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L'INCHIESTA/2

Angelelli, marxisti e rivolte nella diocesi rossa

Domani la Chiesa argentina beatifica per martirio in odium fidei il vescovo Angelelli e i suoi 3 collaboratori. Ma è una beatificazione che divide i fedeli: non ci sono prove che si sia trattato di un omicidio. Un nuovo studio ricostruisce anni di indagini e smonta le tesi del martirio. A cominciare dalla vicinanza del vescovo de La Rioja ai gruppi armati marxisti che fece arrabbiare i fedeli. Si delinea il quadro di una beatificazione politica che non a caso abbraccia la Sinistra e il kirchnerismo. 
-UNA BEATIFICAZIONE CHE DIVIDE/1

Ecclesia 26_04_2019

La seconda parte dell'inchiesta sulla beatificazione del vescovo Angelelli. Leggi QUI la prima puntata 

LA GUERRA ALL’ESERCITO
Successivamente, nel 2010 venne riaperto un nuovo processo, che culminò nella sentenza di condanna di due ex militari, di stanza all’epoca nella base di Chamical e quindi considerati i mandanti occulti del delitto, il generale Luciano Benjamín Menéndez (morto nel febbraio 2018, un gerarca, al quale la Giustizia imputò 140 delitti condannandolo a 14 ergastoli) e il commodoro Luis Estrella, un comprovato cattolico dalla fede solida invece, che si dichiarò sempre innocente definendosi vittima del sistema giudiziario argentino. Dal nuovo processo non emersero fatti nuovi che ribaltassero le risultanze precedenti, come testimoniò successivamente un ex giudice nel 2018, Silvia E. Marcotullio, la quale fece notare che non sono stati trovati gli autori materiali del supposto delitto, i due indiziati vennero condannati senza prove, le due indagini precedenti, una durante il regime dei colonnelli, l’altra in pieno governo costituzionale, arrivarono alle medesime conclusioni. Per tutte queste ragioni, concluse che quel processo era stata un’“aberrazione giuridica”.

ODIUM FIDEI ASSENTE
Ma la sentenza, stando almeno a chi l’ha studiata attentamente non arriva a parlare di odio religioso, pur riconoscendo il delitto. “L’aggravante dell’odio religioso è esclusa dai giudici e questo non è compatibile con la dichiarazione di martirio in odium fidei data dalla Chiesa”, fa notare su La Prensa Jorge Ocantos ricordando come questa beatificazione abbia provocato una grande divisione tra i fedeli della Chiesa.

Eppure, quel processo bastò. E bastò anche alla Chiesa, che, prima, nel 2006, quando Jorge Mario Bergoglio era a capo della Conferenza Episcopale Argentina ordinò una commissione speciale guidata da monsignor Carmelo Juan Giaquinta. I lavori si conclusero con un nulla di fatto: non fu possibile accertare con certezza se si trattò di un incidente o di un attentato. Lo stesso Giaquinta, confidò privatamente a Maria Genta – il fatto però è riferito soltanto da lei – che le evidenze di un attentato erano completamente assenti.

La Giustizia civile arrivò solo nel 2014, quando in Argentina si era nel pieno del governo dei Kirchner, prima con Nèstor e poi con la moglie Cristina. Anni, nota la studiosa, in cui si scatenò una violenta campagna contro i vertici dell’esercito, considerato l’autore di tutti i mali. “In quegli anni – ha aggiunto – si mise in marcia un piano sistematico di vendetta contro le Forze Armate che negli anni ’70 combatterono le organizzazioni guerrigliere e terroriste. (…) Anni in cui vennero commesse numerose irregolarità per condannare giudici, spesso con metodi contrari ai fondamenti del diritto e animati da parzialità ideologica”.

UNA BEATIFICAZIONE COSTRUITA
E’ in questo contesto, dunque, che matura la condanna dei presunti assassini di Angelelli. I coniugi presidenti si fecero anche ritrarre mentre guardavano il ritratto del vescovo, come in adorazione. Viene così il via libera per la Chiesa per la sua beatificazione, suggellata – stando a quanto riferito da Vatican Insider – dalla lettera in cui Angelelli denunciava al nunzio di allora la sua situazione e l’opposizione del regime ai suoi piani pastorali.

E’ questo un punto indispensabile per comprendere il clima dell’epoca: la Genta mostra come Angelelli fosse ampiamente compromesso con “settori ecclesiali che soccombevano all’ideologia e alla prassi della sovversione marxista in favore di un cristianesimo adulterato”. E riporta diversi episodi che delineano la linea pastorale di Angelelli: “Si circondò di collaboratori deprecabili, coinvolti nella teologia della liberazione e nel terzomondismo, compromessi con l’azione di gruppi sovversivi. Fatto che creò numerose frizioni e scontri con grande scandalo dei fedeli”.

La Genta, ad esempio, riporta quanto accadde nella località di Annillaco, quando il vecchio parroco venne messo sotto attacco da sovversivi perché non si adattava ai piani programmatici del terzomonidismo. Angelelli ottenne la sua rinuncia, ma questo scatenò la ribellione del popolo, quello vero, affezionato al proprio parroco che protestò con in testa proprio dei senza terra, a conferma che spesso le battaglie ideologiche che si fanno per i poveri, sono proprio contro di loro. Risultato? I ribelli proclamarono Anillaco Città della fede e Angelelli comminò la pena canonica dell’interdetto.

La donna fa notare che il sentimento genuino del popolo si mescolò, come spesso accade, anche a interessi politici, ma tutto questo era giocoforza inevitabile, vista l’azione disgregatrice di Angelelli. Il quale, appena arrivato a la Rioja stilò una sorta di manifesto licenziato dal consiglio presbiterale della diocesi, nel dicembre 1972 e nel quale al punto numero 1 si sanciva: “La Chiesa de La Rioja assume ufficialmente il pensiero e la azione del Movimento dei sacerdoti per il Terzo Mondo” e al punto 2: “Si considerano traditori quei sacerdoti della diocesi che non aderiscono a questa pastorale”. In pratica – conclude in un articolo Horacio Ricardo Palma – una nuova Chiesa alla quale però il popolo dava le spalle anche per la presenza, tra i preti provenienti da altre diocesi e accolti da Angelelli, di sacerdoti che vivevano con donne, religiose che avevano relazioni con sacerdoti, preti con figli, seminaristi ordinati senza aver terminato gli studi e numerose violazioni della dottrina liturgica e nella celebrazione dei sacramenti”.

Per questo nuovo spirito terzomondista, Angelelli fu “attenzonato” anche dal regime precedente, nel 1973, quello di Domingo Peron. Un suo emissario nella zona annota diversi episodi che delineano una azione pastorale che si ripercuoteva sui preti che non si piegavano a certi diktat ideologici. E concludeva con il consigliare un attacco sulla stampa per obbligare la Santa Sede a rimuoverlo. Ovviamente non se ne fece nulla. Angelelli morì tre anni dopo, però con un regime diverso da quello del general. Ciononostante, le prove che si sia trattato di un omicidio e men che meno di un martirio in odio alla fede, non sono mai state trovate. Eppure, al solo dirlo, al solo mettere in discussione questa beatificazione dall'alto valore politico, il vescovo di La Rioja Colombo, nei mesi scorsi, parlava di "fomentatori d'odio" contribunendo ad avvelenare il clima. 

FINE - 2