Atomica nordcoreana, l'arma della disperazione
Un'esplosione nucleare sotterranea ha provocato un terremoto in Corea e scosso il mondo intero. E' il regime comunista nordcoreano che ha testato una nuova arma atomica. Perché lo ha fatto? E perché proprio adesso, in un periodo di distensione? E' l'isolamento, anche da Pechino, che può spingere a gesti estremi.
Il 6 gennaio, mentre il mondo cristiano festeggiava l’Epifania, a Punggye-ri, nel nordest della Corea del Nord, una scossa improvvisa di terremoto, di magnitudo 5,1 allertava i servizi di sicurezza di tutto il mondo. Poi l’annuncio: il Regno Eremita aveva effettuato il suo quarto test nucleare, il primo di una bomba all’idrogeno (o bomba H), con un’esplosione sotterranea. Il motivo era quello di “difendere la sovranità a la dignità” della Corea del Nord, ultimo regime stalinista del mondo.
La scossa di terremoto è stata analizzata e vagliata con cura dai geologi sudcoreani e statunitensi. Tutti sono giunti alla conclusione che si sia trattato di un terremoto “artificiale”, dunque provocato veramente da un’esplosione nucleare sotterranea. Una scossa naturale, infatti, provoca onde sismiche diverse da quelle di un’esplosione sotterranea di grande potenza. Quest’ultima genera una scossa che appare come una molla compressa che viene fatta scattare. Un sisma più breve, potente e diretto nel suo sviluppo. Se la terra ha tremato, comunque, non è detto che lo abbia fatto per una bomba H, cento volte più potente di una bomba a fissione nucleare. Nei fenomeni sismici registrati nei precedenti test nordcoreani, quelli del 2006, 2009 e 2013, si ipotizzavano due esplosioni mal riuscite ed una di relativamente bassa potenza, nel 2013. Oggi, la potenza del sisma permette agli esperti sudcoreani e a quelli del Servizio di sorveglianza geologica statunitense (Usgs) di quantificare l’esplosione atomica in 10 kilotoni, 5 in meno rispetto alla prima bomba A sganciata su Hiroshima nel 1945. Non si tratterebbe, dunque, di una bomba H, come il regime dichiara, ma di un ordigno a fissione. Ora si attende l’esito di ulteriori analisi: aerei spia statunitensi sono decollati dalla base giapponese di Okinawa per registrare i residui radioattivi scaricati nell’aria e tentare di capire la composizione del materiale fissile impiegato, se uranio arricchito o plutonio. Ma su una cosa sono tutti sicuri ormai: non è millantato credito del regime di Kim Jong-un, è veramente esplosa una bomba atomica nel sottosuolo nordcoreano. Indipendentemente dalla sua potenza, si tratta di una provocazione grave, che viola tre risoluzioni Onu di condanna ai test nucleari nordcoreani.
Resta da capire come mai il regime del giovane Kim Jong-un abbia compiuto una provocazione così grave e come mai lo abbia fatto ora, in un momento in cui le relazioni fra le due Coree apparivano molto più distese, dopo che un primo accordo era stato raggiunto il 25 agosto e a novembre erano stati avviati contatti tecnici fra le due parti. La Corea è divisa dal 1945, Nord e Sud sono ancora tecnicamente in guerra dal 1950 (l’armistizio di Panmunjon del 1953 è solo una “tregua” in armi, non un trattato di pace), ma i periodi di distensione si alternano a quelli di tensione. Da agosto ad oggi era un periodo di distensione. La spiegazione del test potrbbe fornirla un documento autografo di Kim Jong-un trapelato alla stampa, di cui non è confermata l’autenticità, ma che ormai sarebbe confermato dai fatti. Datato 15 dicembre 2015, prevede di effettuare un test nucleare all’inizio del 2016, un anno “glorioso” caratterizzato dal Settimo Congresso dei Lavoratori (leggasi: del partito comunista che monopolizza il potere nordcoreano). Il test, dunque, sarebbe un modo per salutare l’inizio dell’anno e dei lavori del nuovo Congresso, presentando ai delegati un nuovo grande successo della “Repubblica Democratica” coreana. Se si è scelta la data del 6 è anche per regalare il successo al leader Kim Jong-un, che oggi compie 32 (o 33, secondo altre fonti) anni.
