Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
IL RAPPORTO

Anche in Europa, libertà di religione a rischio

Il nuovo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) rivela ciò che è già sotto gli occhi di tutti, lo si voglia vedere o meno: la libertà religiosa è sempre meno rispettata, in tutto il mondo, Europa compresa. Il cristianesimo è la religione più perseguitata in assoluto. Ma i media occidentali non comprendono il fenomeno, a causa di una cultura dominante che ignora la religione.

Libertà religiosa 05_11_2014
Velo islamico in Francia

Il nuovo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) rivela ciò che è già sotto gli occhi di tutti, lo si voglia vedere o meno: la libertà religiosa è sempre meno rispettata, in tutto il mondo, Europa compresa.

Acs, fondazione di diritto pontificio ha recensito 196 Paesi nel mondo, analizzando il singolo fattore del loro rispetto della libertà di culto negli ultimi 2 anni (2012-2014). “È ragionevole chiedersi se un’Opera caritativa cristiana possa parlare con obiettività delle sofferenze dei fedeli di ogni religione – premettono gli autori del rapporto - I lettori sono ovviamente liberi di giudicarne l’imparzialità, ma, per quanto ci riguarda, la nostra risposta è che un Rapporto sulle minoranze religiose da parte di un’Opera cristiana, non è soltanto possibile, ma necessario. Le organizzazioni religiose hanno il dovere di opporsi a gran voce, se un’altra comunità religiosa viene ingiustamente attaccata. Come sottolineano numerosi Documenti vaticani, in particolare l’Enciclica Dignitatis Humanae (1965), la libertà religiosa garantisce l’espressione della propria personalità a tutti i gruppi religiosi, a condizione che ciascuno rispetti i diritti inalienabili degli altri”.

Fatta questa doverosa premessa, non si può che constatare che i diritti inalienabili dei fedeli, a qualunque religione appartengano, sono rispettati solo in una minoranza di Paesi. Ma soprattutto, anche in nazioni finora libere la tolleranza e la libertà di religione sono in declino. Su 196 Paesi, in 55 si rileva un peggioramento della situazione, mentre solo in 6 (Cuba, Iran, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Taiwan e Zimbabwe) la situazione migliora. In 81 è rilevato un grado di repressione elevato o medio. Fra questi ultimi, i peggiori sono 14 regimi islamici o repubbliche in cui gruppi islamici armati conducono illegalmente persecuzioni ai danni delle altre religioni. Fra i primi rientrano Arabia Saudita, Iran, Maldive, Pakistan, Sudan e Yemen. Fra i secondi figurano Afghanistan (Talebani), Egitto (salafiti), Iraq (Isis), Libia (Ansar al Shariah), Nigeria (Boko Haram), Repubblica Centrafricana (Seleka), Siria (Isis e Al Nusrah), Somalia (Shebaab). Di questi 14 luoghi di persecuzione islamica, solo l’Iran registra un parziale miglioramento: i musulmani sunniti hanno ricevuto l’autorizzazione a costruire loro moschee a Teheran. In tutti gli altri casi, invece, la persecuzione si intensifica o resta costante.

Non solo l’islam è fra i persecutori. Fra i peggiori regimi repressivi troviamo infatti anche Paesi a maggioranza musulmana, ma relativamente laici, dove la persecuzione non è motivata dall’imposizione dell’islam, ma dalla conservazione del potere da parte della classe dirigente. Fra questi figurano l’Azerbaigian, l’Uzbekistan e l’Eritrea. I musulmani sono invece prevalentemente le vittime della repressione nel Myanmar, regime in transizione verso la democrazia, ma ancora, di fatto, controllato dai militari. Poi c’è la Cina, il cui controllo dei culti “patriottici” porta alla repressione di tutte le religioni non autorizzate, compresa la Chiesa cattolica “sotterranea”, quella non addomesticata da Pechino. E infine, lo Stato più repressivo in assoluto, la Corea del Nord, dove ogni manifestazione di fede è vietata, salvo l’obbligo del culto della personalità del giovane dittatore Kim Jong-un, di suo padre Kim Jong-il e di suo nonno Kim Il sung, venerati come una dinastia divina.

