Arruga, il maestro che amava gli angeli
Il 7 luglio di due anni fa moriva il maestro Lorenzo Arruga, critico musicale, drammaturgo, romanziere e regista che ha speso una vita per la cultura. E che aveva una “predilezione per gli angeli”, come racconta la moglie Franca Cella alla Bussola.
“Cerca di mettere un po’ di imprevedibilità. Il lettore va sorpreso, sempre. E poi, mi raccomando, ricorda la sinteticità e la scelta dell’incipit che cattura, ed è premessa di una logica seducente, ma severa”. Una voce poco fa’ qui nel cor mi risuonò, canterebbe Rosina del Barbiere di Siviglia di Rossini. È una voce immaginaria - calda, rotonda, con inflessione lombarda - quella che parla al cuore, all’anima e alla mente; è la voce del maestro Lorenzo Arruga che mi suggerisce, quasi, il tono stilistico da intraprendere per il suo omaggio-ricordo che vuole racchiudere non solo la sua molteplice e spumeggiante carriera - fatta di libri, regie, programmi televisivi culturali e tanto altro - ma che vuole tratteggiare la sua figura di uomo, soprattutto. In fondo, dietro un artista c’è sempre un uomo.
L’artista non è semplice da raccontare, a esser sinceri, vista la molteplicità della sua opera: fine critico musicale (ha lavorato per Il Giorno, Panorama, Il Giornale ed è stato fondatore della rivista Musica Viva); coraggioso drammaturgo e librettista; regista poliedrico; romanziere dalle mille sorprese; affascinante affabulatore di memorabili lezioni televisive sull’opera lirica, per il canale Tele +3, negli anni ‘90, primi esperimenti della musica “colta” per il piccolo schermo; inventore instancabile di eventi culturali; prezioso scrigno di ricordi sul Teatro alla Scala e sul Piccolo Teatro di Milano e di tutti quei nomi importanti che hanno calcato le tavole dei due illustri teatri milanesi (da Giorgio Strehler a Pier Luigi Pizzi, da Tino Carraro a Valentina Cortese); docente di teatro musicale presso varie università e istituzioni, di corsi sperimentali per giovani cantanti e autori. In sintesi, una vita per la cultura.
Lorenzo Arruga, o meglio, per esser più precisi, Franco Lorenzo Arruga - il primo nome, non si sa perché, un po’ è andato a dimenticarsi durante i suoi anni di lavoro, divisi tra palcoscenico, pianoforte, calamaio e penna - proprio due anni fa è stato “scritturato” per eseguire musiche a pianoforte dal Cielo: è andato via il 7 luglio 2020, a Milano, dopo otto mesi di malattia che lo avevano segnato nel corpo, ma non certo nella mente, sempre creativa, sempre attenta al nuovo, desiderosa di altri progetti da realizzare. È di questo periodo, infatti, l’ultimo suo testo, “Accordi” (Casa editrice Archinto, 2021), uscito postumo, grazie all’amorevole dedizione della moglie Franca Cella, critica e docente musicale; un libro ricco di profili di uomini e donne del panorama artistico che Arruga ha incontrato: dalla Callas a Domingo; da Muti ad Abbado, passando per Eco, Gavazzeni, von Karajan; e, poi, Bacchelli, Calvino; e di tutti questi personaggi ha catturato - sempre - qualcosa anche di inedito.
Per comprendere quanto la vita di Lorenzo Arruga sia stata colma, straripante di cultura e ricerca, basta entrare nel suo ampio studio: si incontrano libri che non sono solo testi inseriti in una vasta libreria; sono voci che chissà quante volte lo hanno chiamato nelle giornate di lavoro e di studio in questa stanza che riecheggia di pensieri e ricordi; eccola, la grande scrivania e, soprattutto, quel sole che entra prepotente dalle finestre a illuminare, in tutta la sua vitalità, altra vitalità, quella del Maestro; i raggi luminosi attraversano il pianoforte nero. E, proprio su questo pianoforte, è posata una statuetta che non può non richiamare l’attenzione: è un angelo, azzurro e biondo, bello, raffinato; sembra che parli, o meglio canti una strana melodia che l’orecchio umano non può ascoltare. E cosa c’entra, allora, un angelo in mezzo ai tasti di pianoforte, in mezzo a Verdi, Puccini, o Mozart, oppure Stravinskij?
