Anche oggi il prete è un "altro Cristo"
Una riflessione sulla figura del sacerdote, portato dal Signore ad essere "un altro Cristo" in terra come si diceva una volta. Ma anche oggi il prete fa da mediatore tra Dio e gli uomini, deve essere innamorato di Gesù Cristo e averlo nel cuore.
Il 5 giugno sono andato a Vercelli per celebrare, in una giornata di fraternità sacerdotale, le ricorrenze dei confratelli diocesani con 60-50-40-25 anni di sacerdozio. Dopo la conferenza di don Armando Aufiero sul recente Beato mons. Luigi Novarese, fondatore dei “Silenziosi Operai della Croce”, nella grande chiesa del Seminario l’arcivescovo mons. Enrico Masseroni (50 anni di ordinazione) ha celebrato la Messa con omelia sul sacerdozio e alla fine ha invitato me (60 anni) a dire due parole ai confratelli vercellesi. Avevo il cuore pieno di gioia e ho espresso due pensieri.
Innazitutto ringraziamo il Signore che ci ha scelti, ci ha guidati, consolati, illuminati, perdonati (più e più volte) e ha portato ciascuno di noi ad essere “un altro Cristo” come si diceva una volta. Ma lo siamo anche oggi! Io sono, come Gesù, mediatore fra Dio e gli uomini. L’errore più funesto per un prete è di avere un mediocre concetto della sua dignità e missione, di considerarsi un funzionario, un impiegato a servizio della Chiesa, della parrocchia. Non è così. Non esiste al mondo altro personaggio più importante e indispensabile del sacerdote di Cristo. Il mondo non ci crede, ma la fede ci dice che è così. La nonna Anna era una santa donna che aveva allevato ed educato dieci figli e noi tre nipoti. Era semi-analfabeta (solo la prima elementare), ma con una saggezza evangelica che la rendeva gradita a tutti. La chiamavano quando c’era un ammalato o un morto per andare a pregare, a consolare, a dire una buona parola a tutti. Nell’estate 1949, morì poco dopo a 84 anni, ero seduto vicino a lei e pregavamo assieme. Mi chiede quanti anni mi mancano per diventare sacerdote. Quattro, le rispondo. Lei dice: “Io non ci sarò più, ma ricordati, Piero, che quel giorno tu sarai diventato più grande e più importante di De Gasperi e di Togliatti, di Truman e di Stalin, perché dirai le parole della consacrazione, chiamerai il Signore sull’altare e Lui verrà. Avrai Gesù nelle tue mani e potrai darlo a tutti. Non c’è nulla di più importante in questo mondo”. Quando celebro la S.Messa, chiedo sempre al Signore la grazia di avere la fede della nonna Anna e di commuovermi quando consacro l’ostia e il vino e mi nutro del Corpo e Sangue di Cristo.
Il prete poi dev’essere un uomo innamorato di Gesù Cristo, per dare al mondo l’immagine dell’unico Salvatore dell’uomo. Solo quando Gesù è l’unico amore della nostra vita, riusciamo ad amare tutto il prossimo, anche quelli che non ci vogliono bene; a comunicare in modo efficace la Parola di Dio e portare frutti di vita eterna. Come diceva San Paolo: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che fa crescere” (1 Cor. 3,6). Perché solo Dio conosce a fondo le anime e le attira a sé, le converte. Non basta che predichiamo Gesù Cristo, non basta che lo studiamo e preghiamo, dobbiamo amarlo con passione, metterlo sempre al primo posto nelle nostre scelte esistenziali. Innamorarsi di Cristo è un dono di Dio che dobbiamo chiedere ma anche prepararci a riceverlo con una vita trasparente totalmente orientata a Dio, alle realtà spirituali e soprannaturali, distaccandoci a poco a poco da tutti gli affetti e gli ostacoli terreni che impediscono la totale consacrazione a Cristo. Non ci riusciremo mai del tutto, è una via di purificazione che dura tutta la vita e che ci ringiovanisce ogni giorno.
Il prete è efficace nel suo ministero solo se segue il consiglio di Gesù: “Rimanete uniti a me e io rimarrò unito a voi” (Giov. 15, 4). Questo vale per tutti, cari sacerdoti, ma soprattutto per noi che siamo chiamati ad essere per la gente “un altro Cristo”. Del grande missionario mons. Aristide Pirovano, fondatore e vescovo di Macapà in Amazzonia, un suo confratello di missione mi ha detto: “Era tutto di Dio e tutto degli uomini”. Don Primo Mazzolari, la "tromba d'argento dello Spirito Santo nella pianura padana" come diceva Giovanni XXIII, ha scritto: "Se io non porto Cristo agli uomini sono un prete fallito. Posso fare molte cose buone nella vita, ma l'unica veramente indispensabile nella mia missione di prete è questa, comunicare il Salvatore agli uomini, che hanno fame e sete di Lui".
Ma per comunicare Cristo bisogna averlo nel cuore. Nel 1964 in India mi sono fermato tre giorni col padre Giorgio Bonazzoli a Benares, la città santa dell’induismo. Giorgio aveva studiato la lingua sacra dell’India, il sanscrito e lo insegnava nella “Hindu University”, traducendo anche i Purana (testi sacri indu) dal sanscrito all’hindi e all’inglese. Mandato dal Pime per iniziare il dialogo con i monaci indù, viveva con loro e come loro, nella piccola cella di un monastero in una povertà commovente. Dormiva su una plancia di legno sostenuta da due appoggi, sul duro legno coperto da una stuoia di paglia, con una coperta e un tarello di legno come cuscino. Mangiava vegetariano come i monaci indù, riso bollito condito con sale e peperoncino, verdure e qualche frutto locale. Insegnava all’università e seguiva la regola dei monaci, dialogando con loro. C’è rimasto per 25 anni. Allora in Benares (oggi Varanasi), la presenza cristiana era minima, padre Giorgio viveva proprio isolato nel mondo indù. Ho visto il suo isolamento in un mondo pagano, i pericoli che correva e gli ho detto: “Giorgio, ti ammiro perché tu fai una vita eroica, ma non dimenticarti che sei un prete di Gesù Cristo e devi testimoniarlo con la tua vita”. Mi ha portato nella sua cella e mi ha mostrato la cassetta di ferro con lo specchio davanti che c’è sopra il lavandino, dove in genere si mette il materiale per la barba. Giorgio apre lo sportello e dice: “Vedi, Piero, qui c’è Gesù! Quando sono stanco e tentato anche in modi che tu nemmeno immagini, vengo qui, apro il mio tabernacolo, mi inginocchio e prego. Gesù è sempre con me”. Ha detto queste parole con un accento così appassionato, che mi ha commosso e rassicurato. Il mio caro Giorgio, mi sono detto, a Gesù ci crede e lo ama davvero.