Assemblea Costituente? No, solo salvagente per Renzi
C’è da augurarsi che l’idea lanciata dall’aspirante leader del centrodestra Stefano Parisi di dar vita, in caso di vittoria dei “No” al referendum, ad un’Assemblea Costituente «per riscrivere le regole del gioco tutti insieme» equivalga a un innocuo vaneggiamento estivo e non sia invece l’anticamera di nuove alchimie.
Non si può non constatare che, ciclicamente, nel povero dibattito politico del nostro Paese, quando non si vogliono ammettere i propri fallimenti o affrontare sul serio i problemi, ci si inventa una commissione bicamerale o, peggio ancora, un’Assemblea Costituente. Quando la politica non si mette allo specchio per analizzare i propri errori, ma cerca una scorciatoia, ecco materializzarsi una soluzione “epocale”, che ha il solo scopo di confondere le acque, annacquare le responsabilità, preparare nuovi equilibri di potere sulla pelle degli italiani.
C’è dunque da augurarsi che l’idea lanciata dall’aspirante leader del centrodestra Stefano Parisi di dar vita, in caso di vittoria dei “No” al referendum, ad un’Assemblea Costituente «per riscrivere le regole del gioco tutti insieme» equivalga a un innocuo vaneggiamento estivo e non sia invece l’anticamera di nuove alchimie all’interno e tra gli schieramenti.
L’ex manager Fastweb, che pure sembra aver impresso uno slancio nuovo all’iniziativa politica del centrodestra, offre a Renzi un “piano B” in caso di sconfitta al referendum di novembre, proponendogli di non dimettersi (cosa che il diretto interessato ha annunciato per mesi e ora, chissà perché, non annuncia più) e di farsi anzi promotore, insieme con le altre forze politiche, di un’Assemblea Costituente che faccia le riforme costituzionali necessarie per il futuro del Paese.
Sembra tanto di assistere alle prove generali di un “Nazareno bis”, dove i due apparenti sfidanti, al fine di garantire la conservazione del sistema e di scongiurare il rischio di una vittoria delle forze antisistema alle prossime elezioni politiche, si cautelano con un paracadute. Scrivere le regole insieme significherebbe anestetizzare il confronto politico e consentire a chi è al governo ora di poter contare su una tregua prolungata e “consociativa”, che rappresenterebbe l’ennesimo tradimento della volontà popolare.
Le elezioni del 2013, lo sanno tutti, hanno consegnato al Parlamento uno scenario di ingovernabilità che avrebbe richiesto immediatamente una soluzione condivisa, con il varo di riforme istituzionali ed elettorali e un rapido ritorno alle urne. Si è scelta invece la via dei governi “minoritari”, che rappresentano meno della metà degli italiani, e ora, dopo 30 mesi dedicati dalle Camere alla predisposizione di una riforma dell’architettura dello Stato, qualcuno propone, in caso di vittoria dei “no” al referendum, di convocare un’Assemblea Costituente.
L’ipotesi appare alquanto bizzarra e disancorata dalla realtà. Nella politica e nella società esiste una forza ormai consolidata come il Movimento Cinque Stelle, che governa già in molte città, che da molti sondaggi viene data vincente in un eventuale ballottaggio nazionale contro il Pd, e che certamente non accetterebbe di far parte di un’Assemblea Costituente con esponenti renziani o berlusconiani. Non si dimentichi che questo Parlamento è in parte delegittimato dalla sentenza sul Porcellum e affidare a parlamentari delegittimati la stesura di una nuova Carta Costituzionale sembra quanto meno azzardato.
Il Paese è ingessato da mesi e inchiodato a questo “ricatto referendario” dal quale occorre uscire in fretta. Entro il 15 ottobre il governo dovrà inviare alla Commissione europea il testo della legge di stabilità, che Renzi intenderebbe infarcire di mancette e elemosine, al fine di risalire nei sondaggi, di vincere il referendum e di proiettarsi verso la vittoria alle prossime politiche. A Bruxelles sono sempre più guardinghi e non è detto che l’elasticità rispetto al rapporto deficit-pil possa essere accordata all’Italia. Peraltro gli indicatori economici non sembrano volgere al bello per il nostro Paese e la stagnazione appare la nota dominante. Per rilanciare gli investimenti occorrono scosse che questo governo, condizionato da spauracchi elettorali e da timori di agguati interni, non sembra in grado di dare.
La Costituzione è stata cambiata 35 volte in meno di 70 anni. Invogliare la gente a votare “Si” con la minaccia che «altrimenti passerebbero altri 70 anni per rinnovare lo Stato» è un argomento di una demagogia stucchevole. Esistono buone ragioni per votare “Si” e altrettante per votare “No”. Sia la gente a decidere in maniera democratica e si prenda atto, qualunque sia l’esito delle urne, della volontà popolare. Nel frattempo, l’Italicum potrebbe essere modificato dal Parlamento, anche su sollecitazioni della Corte Costituzionale, e a quel punto ci sarebbero tutte le condizioni per sciogliere le Camere, anche nel 2017, e per consentire agli elettori di votare liberamente.
Di Assemblea Costituente si riparli quando il quadro politico sarà più stabile, meno frammentato e rissoso e con una maggioranza chiara che decide, “degasperianamente”, di coinvolgere la minoranza (o le minoranze) nella ridefinizione delle regole del gioco. Oggi sarebbe solo un pastrocchio e una maniera gattopardesca per cristallizzare lo status quo.