Il discorso allora si amplia, varca i confini del terreno, e sfiora - in maniera delicata - il tema della fede in Lorenzo Arruga: “Aveva questa predilezione per gli angeli. Lo hanno affascinato sempre, accompagnandolo nella sua vita artistica e umana. Era innamorato di alcune mie cartoline che ritraevano angeli di ogni sorta, dipinti da grandi maestri del Rinascimento italiano. Un amore che poi è sfociato anche in un piccolo libretto, una favola dal titolo L’angelo che non si lasciava dipingere: una storia avvincente di un fumettista che, per uno strano caso del destino, si ritrova nelle colline bergamasche a dover dipingere l’angelo dell’Annunciazione. Jacques, il protagonista del libro, tenta così di capire - a modo suo - ciò che in realtà non ha mai saputo sulle storie di Dio e del mondo. È l’inizio, per il disegnatore di fumetti, di una riflessione sulla vita, ad ampio raggio: sul significato della nostra esistenza, dell’arte e della bellezza”, così la moglie Franca Cella racconta alla Nuova Bussola Quotidiana.
Animo da scherzoso bambino, che guardava alla vita con lo stupore della fede: tutto da imparare, tutto da scoprire; un fiore, una melodia e la bellezza in cui perdersi, anche in quella più semplice; come anche in quello spazio di cielo che si apriva dal balconcino dello studio: l’azzurro e i tetti, comignoli non di Parigi (citazione pucciniana d’obbligo) ma di Milano; la cupola della basilica di Santa Maria della Passione; le campane dei Vespri o della prima mattina. Fumando il suo immancabile sigaro, lì, su quel balcone, l’animo era intento a meditare sul mondo che, per Arruga, si divideva sempre tra pagine di libro o quinte di palcoscenico, o tra l’Infinito e le persone, con le proprie storie, con i loro desideri e speranze, con le gioie e dolori. L’umano, questo, il suo campo d’esplorazione.
Un umano che tocca il divino: basterebbe vedere le rappresentazioni sceniche, inventate (testi, musiche e regia) per la sagra di Sarmato, dedicata a san Rocco che, ammalato, dimorò in una grotta del piacentino, soccorso da un cane che gli portava ogni giorno del pane rubato al Castello, “figura che guardava con uno sguardo rivolto al presente, al mondo contemporaneo”, ci dice Franca Cella. Tre sono state le opere messe in scena su lui: La ballata del giovane Rocco, dove ripercorre - con linguaggio e musica d’oggi - la storia del giovane di Montpellier che dona ricchezze e vita per farsi pellegrino a Roma e cura gli ammalati di peste; Speciale Rocco, spettacolo in cui approfondisce i temi di San Rocco con scritti e musiche di grandi autori, da Lucrezio a Manzoni fino a giungere a Bob Dylan; e, infine, Rocco l’imprendibile, dove due giovani turisti d’oggi scoprono Sarmato e il suo santo patrono. Una trilogia popolare che narra la figura del santo, intrecciando - grazie a un mirabile gioco drammaturgico che fonde il passato con il presente - la tradizione e l’attualità.
Nel 1998, per il Teatro Regio di Parma, Franco Lorenzo Arruga mise in scena la favola Hansel e Gretel del musicista tedesco Engelbert Humperdinck. Era innamorato della Preghiera della sera dei due giovani protagonisti della favola. Quella preghiera, come scritto in un inedito testo di commiato, era suo desiderio venisse eseguita durante la sua Messa d’addio: “Sette angeli e sette/ mi proteggono./ Due alla mia testa,/ due ai miei piedi./ Due alla mia destra, due alla mia sinistra./ Due che mi coprono, due che mi vegliano, due che mi guidano al Paradiso”.