altrove, non costituiva una direttiva ufficiale dei vescovi ma il parere di una commissione di esperti. E la legge irlandese all'epoca non obbligava affatto i vescovi a denunciare gli abusi alla giustizia. La stessa Congregazione del Clero aveva pubblicamente invitato i vescovi irlandesi a collaborare con le autorità civili. La lettera di monsignor Storero ammoniva semplicemente che una denuncia generalizzata di casi non ancora accertati - non richiesta in alcun modo dalle leggi dello Stato irlandese in vigore - avrebbe violato il diritto canonico e i diritti degli accusati, che - dope tutto - potevano anche essere innocenti. E forse pochi hanno letto il brano del rapporto, pure molto severo con la Chiesa, che afferma che a tutt'oggi il diritto canonico nei casi di abusi di minori è più severo ed efficiente delle leggi civili irlandesi.

Resta vero, come ha affermato il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi in un comunicato del 20 luglio presentato come una sua prima reazione personale alla crisi, che leggendo la lettera di mons. Storero «si può discutere sull’adeguatezza dell’intervento romano di allora in rapporto alla gravità della situazione irlandese». Come sempre, per evitare equivoci e ambiguità quando si parla di preti pedofili bisogna portare insieme l'attenzione sui due aspetti della crisi. Da una parte ci sono evidenti esagerazioni sui numeri - si sta parlando di nove casi controversi in un Paese in cui purtroppo gli abusi su minori sono stati migliaia, e la stragrande maggioranza è avvenuta al di fuori della Chiesa Cattolica -, ricostruzioni imprecise dei fatti, reazioni scomposte e proposte di misure abnormi, e illegali di fronte alle stesse convenzioni internazionali che tutelano la libertà religiosa, come la legge che attaccherebbe il segreto della confessione. Dall'altra, una reazione puramente difensiva da parte della Chiesa e dei cattolici sarebbe sbagliata.

Sui preti pedofili qualcuno sta usando una lente d'ingrandimento che distorce le dimensioni del fenomeno a beneficio di virulente campagne laiciste. Ma se non ci fossero i preti pedofili la lente non avrebbe nulla da ingrandire. Purtroppo, i preti pedofili ci sono e ci sono stati anche vescovi e prelati poco vigilanti. Nella sua Lettera ai cattolici dell'Irlanda del 19 marzo 2010 Benedetto XVI ha certo invitato a non generalizzare, e a non dimenticare che la stragrande maggioranza dei sacerdoti, anche in Irlanda, non ha nulla a che fare con gli abusi. Ma nello stesso tempo ha denunciato con parole fortissime la vergogna e lo scandalo della pedofilia nella Chiesa, non mancando di stigmatizzare i comportamenti omissivi di alcuni vescovi e chiedendo perdono a Dio, alle vittime e agli irlandesi. Ogni giusta denuncia delle esagerazioni e delle manipolazioni laiciste, che talora comportano attacchi alla Chiesa ingiusti e davvero inauditi, deve anche denunciare - come continua a insegnare il Papa - lo scandalo molto reale dei preti pedofili e dei vescovi poco vigilanti, indagare sulle sue cause che rimandano a una crisi teologica, culturale e spirituale, e sostenere le misure della Santa Sede intese a isolare e a colpire severamente le mele marce. Diversamente, è facile passare dalla parte del torto.

Le ragioni dell'Irlanda, un Paese che vanta oltre mille anni di amicizia con la Santa Sede e che è turbato da quelli che lo stesso Benedetto XVI ha definito nella sua lettera del 2010 «atti peccaminosi e criminali», vanno comprese. Il dialogo diplomatico deve, nello stesso tempo, aiutare a evitare  rimedi - come gli attacchi al segreto della confessione - peggiori dei mali che vorrebbero curare.