Il test atomico ha dunque solo un valore celebrativo? Sicuramente no, perché non è un fatto nuovo, né imprevedibile. Quest’ultimo test era in preparazione da almeno due anni, quando si sono avute le prime notizie dello scavo di un nuovo tunnel sotterraneo nel poligono di Punggye-ri. L’enfasi posta sulle armi nucleari inizia negli anni ’90. Prima di allora, il primo dittatore della dinastia rossa, Kim Il Sung, contava su una schiacciante superiorità militare convenzionale rispetto al Sud e sulla protezione nucleare fornita da Unione Sovietica e Cina. A fasi alterne, nella sua lunga storia, la Corea del Nord è stata infatti protetta dall’una o dall’altra potenza comunista. Negli anni ’90 tutto ciò è venuto meno. La protezione cinese c’è tuttora, ma non è scontata. L’Urss ha cessato di esistere dal ’91 e la Russia che le è succeduta non è uno sponsor stabile. Per di più, il grande sviluppo tecnologico e demografico della Corea del Sud ha ribaltato il rapporto di forze fra gli eserciti convenzionali: ora è il Nord ad essere in inferiorità, da tutti i punti di vista. E ogni anno il gap si allarga. Dalla metà degli anni ’90 ad oggi, con una fase più visibile iniziata nel 2002, il programma nucleare nordcoreano è dunque diventato l’unico strumento di pressione nelle mani di Pyongyang. Ed è sempre continuato, a dispetto dei negoziati e delle fasi di presunta distensione, evidentemente utili solo a prender tempo.
Lo scenario diplomatico di questi mesi è estremamente delicato, con due potenze fra loro rivali, Giappone e Cina, entrambe intente a “corteggiare” politicamente la Corea del Sud. La Cina si è dimostrata particolarmente attiva. Sono ben sei gli incontri che si sono tenuti fra il presidente Xi Jinping e la presidentessa sudcoreana Park Geun-hye. Lo scorso 3 settembre, nelle celebrazioni della vittoria della Seconda Guerra Mondiale, a Pechino, la Park era sul palco d’onore assieme agli omologhi cinese e russo, mentre Kim Jong-un era assente. I sudcoreani ne sono onorati e ne fanno un motivo di scherno nei confronti dei connazionali del Nord. “Sapete quante volte il vostro presidente ha incontrato Xi Jinping? Zero!” urlavano, ancora lo scorso autunno, i megafoni della propaganda sudcoreana ai soldati del Nord, schierati a guardia della Zona Demilitarizzata fra i due paesi. Il Giappone, dal canto suo, sta compiendo il suo percorso di avvicinamento a Seul. Anche simbolico, oltre che pratico: alla vigilia del test nordcoreano, aveva riconosciuto la colpa per la deportazione delle donne sudcoreane, usate dai giapponesi come prede sessuali nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta della prima ammissione di questo crimine, per cui è stata corrisposta una somma di 8 milioni di dollari di risarcimento alle 46 sopravvissute.
Le due potenze rivali hanno ciascuna il proprio disegno. La Cina punta a una riunificazione “basata sulla stabilità”: graduale, consensuale e volta alla nascita di un paese unito, denuclearizzato e neutrale, nel lungo periodo. Tokyo mira ad assicurarsi un’alleanza più stabile con la Corea del Sud: dopo che ha cambiato la costituzione e può legalmente mandare truppe anche all’estero, vuole essere partner e protettore di Seul. Assieme a Taiwan, la Corea del Sud assicurerebbe una fascia di sicurezza militare nei confronti della Cina. Sullo sfondo resta sempre la presenza degli Stati Uniti, che mantengono circa 30mila militari a guardia dell’indipendenza della Corea del Sud e da anni sono in trattativa per lo schieramento, nella penisola, di un sistema di difesa anti-missile, esplicitamente avversato dalla Cina. Anche per gli Usa, la Corea del Sud resta un tassello indispensabile della linea del “Pacific Rim”, la prossima linea di contenimento di una Cina sempre più espansionista.
In questo contesto, nel momento in cui tutti trattano da interlocutore la sola Corea del Sud, l’altra Corea è più isolata che mai. Si sente direttamente scavalcata dalla Cina, che preferisce invitare la Park e discutere con lei. Si sente minacciata da un Giappone sempre più assertivo. In pratica, il Regno Eremita è ormai dato per morente o già morto, anche dai suoi stessi partner. E dunque compie mosse eclatanti. Come per dire “ci siamo ancora”. E “siamo ancora una minaccia”. Secondo una fonte coreana dell'agenzia missionaria Asia News, è l’isolamento della Corea del Nord “la chiave per capire queste continue provocazioni. Il programma nucleare del regime è iniziato nel 2002, e da allora sono stati condotti già tre test duramente condannati. Ma fino a oggi si trattava di una sorta di baratto: a fronte dei test, Pyongyang otteneva aiuti umanitari in cambio del rallentamento del progetto. Ma a questo punto, e con la retorica pompata dai media di Stato, sembra che non ci siano più merci di scambio. Potrebbero volere davvero la guerra”.