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PAKISTAN

Asia Bibi, il silenzio degli indecenti

La figura di Asia Bibi – che preferisce morire per Cristo piuttosto che rinnegare Gesù per avere salva la vita - si staglia ancora più luminosa se paragonata alla pusillanimità del mondo sociale, politico, ecclesiale che la circonda. Europa, Italia, Santa Sede, i perché di un silenzio ingiustificabile.

Editoriali 05_11_2018
Donne pachistane pregano per Asia Bibi

La figura di Asia Bibi – che preferisce morire per Cristo piuttosto che rinnegare Gesù per avere salva la vita - si staglia ancora più luminosa se paragonata alla pusillanimità del mondo sociale, politico, ecclesiale che la circonda.

Asia è stata assolta dalla Corte Suprema il 31 ottobre dal reato di blasfemia, ma la violenta reazione dei gruppi islamisti, in particolare il partito Therek-i-Labbaik, ha spinto il nuovo governo ad arrendersi: Asia Bibi sarà inserita nella lista delle persone che non possono lasciare il paese, e il governo non si opporrà al ricorso alla Corte Suprema contro la sua assoluzione. Se andrà bene Asia Bibi dovrà vivere nascosta, e di fatto prigioniera, da qualche parte in Pakistan per tutta la vita. Il tutto per far ritornare alla normalità le principali città, le cui strade sono state letteralmente invase nei giorni scorsi da centinaia di migliaia di musulmani inferociti per l’assoluzione, che hanno provocato distruzioni e morti. Si tratta di un clamoroso cedimento di fronte alle minacce, un cedimento di cui ben presto il nuovo capo del governo, Imran Khan, si troverà a pagare le conseguenze.

Fuori dal Pakistan le cose stanno andando anche peggio. Asia Bibi sembra un argomento scomodo, tutti fanno finta di non vedere. Non c’è stata alcuna cancelleria occidentale che abbia detto una parola sul caso e, più in generale, sulla legge contro la blasfemia, la “legge nera” come è stata definita. Anzi, abbiamo avuto la settimana scorsa una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) che legittima le basi della legge sulla blasfemia anche in Europa (clicca qui). Per qualche settimana - dal momento in cui è stato annunciato che la Corte aveva deciso, fino a quando la sentenza è stata effettivamente resa pubblica - avevamo pensato e sperato che ci fossero dei movimenti diplomatici sottobanco per garantire di portare al sicuro Asia Bibi prima che la sua assoluzione fosse annunciata.

Evidentemente non era così, e non una sola parola è stata spesa neanche di fronte alla violenza di questi giorni. Ieri è stato annunciato che il marito di Asia Bibi ha chiesto asilo politico a Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna, dove nel frattempo troverà riparo l’avvocato della donna, Saif ul-Malook, un musulmano che ha messo a rischio la sua vita per difendere una cristiana.

A questo proposito fa un immenso dispiacere aver letto che di passaggio a Roma sia stato trattato alla stregua di un potenziale terrorista, sottoposto a un interrogatorio in aeroporto: «Non metterò più piede in Italia – ha dichiarato all’inviata del Corriere della Sera sull’aereo che lo portava da Roma ad Amsterdam -, a Roma mi sono sentito accolto come un terrorista, è stato avvilente per uno che ha messo a repentaglio la sua vita per combattere contro i fondamentalisti. E fa ancora più male che mi abbiano trattato così nel Paese del Papa, dopo che sono stato costretto a lasciare la mia casa in Pakistan per difendere una donna cattolica».

È triste dover constatare la pessima figura fatta dal nostro governo, che ha evidentemente ignorato totalmente il caso al punto di non sapere neanche chi fosse l’avvocato di Asia Bibi, una vera vergogna istituzionale. E pensare che sarebbe stata invece una occasione d’oro anche politica per far vedere che l’Italia difende coloro che hanno davvero i titoli per avere lo status di rifugiato, e si batte davvero per i cristiani perseguitati, non solo con gli slogan. E invece nulla.

