Aspettando il vaccino... lockdown e cure a casa tabù
Anche ammesso che si vaccini con successo e sicurezza entro settembre il 40% della popolazione, rimane il problema di come gestire la pandemia in questi mesi. Il governo lascia intendere che la stagione del lockdown sarà ancora lunga, ma nessuno prende in considerazione la necessità di favorire il più possibile le cure domiciliari per evitare di intasare gli ospedali. La bocciatura dell'Aifa sull'idrossiclorochina non lascia presagire un cambio di strategia.
- LOCKDOWN ROSSO O ARANCIONE? di Stefano Magni
Un altro anno chiusi in casa o quasi?
Anche ammesso che a settembre 2021 si possa arrivare a vaccinare almeno il 40% della popolazione disponibile, e ovviamente accettato che nel frattempo le case farmaceutiche abbiano sgomberato del tutto ogni dubbio sulla sicurezza del vaccino, c’è una domanda che è assente dall’agenda del governo: che cosa sarà dei prossimi mesi? Continueremo ad affrontare il covid con la stessa metodologia attuata fino ad oggi?
Gli indizi e i primi annunci del governo durante l’euforica liturgia all’arrivo del “sacro graal” a -70°, portano a pensare che il governo non abbia nessuna idea di come affrontare il lungo anno che ci separa dalla tanto sospirata immunità di gregge. O meglio: nessuna strategia se non quella di chiuderci in casa non appena i ricoveri in ospedale dovessero ricominciare.
Ricoveri che attualmente sono bassi dato che la grande crescita dei casi di Covid avvenuta questo autunno è costituita per la stragrande maggioranza da sintomatologie lievi (circa il 95%) e in calo costante.
Quando l’altro giorno, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che in caso di aumento dei ricoveri sarebbe scattata la zona rossa anche a gennaio, ha soltanto messo le mani avanti in vista di una decisione che sembra ormai segnata.
Da un lato non si vuole ammettere che la strategia del lockdown è fallimentare sotto tutti i punti di vista, ma dall’altro non si pensa minimamente di affrontare l’epidemia con razionalità controllata nel promuovere la cura domiciliare e tempestiva.
È stato ripetuto in vari modi: curare il covid a casa e prenderlo alla comparsa dei primi sintomi avrebbe evitato e eviterebbe anche oggi il ricorso agli ospedali con conseguente inasprimento delle misure di contenimento. La validità di questo messaggio è tutt’ora in corso dato che la copertura vaccinale inizierà a produrre i suoi effetti solo nei prossimi mesi.
Ma curare a casa presuppone che ci siano delle terapie che si possano somministrare con successo e che siano un minimo validate. Medici e specialisti hanno dimostrato che ciò è possibile anche al di fuori dei protocolli farmaceutici. Ma gli enti regolatori sembrano voler proseguire nella linea dettata dal governo: non c’è nessuna cura precoce, bisogna arginare, non curare il covid e attendere il vaccino come un salvatore.
Questo si vede anche nella vicenda dell’idrossiclorochina, l’antimalarico che ha mostrato risultati promettenti nella cura tempestiva del covid, ma che continua a subire l’ostracismo degli enti regolatori.
Il 23 dicembre l’Aifa ha preso ufficialmente posizione sull’uso di idrossiclorochina dopo l’ordinanza del Consiglio di Stato che ha tolto il divieto di utilizzo del farmaco sancito dall’agenzia lo scorso luglio. Ebbene: nell’ultimo aggiornamento l’Aifa ribadisce che «per quanto riguarda i pazienti non ospedalizzati pur in presenza di dati a sfavore di un beneficio, il livello di incertezza può giustificare l’ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati». Tradotto: sull’uso dell’antimalarico a casa preso precocemente non ci sono benefici e comunque la situazione è ancora incerta. Per il momento è un no, anche se nulla vieta che ogni medico possa continuarla a prescrivere per la cura del covid off label, cioè fuori dai rimborsi.
Una decisione che arriva come una doccia fredda per i tanti medici che dopo l’ordinanza del Consiglio di Stato speravano che fosse finalmente arrivato lo sdoganamento del farmaco.
Ma questo non è avvenuto. Di tutti i farmaci aggiornati presi in esame (cortisone, eparine, antibiotici), l’analisi sui dati di letteratura per il trattamento con idrossiclorochina è quello che ha portato via più tempo ai tecnici dell’agenzia del farmaco, tanta è la mole dei riferimenti bibliografici utilizzati. Anche dopo la decisione di Palazzo Spada, l’Aifa ha continuato a studiare il farmaco, ma stupisce che ad essere presi in esame siano stati studi con esiti negativi, mentre quelli che presentavano l’uso di HCQ favorevolmente sono stati completamente ignorati. E ignorati non solo perché non randomizzati, dato che anche nella scheda dell’AIFA sono stati citati anche studi di osservazione.
No, curiosamente, ad essere esclusi dalla scheda dell’AIFA sono stati tutti gli studi favorevoli che pure ci sono nel mondo, ma sono stati ignorati anche i tre studi condotti da tre medici italiani (Varese, Capucci e Cavanna) che hanno dato risultati sorprendenti e coincidenti in termini di guarigioni e mancate ospedalizzazioni (95%) e che sono serviti come base per il ricorso, vinto, dei medici in Consiglio di Stato proprio contro Aifa. Gli stessi medici che hanno chiesto all'Aifa un cambio di passo.
Inoltre, leggendo i riassunti degli studi citati, sorprende come ancora una volta Aifa abbia preso in esame solo gli studi su pazienti ospedalizzati, dove è accertato che non esista alcun beneficio visto lo stadio avanzato della malattia o quegli studi su pazienti non ospedalizzati che per varie ragioni non hanno dato benefici, vuoi perché con sovradosaggi del farmaco vuoi per precoce interruzione dello studio.
L’arrivo all’AIFA del microbiologo Giorgio Palù aveva dato più di una speranza visto l’approccio dello scienziato favorevole alle sperimentazioni cliniche in corso di pandemia, ma stando a quanto ha potuto apprendere la Bussola anche nell’agenzia ci si è scontrati tra falchi e colombe, col neopresidente dalla parte dei medici sperimentatori e il direttore generale Nicola Magrini, contrario ad un’apertura sull’antimalarico che avrebbe avuto il sapore della retromarcia.
La vicenda idrossiclorochina mostra dunque che sul fronte della cura domiciliare, pochi sono i passi in avanti fatti dall’inizio della pandemia. È facile dunque aspettarsi che nei prossimi mesi l’approccio non cambierà.
Pochissime sono infatti le regioni che hanno deciso di puntare sulla cura domiciliare, con anche l’utilizzo off label dell’HCQ. È il caso del Piemonte, prima regione a licenziare un protocollo di cura domiciliare organico che non prevedesse solo l’utilizzo di paracetamolo e la semplice osservazione & attesa nei primi giorni come invece nel protocollo nazionale. Oggi, l’assessore Luigi Icardi, è consapevole che il vaccino non può essere una scusa per smettere di curare sull’oggi: «Per noi non cambia nulla – spiega alla Bussola -. Il vaccino farà il suo corso, ma nel frattempo bisogna continuare a curare il covid e a curarlo da casa il meglio che si può. Per questo abbiamo inserito nel protocollo anche l’uso dell’idrossiclorochina, ma starà a ogni medio decidere se e come usarla, previo ovviamente il consenso informato del paziente».