Arabia Saudita, il terrorismo che non fa notizia
Il Califfato e Boko Haram fanno giustamente impressione per il modo brutale con cui applicano la legge coranica sui cittadini sottoposti al loro dominio. Ma c'è un altro Stato che si comporta allo stesso modo con i suoi sudditi, non fa scalpore e, anzi, fa regolarmente parte della coalizione contro l'Isis: è l'Arabia Saudita.
Il muro di cui nessuno parla di Gianandrea Gaiani
Secondo il vocabolario Treccani della lingua italiana “terrorismo” è “L’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e sim.; possono farvi ricorso sia gruppi, movimenti o formazioni di vario genere (ma anche individui isolati), che vogliono conseguire mutamenti radicali del quadro politico-istituzionale, sia apparati, istituzionali o deviati, di governo interessati a reprimere il dissenso interno e a impedire particolari sviluppi politici.”
La definizione oggettiva di “terrorismo” appena citata si addice perfettamente alle azioni esecrabili e atroci dello Stato islamico, alle decapitazioni, alle barbare uccisioni le cui immagini rimbalzano sui social networks e sulla carta stampata. Immagini che inorridiscono, che fanno sussultare e che scatenano condanne sia da parte islamica sia da parte occidentale. La barbarie è sotto gli occhi di tutti grazie alle pubblicazioni, ai comunicati, ai video dei seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi, di al-Qaeda, dei Boko Haram. La disumanità del terrorismo di matrice islamica è ancora più vicina e palpabile quando colpisce l’occidente stesso, come nel caso dei recenti attentati a Charlie Hebdo e al supermercato kosher a Parigi.
Purtroppo aldilà dell’intervento militare della coalizione internazionale, aldilà di azioni repressive, espulsioni e arresti, aldilà dell’innalzamento delle misure di sicurezza nazionali e internazionali, non esiste altra possibilità di esercitare pressioni su un sedicente Stato islamico tantomeno su un sedicente califfo, nel caso dell’IS, né su un’organizzazione a livello globale che non ha un territorio definito e che non riconosce né le convenzioni internazionali né il diritto occidentale, nel caso di Al Qaeda, né su Boko Haram.
Tuttavia esiste uno Stato, tra l’altro membro della coalizione anti-IS, che decapita, flagella e perseguita alla luce del sole, ma i cui crimini non vengono resi noti, o solo da organizzazioni per i diritti umani, e quindi per i più non esistono. Mi riferisco all’Arabia Saudita. Qui pochi giorni fa una donna è stata decapitata sulla pubblica piazza, qui nel 2014 sono state decapitate 87 persone. Non solo, venerdì prossimo, Raif Badawi, blogger trentenne, riceverà la seconda porzione di cinquanta frustate su un totale di mille per avere criticato le istituzioni saudite e per avere fondato un blog di pensatori liberali. Anche l’avvocato di Raif, Waleed Abu al-Khayr è stato condannato a 15 anni in base alla legge anti-terrorismo per avere promosso indagini sui diritti umani nel paese. Non si hanno nemmeno notizie di due attiviste – Lujayn al-Hathloul e Maysa al-Amoudi – arrestate per avere osato guidare. Uno shaykh sciita, Nimr al-Nimr, è stato condannato a morte per avere intrattenuto rapporti con la propria comunità religiosa, spesso perseguitata nel Regno saudita. Qui tre figlie del re sono agli arresti domiciliari da anni e non possono lasciare il paese perché la loro madre ha osato offendere l’ex-marito non accettando di volere ritornare da lui dopo che lui stesso l’aveva allontanata.
A differenza dell’IS, nel caso dell’Arabia Saudita la comunità internazionale dovrebbe agire con fermezza e pretendere che rispettasse i requisiti minimi del rispetto dei diritti umani. Purtroppo, per i cittadini sauditi e per chiunque risieda nella penisola arabica, si definisce terrorismo solo l’azione violenta e armata che ci colpisce da vicino e non ci si cura di quanto accade altrove. Purtroppo, per noi, non si vuole comprendere che all’origine dell’IS e di Al Qaeda si trova un’ideologia che è nata, che è cresciuta, ma soprattutto che è l’ideologia che ha stretto un patto con la famiglia dei Saud: il wahhabismo. E’ l’ideologia che è alla base del pensiero di Bin Laden, egli stesso saudita. D’altronde la bandiera saudita parla chiaro: la professione di fede islamica e una spada. Una bandiera non molto dissimile dal simbolo dei Fratelli musulmani: il Corano e due spade.
Nella riflessione più ampia che riguarda la lotta al terrorismo, l’occidente dovrebbe comprendere che il primo obiettivo dovrebbe essere lo sradicamento di tutte quelle ideologie che uniscono islam e potere politico, islam e conquista del potere, prime fra tutte quella wahhabita e quella dei Fratelli musulmani. Solo allora potrà dire di avere intrapreso la vera lotta contro il terrorismo di matrice islamica perché ne avrà estirpata la radice ideologica.
Arabia Saudita, il muro di cui non si parla di Gianandrea Gaiani