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L'APPELLO DEL VESCOVO

«Ascoltate il grido dei nostri fratelli di Erbil»

«Sono fratelli che hanno bisogno di tutto perché hanno dovuto abbandonare le loro case in poche ore». E ancora: «La situazione dei cristiani ad Erbil dove si sono rifugiati per sfuggire alla furia dell’Isis è drammatica». Lo scrive monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, in un lettera-appello alla Nuova Bussola Quotidiana. Ecco il testo

Editoriali 12_04_2016
Bambini di Erbil

La situazione dei cristiani ad Erbil dove si sono rifugiati per sfuggire alla furia dell’Isis è drammatica. Ormai da due anni si trovano a vivere in campi nei quali le condizioni sanitarie, igieniche e logistiche sono drammatiche, in particolare quelle dei bambini e degli anziani.

La visita è nata da un’esigenza personale. Dopo avere letto l’appello di un vescovo: «Non lasciateci soli, non abbandonateci», mi sono sentito personalmente interpellato e grazie all’Associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre” è stato possibile organizzare il viaggio al quale hanno preso parte anche monsignor Antonio Suetta, vescovo di Sanremo-Ventimiglia, don Massimo Fabbri di Bologna e il dottor Alessandro Monteduro, presidente italiano dell’Associazione.

Si tratta di fratelli che hanno bisogno di tutto perché hanno dovuto abbandonare le loro case in poche ore. Tuttavia, quello che da subito mi ha colpito è stata la gratitudine per la presenza in mezzo a loro di cristiani del mondo occidentale. Il Patriarca Caldeo di Bagdad ci ha accolti con queste parole: «Non abbiamo bisogno principalmente di aiuti economici, ma dell’appoggio umano e spirituale. In questo modo i mussulmani riconoscono che i cristiani non sono soli e dimenticati, ma sostenuti dai loro fratelli di fede». In altre parole reclamano il diritto di esistere, di essere riconosciuti nella loro dignità, di non dovere mendicare il diritto a professare liberamente la propria fede. 

Il Santo Padre nella lettera che mi ha indirizzato scrive che l’attenzione verso questi nostri fratelli non è solo «un atto doveroso di carità, ma di soccorso al proprio stesso corpo, perché tutti i cristiani, in virtù del medesimo battesimo, sono “uno” in Cristo». Un aiuto grande per non fare cadere il silenzio su questa tragedia viene offerto dall’Associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, la quale da subito si è impegnata a trovare fondi per la realizzazione di campi, di strutture educative e sanitarie, di luoghi di culto e per la distribuzione di pacchi alimentari. Tutto realizzato in sinergia con la Chiesa locale. L’Associazione, inoltre, è impegnata a fare conoscere il dramma e le sofferenze di questi fratelli organizzando incontri di testimoni con le comunità cristiane dell’Italia. 

Questo viaggio mi ha profondamente scosso. Credo di potere fare mie le parole che il beato Giovanni XXXIII disse ai detenuti di Regina Coeli, il 26 dicembre 1958: «Son venuto,…io ho messo i miei occhi nei vostri occhi, ho messo il cuor mio vicino al vostro cuore. Questo… resterà profondo nella mia anima». Inoltre, l’esperienza vissuta mi ha fatto capire che l’Occidente non conosce il martirio che la Chiesa in Iraq sta vivendo. Ai miei fedeli, che già sono stati molto generosi con donazioni, vorrei potere trasmettere la dignità con cui questi fratelli vivono la loro condizione, grati per tutto quello che ricevono in aiuto, grati a Dio per avere salvato la vita, ma grati ancor di più per avere conservato la fede per la quale sono stai disposti a rinunciare a tutto pur di rimanere fedeli a Cristo, il tesoro vero della vita, e la propria appartenenza al suo Mistico Corpo che è la Chiesa. 

*vescovo di Carpi