Argentina al voto di metà mandato, un "referendum" su Milei
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Domani, domenica 26 ottobre, si vota in Argentina per le elezioni parlamentari di metà mandato. Il presidente Milei si mette in gioco. A seconda del risultato sapremo se procederà o meno la sua rivoluzione liberale nella patria del peronismo.
Domani, domenica 26 ottobre, si vota in Argentina e sarà un momento determinante per il futuro del paese sudamericano. Finora, il presidente Javier Milei ha governato senza un proprio partito di maggioranza. La sua formazione, la Libertà Avanza, è infatti uno sparuto gruppo del 15%. Nonostante tutto, grazie all’alleanza con i partiti della destra argentina, Milei è riuscito a portare a termine gran parte della sua agenda di riforme radicali. Dopo ottant’anni di politiche peroniste, basate su statalismo economico, paternalismo e nazionalismo, Milei è praticamente il primo presidente che prova la via della riforma liberale del paese, con privatizzazioni e deregolamentazioni. Le riforme continueranno solo se sostenute da una maggioranza solida. In caso di sconfitta, l’esperimento liberale argentino finirebbe.
La sua vittoria a sorpresa, nel 2023, è stata l’effetto di una delle più gravi crisi economiche del paese, combinata a una gestione della pandemia di Covid-19 estremamente repressiva. Il messaggio di libertà del candidato outsider, nemico dichiarato dello Stato (lui stesso si definisce anarco-capitalista), aveva attratto prima i giovani, soprattutto sui social network, poi anche i loro genitori. Benché la popolarità di Milei resti alta (tasso di approvazione del 41%, in calo rispetto al 51% di inizio mandato, ma sempre elevato), una vittoria della sua coalizione, in queste elezioni del Congresso (il legislativo) è in dubbio. A inizio settembre, la Libertà Avanza ha perso le elezioni nella provincia di Buenos Aires (40% della popolazione argentina). Sconfitta relativa, perché anche nelle politiche del 2023, nella capitale, il partito del presidente era finito in minoranza. In queste ultime elezioni, anzi, ha preso più voti e guadagnato più seggi. Nonostante tutto, la sconfitta di Buenos Aires è vista dagli osservatori come un cattivo segnale per le elezioni nazionali di domani.
Molti sono i motivi per cui gli argentini potrebbero rinnovare la fiducia a Milei, dando il voto alla sua coalizione parlamentare. In meno di un anno, il suo governo ha eliminato il deficit fiscale, portandolo dal 5% del Pil a zero. Ha ridotto il numero dei ministeri da 18 a 8, eliminando le relative burocrazie. Ha ridotto la spesa pubblica del 30%. Ha deregolamentato mercati chiave, tra cui gli affitti immobiliari, le compagnie aeree commerciali e il trasporto merci su strada. E dopo una lunga battaglia ha iniziato a liberalizzare anche l’ingessatissimo mercato del lavoro. Ha sciolto tutte le organizzazioni peroniste che dominavano la società civile, quelle che elargivano sussidi in cambio di favori politici. Ha riorganizzato, liberalizzandolo, il sistema delle importazioni. E ha ridato piena indipendenza alla banca centrale. Con Donald Trump è riuscito, per primo, a ottenere un accordo di libero scambio.
L’inflazione mensile è ridotta dal 13% al 2%. L’economia ha ripreso a crescere a un tasso annuo previsto del 7%: un risultato ancor più eclatante considerando che, nel 2023, quando Milei ha vinto le elezioni, il Pil si era ridotto dell’1,6%. Il tasso di povertà è sceso dal 42% del 2023 al 31% attuale. Avere un terzo di cittadini in una condizione di povertà significa che stiamo parlando ancora di un Paese ridotto in miseria, ma molto meno di quel che era prima della cura Milei: 11 milioni di persone sono uscite dalla povertà, fra cui 2 milioni di bambini che ora hanno un futuro.
