Ascolto senza criterio, Zuppi indica la via alla Chiesa italiana
In una intervista rivelatrice all'Osservatore Romano, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana scinde l'amore dalla verità e la politica dalla morale, per "inseguire" i cambiamenti antropologici, ripetendo i soliti slogan su sinodalità e ascolto.
Il 3 settembre L’Osservatore Romano ha pubblicato una intervista del direttore Andrea Monda al cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani. Si è trattato di una intervista poco giornalistica e più da ufficio stampa, come se il portavoce di un partito facesse una intervista al segretario del partito per pubblicarla poi sul giornale del partito. Domande tutte compiacenti. Nonostante ciò, ne è uscito un quadro di dove pretende andare la Chiesa italiana che merita qualche osservazione.
Sia il linguaggio sia i contenuti sono in linea con l’attuale pontificato. Di questo fa parte anche un modo di esprimersi concettualmente impreciso. Sembra che lo scopo non sia chiarire, ma confondere per far passare un certo messaggio per altre vie. Vorrei fare un breve esempio. Leggiamo questo passo dell’intervista: «C’è dentro di noi uno zelo che ci porta a difendere la trincea della verità. Pensiamo che questo sia il nostro essenziale compito e che questo significhi seguire il Vangelo. Ma non è così. Perché certo il Vangelo è la verità ma è ben diverso dall’atteggiamento farisaico, il quale annuncia la Legge, mentre a noi il Vangelo chiede di comunicare l’Amore».
Questo ragionamento è ingannevole. Vi si identifica verità e legge, a sua volta identificata poi con il fariseismo. Ma i comandamenti sono delle verità e fanno parte della legge, e seguirli non significa essere farisei. Poi si separa l’amore dalla verità e dalla legge, ma non c’è amore se non nella verità, se non come amore vero, quindi nel rispetto della legge. Questo modo di esprimersi utilizza la nuova retorica cara a questo pontificato – si veda l’immagine della “trincea” che veicola un senso negativo - e il suo scopo non è chiarire una questione tramite concetti, ma insinuare per via di suggestione un atteggiamento: non essere tanto solleciti a proclamare la verità, ma a rispettare il cammino spirituale altrui. Questo si chiama pastoralismo e, purtroppo, è lo stile di tutta l’intervista.
In questo stile è espressa l’intera visione di cosa debba fare la Chiesa italiana secondo il cardinale Zuppi. Essa deve essere sinodale, poi deve ascoltare, quindi non deve trasferire immediatamente i propri insegnamenti morali in politica, deve accettare la secolarizzazione senza nostalgie e intenderla come un appello di senso degli uomini di oggi a cui rispondere in forme nuove, deve infine prendere atto che la natura dell’uomo non è sempre uguale e, quindi, non opporsi ai cambiamenti antropologici, ma accompagnarli.
Questi punti, su cui torneremo subito, si basano sull’assunto che abbiamo visto sopra: la Chiesa deve prima aprirsi ai percorsi spirituali dell’uomo di oggi, e poi all’annuncio della verità. Sembra che si tratti di un problema di linguaggio, farsi prima di tutto capire dall’uomo di oggi, ma diventa subito un problema di contenuto, perché la verità entra in gioco “dopo” e, quindi, viene condizionata dal primo obiettivo. Tutto sommato si è ancora fermi a Giovanni XXIII, a pensare non alla dottrina ma a trovare le parole nuove per annunciarla. Senza considerare – nonostante i sessant’anni nel frattempo passati – che se prima trovo le parole per annunciarla, allora quelle parole cambieranno la dottrina.
Si colloca qui la necessità, secondo Zuppi, in armonia con l’attuale fase del sinodo sulla sinodalità, di ascoltare. Si sa che la fase sinodale continentale è stata un flop quanto a partecipazione: le cifre dei fedeli coinvolti lo dimostrano. Zuppi, però, la celebra ugualmente, perché ascoltare prima di parlare è il nuovo atteggiamento strategico della Chiesa italiana. Ma come è possibile mettersi ad ascoltare senza sapere cosa ascoltare? Perfino un Karl Popper qualsiasi denuncerebbe un simile proposito. Ascoltare non è come “udire”, richiede infatti una selezione delle cose che si odono, quindi dei criteri che precedano l’ascolto. In altre parole: senza dottrina non si sa nemmeno cosa ascoltare e chi ascoltare. È infatti quello che sta avvenendo.
Collegato all’ascoltare c’è l’altro suggerimento di non trasferire immediatamente in politica le verità morali. Il bersaglio di Zuppi sono i vescovi americani nei loro rapporti con i politici abortisti. Qui il cardinale segue la posizione di Francesco, che di fatto diventa una separazione della politica dalla morale e dalla fede. Se prima di dire che Nancy Pelosi sbaglia si deve rispettare il percorso spirituale di Nancy Pelosi, allora si finirà per non dire più niente sul comportamento oggettivamente sbagliato di Nancy Pelosi. C’è molto protestantesimo in questa posizione.
Lo schema Zuppi non finisce qui. Un’altra sua applicazione desta molta preoccupazione. L’intervistatore ad un certo punto afferma che «l’essere umano non si sottrae all’evoluzione. L’uomo e la donna di oggi sono molto diversi da quelli su cui abbiamo costruito buona parte del pensiero teologico. Ontologicamente, se si può dire, diversi». A questa tremenda affermazione il cardinale Zuppi dà il proprio consenso: «Dobbiamo con coraggio comprendere l’antropologia, i cambiamenti già intervenuti e quelli che con rapidità vanno prospettandosi». A questo Monda e Zuppi riducono la “questione antropologica” di Benedetto XVI: l’essere dell’uomo cambia, quindi anche la teologia deve cambiare con esso. Del resto, quanti teologi – oggi cardinali – hanno scritto che anche Dio cambia?