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SUD AMERICA

Argentina: scoppia la protesta contro Milei, ma la sua legge passa

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Violenta protesta a Buenos Aires contro la legge voluta dal presidente argentino Milei, approvata in Senato. Già moderata rispetto alla prima versione, la legge liberalizza il mercato.

Esteri 14_06_2024
Buenos Aires

Scene di guerra civile in Argentina, a Buenos Aires. Mentre in Senato si votava la legge omnibus, con le riforme volute dal presidente Javier Milei, in piazza, di fronte alla sede del Congresso, i partiti di sinistra, i sindacati e i movimenti sociali insorgevano, confrontandosi con la polizia. Fra lanci di molotov, auto incendiate, lacrimogeni e idranti, sul campo di battaglia sono state ferite decine di persone, fra cui cinque deputati dell’opposizione, portati in ospedale. Ma anche fra le forze dell’ordine si contano almeno venti feriti. Gli arresti, mentre questo pezzo va online, sono 15 e il numero potrebbe crescere nei prossimi giorni.

«Non possiamo credere che in Argentina si discuta una legge che ci farebbe tornare indietro di 100 anni», dichiarava all’agenzia Afp, nel mezzo degli scontri, l’avvocato Fabio Nunez. Eppure, è esattamente quello a cui mira Milei: tornare, se non a 100, almeno a 80 anni fa, a prima del peronismo, quando l’Argentina era uno dei paesi più ricchi del mondo, mentre oggi è ridotta sul lastrico. E intende tornare a un periodo in cui lo Stato lasciava l’economia più libera, eliminando tutto il peso dello statalismo che si è accumulato dall’amministrazione Peron in poi.

Il testo della legge omnibus, dopo la sua approvazione alla Camera, ha spaccato il Senato esattamente a metà: 36 a favore e 36 contro. A gettare il peso dalla parte dei sì è stata la presidente del Senato, nonché vice di Milei, Victoria Villarruel. La difficoltà politica della legge è prima di tutto nei numeri del Congresso. Il partito di Milei, la Libertà Avanza ha appena il 15% dei seggi e deve mediare con forze politiche tutt’altro che liberiste. La versione della legge omnibus presentata e votata il 12 giugno, è un terzo di quella che Milei aveva presentato a febbraio e non era stata approvata, composta da poco più di 200 articoli invece che poco più di 600 della versione originale. Dopo il voto risicato al Senato, la legge torna alla Camera per l'approvazione definitiva, ma è previsto, numeri alla mano, che abbia già la maggioranza.

Il disegno di legge originale prevedeva la privatizzazione di oltre 40 aziende statali, mentre la versione approvata prevede la privatizzazione completa solo di due aziende, dopo aver accantonato i piani di vendita di aziende come la compagnia di bandiera Aerolíneas Argentinas, il servizio postale Correo Argentino e i media statali Radio y Televisión Argentina. Altre quattro aziende statali saranno aperte al capitale privato.

La legislazione prevede ancora misure per allentare le rigide norme sul mercato del lavoro (con grande indignazione dei sindacati) e fornire incentivi per i grandi investimenti, con l’obiettivo di attirare le aziende a investire nell'industria mineraria, nella tecnologia e in altri settori.

Milei ha dichiarato che l’economia si riprenderà presto e ha incolpato i suoi oppositori di non aver sostenuto le riforme precedenti, volte ad attirare gli investimenti. «Ci mettono i bastoni tra le ruote ogni giorno quando cerchiamo di governare - ha dichiarato Milei - Attueremo le nostre riforme strutturali, che a loro piaccia o meno».

In questi primi sei mesi di governo, per evitare di incagliarsi nell’opposizione congressuale, ha fatto tutto quel che poteva fare da presidente, attraverso decreti. Ha tagliato la spesa pubblica, ottenendo il primo avanzo di bilancio trimestrale dell’Argentina in 16 anni.  Il tasso di inflazione mensile è sceso all’8,8% in aprile, dopo aver toccato il 25% in dicembre. A maggio l'inflazione era al 4,2%.

Il presidente argentino, che guida un governo con un numero di ministeri pari alla metà rispetto ai precedenti, ha annunciato il licenziamento di altri 50mila dipendenti statali, portando avanti il suo sforzo di «dimezzare lo Stato». E in marzo aveva proposto di tagliare 70mila posti di lavoro del settore pubblico, che impiega circa 3,5 milioni di persone. Secondo Infobae, dall’annuncio di marzo sono state tagliate 25mila posizioni.

Non è decollato, invece, il progetto di dollarizzazione, cioè di sostituzione del peso argentino con il dollaro statunitense come valuta nazionale, per tagliare di colpo l’inflazione, sulla scia di quel che più di vent’anni fa avevano fatto Ecuador e Salvador, in parte anche la stessa Argentina, quando aveva agganciato il peso al dollaro, negli anni 90 di Menem. «Sarebbe stato possibile farlo in termini tecnici – ha dichiarato Milei all’agenzia Bloomberg - ma abbiamo dedotto che la politica avrebbe giocato sporco». Ha incontrato una forte opposizione da parte degli economisti e della Corte Suprema, i cui giudici hanno affermato che l’idea di eliminare il peso è “incostituzionale”. Anche il ministro delle Finanze di Milei, Luis Caputo, si era opposto alla dollarizzazione, preferendo un “piano di stabilizzazione ortodosso”.

Nel breve termine, le misure che finora sono passate, hanno causato una crescita del numero di argentini che vivono in condizioni di povertà al 56% nel primo trimestre del 2024, contro il 44% dello scorso anno, secondo le statistiche dell’Università Cattolica Argentina. Questo contraccolpo (che quarant’anni fa ha caratterizzato anche il primo periodo delle riforme di Margaret Thatcher) era stato in qualche modo preannunciato dallo stesso Milei, quando aveva avvertito che il paese sarebbe stato ancora peggio, prima di migliorare e guarire.

Eppure, Javier Milei mantiene un ampio sostegno popolare in Argentina. In aprile,  Opina Argentina ha rilevato un indice di gradimento del 49%, con un calo di un solo punto rispetto a marzo. I giovani sono i più favorevoli al Presidente, con il 64% dei consensi.