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PSEUDO-ARTE

Andres Serrano, il grande impostore

Una mostra a Milano ripropone i lavori di un fotografo statunitense che cerca la notorietà con la blasfemia. Ma non ha nulla a che vedere con l'arte.

Cultura 08_11_2011
Serrano
Il mondo dei critici e dei curatori di artisti contemporanei è popolato da individui venduti all’idea che l’arte possa nascere dall’intreccio con il marketing. Vittorio Sgarbi nella conferenza stampa di presentazione del suo Padiglione Italia all’interno dell’ultima Biennale di Venezia, ne ha parlato malissimo: cosa fanno i curatori “o, come vogliono con civetteria farsi chiamare, curatori indipendenti”, se non stare al capezzale dei loro protetti e curarne gli interessi nel vero senso della parola? Ma se non ci piace pensar male e preferiamo concedere loro il beneficio della buona fede, allora non possiamo considerarli che incapaci di intendere e di volere se Andres Serrano (New York 1950) riesce con tanta facilità ad abbindolare la categoria e a farsi accreditare come uno dei più grandi artisti contemporanei.

Serrano è sicuramente grande: un grande manipolatore, un grande impostore dalla gommosa e ambigua faccia triste, che naviga a gonfie vele sulla scena artistica internazionale grazie alla pubblicità di lavori (dobbiamo chiamarli così e degradare una parola nobile?) blasfemi, un uomo che si crede furbo e sicuramente è meno stupido dei suoi interlocutori, che blatera di Chiesa e religione senza che nessun giornalista durante le interviste abbia il coraggio di opporgli la minima resistenza. Tutti zitti, muti e occhi sgranati dall’ammirazione se Serrano dichiara che l’artista del passato più vicino al suo lavoro è Caravaggio (Caravaggio!). Zitti, muti e appiattiti nel condividere quella che è la sparata di un megalomane ignorante e soprattutto nel riportarla, come fosse una verità che non necessita di prove, sulle pagine dei giornali, da dove poi si propagherà come uno slogan che ci toccherà sentire ripetuto sulla bocca di tanti finti acculturati, “ah Serrano, certo, grande, è il moderno Caravaggio”.

Il “moderno Caravaggio” è l’autore di Piss Christ, la foto del 1987 di un crocefisso di plastica immerso in un contenitore riempito di urina dell’artista, riproposta lo scorso aprile ad Avignone all’interno della mostra Credo nei miracoli e scelta come logo dei manifesti appesi ovunque (ne avevamo parlato già su La Bussola). Proteste e appelli di molte organizzazioni cattoliche, anche italiane, e del vescovo della città non sono servite a convincere i curatori a togliere quell’insulto dalle sale del museo e hanno preferito lasciare spazio alle polemiche sui giornali e alla prevedibile reazione esasperata di chi non ha trovato altro rimedio alla blasfemia che prendere la foto a martellate. Grasso che cola per gli organizzatori: un sacco di pubblicità gratis in più!

Prima di Piss Christ Andres Serrano (già trentasettenne) non lo conosceva nessuno, con quella foto vince premi ed entra nell’olimpo degli artisti contemporanei acclamati internazionalmente. Cosa doveva pensare Serrano dopo avere avuto la conferma che oggi il mondo dell’arte è una pacchia per uomini senza talento, purchè spregiudicati e blasfemi all’ennesima potenza? Poteva solo concludere “avanti così, hai trovato un filone d’oro” Avanti dunque con altre foto capaci di scandalizzare, di provocare e di fare alzare le proprie quotazioni, senza farsi distrarre da preoccupazioni inutili: la bellezza, il senso? Solo cose che fanno venire il mal di testa. Avanti con Morgue, la serie dedicata ai morti ritratti senza pietà negli obitori e avanti con History of the sex, che se quello è il sesso meglio tenersene alla larga per il resto della vita. Benedetto XVI nel novembre 2009, ricevendo gli artisti nella Cappella Sistina, si rivolgeva a loro con queste parole: «L’autentica bellezza schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé».
Invece le fotografie di Serrano, dalle quotazioni astronomiche, anche più di 160.000 euro l’una, raggiungono l’obiettivo contrario, il cuore si chiude a qualsiasi sentimento e gli occhi sono costretti a una visione del mondo senza speranza, dove l’uomo è ridotto a cosa priva di senso, oltraggiato e umiliato senza pietà, nient’altro che carne da macello e fluidi corporali.

Anche la mostra milanese Holy Works (il cui sottotitolo più appropriato sarebbe "Vi faccio fessi un’altra volta") in corso presso la Galleria Pack (23 settembre-19 novembre) pure se priva di provocazioni shock, non poteva essere che l’ennesima presa in giro, questa volta vestita (siamo in Europa) da reinterpretazione della pittura religiosa medioevale e rinascimentale, da rilettura del ritratto sacro all’interno della storia dell’arte. Caspita, che ambizione e il risultato qual’è? Il risultato è una serie di foto di grande formato che ritraggono gli amici di Serrano travestiti da santi, da Maddalena, da Gesù, da apostoli durante l’ultima scena. Niente di terribile, se non fosse per l’impressione di trovarsi davanti alle foto ricordo della recita scolastica di fine anno e per la sciatteria della messa in scena: quattro pezze di shantung colorato e lucido, magari sintetico, drappeggiate addosso a interpreti dalle facce bolse, le mani in primo piano un po’ sfuocate perché Serrano non ha certo tempo da perdere per capire come funziona la macchina fotografica e primi piani così statici e inespressivi che viene da pensare a persone lobotomizzate.

Inerti, le foto di Serrano sono inerti, niente circola e niente trasmettono. Senza la stampella della provocazione che galvanizza i sostenitori e fa rabbrividire di pena per l’artista tutti gli altri, le sue foto non parlano, ma neanche sussurrano o borbottano, restano mute e forse sperano che siano i visitatori a portare un po’ di vita, a dir loro qualcosa e a scaldarle. Tanto le opere quattro-cinquecentesche alle quali arbitrariamente Serrano dichiara di ispirarsi cantano e coinvolgono ogni tipo di visitatore, dal più semplice al più raffinato, tanto S.Antonio (col viso rigato di sangue), la Pietà spagnola, la Madonna cinese, Cristo che porta la croce (con i capelli vaporosi) interpretati da Serrano fanno morire di noia. Uno sguardo e via, altro che l’incanto che ci inchioda nelle chiese perfino davanti a opere di pittori minori. Eppure Serrano è così presuntuoso che crede di “rendere il linguaggio della Chiesa più vicino al mondo contemporaneo” perché la Chiesa “ha perso il suo valore comunicativo” e apertamente dichiara di aspirare a essere riconosciuto come uno degli artisti religiosi più importanti del suo tempo e di desiderare di entrare con i suoi lavori nelle collezioni d’arte del Vaticano.

Chi gli spiega che nessun senso non dico religioso, ma nemmeno del mistero, è presente nelle sue opere? Ad un giornalista che gli chiedeva se avesse capito di più sulla religione attraverso il suo lavoro, Serrano rispondeva: “sì, e anche di me stesso. Quando ho fatto il ritratto di Gesù con Maria ho pensato che potrebbe essere il ritratto di me con mia madre. Io non ho mai avuto un padre, come Cristo”. Un personaggio del genere è meglio seppellirlo con una risata.