Né questa assenza può essere giustificata dal fatto che «nel paese del Papa» certi interventi di solito avvengono anche su input della Santa Sede. Anzi, sarebbe stata l’occasione per dare uno schiaffo morale a tutti quei prelati che un giorno sì e l’altro pure attaccano il governo perché non accetta un’immigrazione senza controllo.

E qui veniamo all’altro silenzio pesante. Proprio da quanto appena scritto, si ricava che dalla Segreteria di Stato vaticana non è arrivata alcuna richiesta al governo italiano di fare qualcosa per Asia Bibi, la sua famiglia e quanti in Pakistan l’hanno difesa. Né c’è mai stato un minimo appello pubblico per i cristiani pakistani.
I benevoli dicono che il silenzio è forse l’atteggiamento migliore per evitare conseguenze peggiori ai cristiani. Balle, il silenzio può avere un valore se serve a non mettere a rischio delle azioni condotte discretamente per salvare delle persone. Ma qui è ormai evidente che il silenzio di questi anni ha solo peggiorato le condizioni dei cristiani in Pakistan, e non solo, e che non c’è alcuna azione di salvataggio in corso. C’è solo ignavia e codardia.

Però proviamo a chiederci: cosa c’è che imbarazza tanto di questa donna cattolica da impedire un qualsiasi gesto di solidarietà da parte delle istituzioni? Non è facile dirlo, tanta è la sproporzione tra la gravità e pubblicità del caso da una parte e la totale inattività dall’altra. Possiamo soltanto mettere in rilievo qualche elemento.

Per quanto riguarda l’Europa è evidente – ne abbiamo parlato a proposito della sentenza Cedu – che c’è un processo graduale di sottomissione all’islam: è l’esito sia di una debolezza culturale legata al relativismo che ha sostituito la cultura cristiana (rileggersi il discorso di papa Benedetto XVI a Ratisbona e il discorso del cardinale Giacomo Biffi alla città di Bologna su immigrazione e islam), sia di una sempre maggiore dipendenza delle nostre economie dai soldi di paesi come Qatar e Arabia Saudita, che impongono anche il lor islam aggressivo.

Quanto alla Chiesa, c’è sicuramente oggi prevalente una concezione di dialogo con l’islam che sacrifica la verità a rapporti formalmente amichevoli. Formalmente appunto: belle parole con l’università al Azhar del Cairo, ma il martirio dei copti in Egitto va avanti senza tregua, come abbiamo visto nei giorni scorsi. Grandi convegni tra religioni organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio con il sostegno vaticano, ma la repressione dei cristiani nei paesi islamici aumenta come solito. Si può capire che sollevare un caso come quello di Asia Bibi o di altre comunità perseguitate disturba questo progetto di dialogo, perciò si fa finta di non vedere.

Ma c’è un altro elemento anche più inquietante e meno politico. Quella di Asia Bibi è una forma di martirio che, pur essendo tipica della tradizione cristiana, non è oggi di moda in Vaticano. Lo stiamo vedendo per quel che riguarda la Cina: alla fine la Santa Sede sta disprezzando quegli eroi della fede che hanno resistito per decenni alla pressione del regime comunista per dare ragione a quanti hanno ceduto al compromesso, a chi si è fatto servo del Partito comunista. E nel frattempo si promuovono come esempi di santità quanti – vedi il vescovo Angelelli in Argentina – sono più noti per le loro battaglie di giustizia politica che non per la cristallina appartenenza a Cristo. Si capisce allora che in questo contesto la semplice testimonianza di una donna di famiglia che, ingiustamente accusata di blasfemia, preferisce morire per Cristo piuttosto che scendere a compromessi con il potere; che non ha mai lottato per i poveri, ma da povera ha mostrato che l’unica giustizia è la libertà dei figli di Dio; una donna così più ancora che imbarazzante è incomprensibile.