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EUGENETICA

Anche l’Emilia si accoda per l’eliminazione dei bimbi Down

La giunta Bonaccini lancia il Nipt, un nuovo test prenatale che in molti casi consente di individuare anomalie cromosomiche come le sindromi di Down, Edwards e Patau. L’Emilia Romagna «è la prima Regione in Italia ad introdurlo gratuitamente». Pagheranno i contribuenti, anche se contrari all’aborto. Prevista da gennaio, mese delle elezioni, una fase pilota nell’area di Bologna e poi l’estensione a tutta la regione. Il test favorirà la selezione eugenetica, come dimostrano i dati del Regno Unito. Dove in pochi anni, da quando è stato introdotto il Nipt, le nascite di bambini con sindrome di Down sono crollate di circa il 30%.

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Vita e bioetica 13_12_2019

Non ci sono solo i Paesi dell’America o dell’Europa del Nord: l’eugenetica fa passi da gigante anche in Italia. La conferma arriva dall’Emilia Romagna, che in un comunicato diffuso il 6 dicembre sul sito Internet della Regione si vanta dell’introduzione di nuovi test per la diagnosi prenatale. Si tratta del cosiddetto Nipt (Non invasive prenatal testing), che la giunta di centrosinistra guidata da Stefano Bonaccini presenta come «un test di screening innovativo, non invasivo (un semplice prelievo di sangue) e sicuro per donna e feto. Che consente di prevedere con un alto grado di attendibilità alcune alterazioni dei cromosomi, e cioè le trisomie 21 (sindrome di Down), 18 (sindrome di Edwards) e 13 (sindrome di Patau), già dalla decima settimana di gestazione».

Il comunicato afferma poi che il Nipt ha «una sensibilità e una specificità che arrivano all’incirca al 100% nell’individuazione del rischio di sindrome di Down e di trisomia 13, e poco inferiori nella trisomia 18». E prosegue trionfalmente spiegando che «è l’Emilia Romagna la prima Regione in Italia ad introdurlo gratuitamente per tutte le donne residenti in stato di gravidanza, indipendentemente dall’età e dalla presenza di fattori di rischio».

I nuovi test saranno disponibili su richiesta dal gennaio 2020, cioè proprio nel mese in cui gli elettori emiliano-romagnoli saranno chiamati a votare per il rinnovo del parlamento e della giunta regionali. La fase pilota del test sarà avviata nell’area metropolitana di Bologna, per una durata prevista di nove mesi, dopo i quali Bonaccini&Co annunciano che il test «sarà esteso gratuitamente a tutto il territorio» nelle strutture pubbliche. Un tasto, questo, su cui l’attuale presidente dell’Emilia Romagna insiste anche in una dichiarazione congiunta con l’assessore alla Salute, Sergio Venturi, spiegando che per questo ‘servizio’ ci sarà «addirittura l’azzeramento dei costi a carico dei cittadini». È davvero così? In realtà i costi ricadranno su tutti i cittadini della regione - in particolare sui contribuenti - compresi i molti che sono comprensibilmente contrari a simili test per la selezione eugenetica e, quindi, all’aborto. Figuriamoci a finanziarli di tasca propria e sentirsi dire dal proprio presidente che è tutto gratis.

Andiamo poi all’affermazione, che suona come un macabro paradosso, secondo cui il Nipt sarebbe «sicuro» per il feto. Secondo il comunicato della Regione, l’introduzione del Nipt diminuirà di circa il 50% il ricorso all’amniocentesi e alla villocentesi, tecniche invasive di diagnosi prenatale che comportano anche margini di rischio per la vita del bambino. Ammesso e non concesso che avvenga la diminuzione stimata, va detto che il Nipt è solo il primo gradino di una procedura che ha comunque all’orizzonte amniocentesi e villocentesi, quando si vuole la conferma diagnostica di una probabile anomalia cromosomica.

La premessa comune è sempre quella che l’aborto sia un diritto, perciò parlare di “sicurezza” per i bambini è un’offesa a quei piccoli che si sono visti e si vedranno togliere la vita nel grembo materno, nonché all’intelligenza di tutti. Inoltre, se il Nipt diventerà una routine ospedaliera, addirittura gratuita, la mentalità eugenetica troverà terreno fertile per diffondersi ancora di più. Perché, appunto, il Nipt ha il fine di individuare - con «una sensibilità» di circa il 100%, come afferma con entusiasmo la Regione Emilia Romagna - i bambini ritenuti difettosi e perciò da scartare, uccidere, attraverso l’aborto. Come dire che si celebra l’idea di poter fare a gara con Paesi come l’Islanda e il suo famigerato 100% virtuale di aborti di bambini con sindrome di Down.

Quel che è emerso proprio in questi giorni in un altro Paese europeo, il Regno Unito, dovrebbe essere di monito. Secondo i dati pubblicati dal Times e forniti da 26 trust ospedalieri britannici (circa un quinto di quelli che hanno reparti per la maternità) per il periodo 2013-2017, il numero dei bambini nati con sindrome di Down è diminuito di circa il 30% da quando è stato introdotto il Nipt: nel 2013 risultava una nascita ogni 956 (0,1%); ancora meno nel 2017, ossia una nascita ogni 1.368 (0,07%).

A ottenere i dati dagli ospedali del National Health Service è stata Colette Lloyd, mamma di Katie, una ragazza di 22 anni con la trisomia 21. La signora Lloyd, come riporta il Times, ha detto di avere difficoltà a spiegare a sua figlia il fine del Nipt e della diagnostica prenatale. «Come potrei dirle: “Abbiamo un test tale che le donne possano scegliere se vogliono tenere o no un bambino come te”?». Lynn Murray, un’altra madre che ha una figlia (oggi diciannovenne) con sindrome di Down, ha commentato i dati spiegando che sarebbe «totalmente immorale e discriminatorio» se il governo britannico continuasse a diffondere questi test in altri ospedali dell’NHS.

Il buonsenso racchiuso nelle parole di queste mamme stride evidentemente con la cultura di chi presenta questi test come uno straordinario avanzamento del progresso, non vedendo o non volendo vedere che si tratta di un imbarbarimento e disumanizzazione delle nostre società, un tempo cristiane. La suddetta cultura, purtroppo oggi dominante, parla in modo ossessivo di “diversità”, “non discriminazione”, “rispetto”, ma solo quando si tratta di promuovere azioni e leggi che vanno contro la famiglia, la maternità, la vita umana. È la stessa intellighenzia autoreferenziale che festeggia ritualmente la Giornata mondiale delle persone con sindrome di Down, chiedendone una volta all’anno la piena “inclusione” (se già nate), ma nel frattempo si adopera perché non ne nascano più.