Ci sono però altri motivi validi per cui gli argentini potrebbero votare per l’opposizione peronista. Prima di tutto perché le riforme liberali, soprattutto i tagli alla spesa, hanno colpito gli interessi di milioni di dipendenti pubblici e rendite di posizione. I nemici del presidente sono organizzati, sostenuti dai sindacati, hanno molta voce in capitolo nei media. E, inutile dirlo, Milei ha un pessimo rapporto con i giornalisti, molto spesso dà loro risposte volgari e sprezzanti che non gli guadagnano sicuramente buona stampa.
La seconda ragione è la crisi del peso, la valuta nazionale, che rischia di perdere valore. E le riserve valutarie in dollari stanno estinguendosi rapidamente. La promessa dollarizzazione dell’economia (Milei aveva proposto di sostituire subito il peso con il dollaro e di abolire contestualmente la Banca centrale) non è stata realizzata. Cosa sarebbe potuto succedere, se l'avesse fatta subito non è dato saperlo. Ma sappiamo però che la mancata realizzazione di questa riforma radicale ha comunque portato alla crisi monetaria attuale. Per soccorrere l’Argentina, l’alleato Donald Trump sta intervenendo con un maxi prestito di 20 miliardi di dollari per acquistare pesos e con altri 20 miliardi di dollari (forniti da privati) per sostenere il debito argentino.
Ma l’aiuto di Trump non è gratuito, chiede in cambio un grosso favore politico: tagliare i legami commerciali con la Cina, primo partner dell’Argentina ancora oggi. Il segretario al Tesoro Scott Bessent ha discusso nelle ultime settimane con Luis Caputo, ministro dell’Economia argentino, della possibilità di limitare l’accesso della Cina alle risorse del Paese, compresi i minerali strategici. Inoltre, secondo fonti informate sui colloqui, hanno discusso della possibilità di concedere agli Stati Uniti un maggiore accesso alle riserve di uranio del Paese.
«Stabilizzare l'Argentina significa ‘America First’», ha affermato un portavoce del Dipartimento del Tesoro. “Un’Argentina forte e stabile contribuisce a garantire la prosperità dell’emisfero occidentale, il che è chiaramente nell'interesse strategico degli Stati Uniti”. “È possibile intrattenere rapporti commerciali, ma non si dovrebbe andare oltre. Non si dovrebbe certamente intrattenere alcun rapporto militare con la Cina. E se così fosse, ne sarei molto contrariato”, ha detto Trump a Milei durante un incontro alla Casa Bianca la scorsa settimana.
La Cina è molto presente nel mercato argentino, nelle telecomunicazioni così come nelle risorse naturali. Tagliare i rapporti con Pechino sarebbe molto costoso. Farlo sotto minaccia (perché la questione è stata posta esattamente in questi termini, dall’amministrazione Trump) potrebbe essere ancor più svilente. Milei potrebbe essere accusato di aver svenduto la nazione a un progetto neo-coloniale.
Infine, ma non da ultimo, Milei potrebbe non essere eletto perché… si comporta da Milei. L’uomo è piaciuto per il messaggio libertario, per la campagna elettorale del 2023 il cui simbolo era la motosega (per tagliare burocrazie e rendite parassitarie), ma l’opinione pubblica argentina lo ha apprezzato, a torto o a ragione, soprattutto per il messaggio anti-casta, dunque anti-corruzione. Proprio per questo, Milei è rimasto inchiodato alla sua fama di incorruttibile, una posizione scomoda in cui basta una macchia per essere rovinati. E di macchie ce ne sono almeno due. La prima è uno scandalo legato alla promozione di criptovalute, da parte del presidente, che poi hanno improvvisamente perso valore, con gran perdite per chiunque vi avesse investito. La seconda è il sospetto di tangenti alla sorella Karina, principale consigliera del presidente. Può anche darsi che risulti innocente, ma in queste circostanze basta il sospetto, debitamente ingigantito dai media, per causare una sconfitta elettorale.

