Ancora niente Brexit. May sconfitta per la terza volta
Regno Unito, il 29 marzo doveva essere il giorno della Brexit. Invece la data fatidica è stata rinviata al 22 maggio. Oggi, in compenso, si è votato per la terza volta il piano di uscita dall’Ue proposto da Theresa May e accettato dall’Ue. E per la terza volta è stato bocciato. A nulla, dunque, è servita la dilazione chiesta dalla May.
Regno Unito, il 29 marzo doveva essere il giorno della Brexit. Invece la data fatidica è stata rinviata al 22 maggio. Oggi, in compenso, si è votato per la terza volta il piano di uscita dall’Ue proposto da Theresa May e accettato dall’Ue. E per la terza volta è stato bocciato. A nulla, dunque, è servita la dilazione chiesta dalla May, teoricamente per far digerire il suo piano e neppure è stato sufficiente il suo annuncio di dimissioni, condizionate dall’approvazione del piano, così da attrarre il voto di tutti quegli ambiziosi conservatori che la vorrebbero rimpiazzare nel prossimo round negoziale.
In questo turno di votazioni, il governo è andato sotto di 58 voti. Dunque 344 deputati hanno votato contro la May, a fronte di 286 voti favorevoli. Si è trattato di un margine inferiore rispetto alle scorse votazioni, sempre sullo stesso piano. Il 15 gennaio, infatti, il governo era stato battuto con 432 voti a 202, mentre il 12 marzo con 391 voti a 242. Proprio questa continua, lenta erosione dell’opposizione, spinge la May a non rassegnare le dimissioni e a provare ancora, e ancora, e ancora… Sperando che questa guerra di logoramento in Parlamento non finisca come una battaglia della Grande Guerra (di cui si è appena celebrato il centenario della fine), quando conquiste minime di terreno davano ai generali l’illusione di poter sfondare alla successiva spallata e li inducevano a infliggere altre decine di migliaia di morti al proprio esercito.
Il voto di venerdì non riguardava tutto l’accordo sulla Brexit, ma su alcuni tratti salienti: sui termini del divorzio dall’Ue legalmente vincolanti, che riguardano il pagamento delle spese comuni, i diritti dei cittadini stranieri, comunitari, che vivono nel Regno Unito (e di quelli britannici che vivono in Europa) e infine sulla questione irlandese. Dove l’accordo prevede che non torni una frontiera rigida fra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda, anche quando i due territori saranno, rispettivamente, uno fuori e l’altro ancora dentro l’Ue. La soluzione proposta per la questione irlandese, come abbiamo già visto a più riprese su queste colonne, ha sempre determinato la bocciatura del piano. Il timore che l’Irlanda del Nord possa rimanere separata dal resto del Regno, provoca in automatico il voto contrario del partito Unionista nordirlandese, l’ago della bilancia della maggioranza, a cui si unisce un pattuglione di conservatori dissidenti.
Anche in questa votazione, come nelle altre due, il partito Unionista ha votato contro, assieme a 34 conservatori. Alcuni nomi dei dissidenti, come Dominic Raab e Iain Duncan Smith sono rientrati nei ranghi. Ma sono troppo pochi. Il deputato conservatore Steve Baker, vicepresidente dello European Research Group, uno dei dissidenti più accesi, ritiene che questa debba essere la sconfitta definitiva dell’accordo proposto dalla May. “E’ finita, dobbiamo andare oltre”. Perché il piano “Non è passato, non passerà, mi spiace dire che la May a questo punto deve mettere in pratica le sue parole e lasciar spazio a un nuovo leader che concepisca un nuovo accordo per lasciare l’Unione che venga approvato dal Parlamento”.
Ma cosa pensa la controparte? L’Ue si sta preparando seriamente ad assistere ad una uscita non concordata del Regno Unito. Per il 12 aprile, come recita un comunicato della Commissione Europea, Londra deve “indicare un suo percorso” che venga “preso in esame dal Consiglio Europeo”, altrimenti “Uno scenario di ‘no deal’ (uscita non concordata) il 12 aprile è ora uno scenario probabile. L’Ue si sta preparando a questo sin dal dicembre del 2017 e ora è perfettamente preparata a uno scenario di ‘no deal’ per la mezzanotte del 12 aprile. L’Ue rimarrà unita”. La speranza di fondo della premier conservatrice e (stando alle ultime dichiarazioni alla stampa) anche del partito degli Unionisti, è quella di tirare ancora in lungo. Non per giorni, non per mesi, ma per anni. Tanto è vero che ieri la May ha ricominciato a parlare di una possibile partecipazione alle elezioni europee, che si terranno il 23 maggio prossimo. Ciò vuol dire: un rinvio di almeno 5 anni della Brexit, fino alla scadenza della prossima legislatura del Parlamento Europeo.
Si può comprendere la frustrazione di chi ha votato per l’uscita dell’Ue con cognizione di causa. Ora si sente tradito dal governo e dai continui rinvii, compromessi e voti parlamentari. La Brexit avrebbe dovuto essere oggi e di fronte a Westminster manifestavano gli attivisti della “March to Leave” organizzata da Nigel Farage (fondatore dello Uk Independence Party, il partito euroscettico, e maggiore animatore del referendum sulla Brexit) e contemporaneamente quelli di "Make Brexit Happen", organizzati dall’attuale leader dell’Ukip Gerard Batten. Alla domanda su quando vorrebbe uscire dall'Ue, Farage ha risposto chiaramente "Oggi, a mezzanotte". C’erano tanti con il gilet giallo, come in Francia e un tripudio di bandiere britanniche. Non erano un milione, come quelli della marcia anti-Brexit di lunedì scorso. Erano poche migliaia e non hanno fatto parlare di sé. Ma anche prima del referendum i sondaggi davano vincente la linea europeista e gli unici che si vedevano e sentivano, nelle piazze e nei media, erano i “remainers”, contrari all’uscita, che avevano il governo e gran parte dell’opposizione dalla loro. Eppure è finita come sappiamo.