Se fin qui abbiamo visto il peggio del peggio, dove la persecuzione fa notizia, non ci aspetteremmo di trovare anche civilissimi Paesi europei occidentali nella fascia rossa o gialla della classifica, rispettivamente “medio” livello di persecuzione o situazione “preoccupante”. Fra i primi spicca la Grecia, che registra un elevatissimo tasso di antisemitismo e di intolleranza nei confronti delle minoranze religiose non ortodosse. In fascia rossa, troviamo anche Cipro, membro dell’Ue, divisa com’è dalla Linea Attila: a Nord di essa, i cristiani subiscono abusi dal governo filo-turco, fin da quando quella parte di isola è stata occupata militarmente dalla Turchia quarant’anni fa. Ancor più sconcertante è trovare fior di democrazie occidentali nella fascia gialla, quella “preoccupante”: Canada, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Olanda, Regno Unito e Svezia.

La loro presenza in questa parte della classifica non dovrebbe stupire il lettore de La Nuova Bussola Quotidiana, comunque, perché dei loro casi ci siamo occupati tante volte. Il motivo del loro declassamento (tutti, senza eccezione, sono considerati “in peggioramento”) è duplice. Da un lato, il massiccio ingresso di immigrati di religione islamica e la radicalizzazione dell’islam politico si fanno sentire anche in questi Paesi, soprattutto (come nel caso della Francia) con un violento antisemitismo di importazione e la nascita di aree in cui, di fatto, viene applicata la sharia. Dall’altro, in questi stessi Paesi, una cultura laicista sta emarginando la maggioranza cristiana a un ambito sempre più ristretto. “Benché l’opinione pubblica ritenga che i credenti debbano essere liberi di praticare la propria fede in privato – analizza il rapporto Acs - vi è un decisamente minore consenso in merito alla libertà di manifestare la fede all’interno dello spazio pubblico. Ciò significa che i diritti di alcuni gruppi vengono sempre più schiacciati dai diritti di altri gruppi. In ragione di questa “gerarchia dei diritti”, ogni qualvolta i diritti all’eguaglianza di genere o degli omosessuali contrastano con i diritti di coscienza dei credenti, solitamente i primi prevalgono. Nel Regno Unito, ad esempio, le agenzie di adozione cattoliche che si rifiutano di affidare bambini a coppie omosessuali, sono state costrette a modificare le loro norme o a chiudere. Numerosi esempi di questa tendenza si riscontrano in tutta l’Europa occidentale”. E anche negli Stati Uniti che, pur restando uno dei Paesi più liberi del mondo, anche dal punto di vista religioso, con l’amministrazione Obama stanno vivendo un loro periodo buio, fatto di piccole e grandi discriminazioni soprattutto ai danni delle chiese cristiane, sia cattolica che protestanti.

Il rapporto si conclude con la ben poco incoraggiante constatazione che solo i gruppi religiosi potranno difendere loro stessi dalle persecuzioni altrui. I cristiani sono e restano la religione più perseguitata del mondo: quella che subisce il maggior numero di vittime nel maggior numero di Paesi. Dalle istituzioni internazionali e dai governi secolari occidentali ci si deve aspettare sempre meno. “Secondo l’interpretazione fornita dai media laici, credenti e comunità religiose sarebbero quindi un problema da affrontare, se non addirittura da arginare, anziché dei portatori di tradizioni da incoraggiare e sostenere. In Occidente, si sta imponendo un punto di vista per il quale la religione non esalterebbe il meglio dell’umanità, ma ne accentuerebbe le caratteristiche peggiori”.

Chi troverà la forza necessaria a salvare i cristiani dalla persecuzione? E’ incoraggiante e di grande esempio leggere la testimonianza di Paul Jacob Bhatti, che introduce il rapporto. Fratello di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze assassinato in Pakistan da un estremista islamico, Paul Jacob Bhatti ha rinunciato a una vita sicura nel nostro Paese per continuare la battaglia del fratello. “Dopo aver iniziato a esercitare in Italia la mia professione di medico – dice Paul Jacob Bhatti - non avrei mai creduto che un giorno avrei potuto lavorare nuovamente in Pakistan, perché ciò avrebbe significato rinunciare alla libertà personale e professionale di cui godevo. Un mese prima della sua morte, io e Shahbaz avevamo avuto una significativa conversazione durante la quale lui stesso mi avevo chiesto di tornare a lavorare nel nostro Paese. Inizialmente, ho pensato stesse scherzando e ho detto: «Mi stai chiedendo di rinunciare al paradiso per l’inferno». Lui, senza riflettere neanche un istante, aveva risposto: «La via del paradiso passa per il Pakistan». Era profondamente e fermamente convinto che il non lasciarsi coinvolgere, fosse un’opzione da non prendere neanche in considerazione e che, in quanto appartenenti a una stessa famiglia umana, abbiamo il dovere di lottare per chi è troppo debole per parlare e difendersi da solo”.