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LABURISTI

Anche il Regno Unito sceglie il suo Tsipras

Accoglienza degli immigrati, pacifismo, dialogo con l’islam radicale, ecologismo e nuovi diritti. E tanto vecchio statalismo. Non manca nulla nel programma di Jeremy Corbyn, il nuovo leader eletto del Labour Party britannico, l’uomo che ha già sepolto l'eredità di Tony Blair e sfiderà il premier Cameron nel 2020.

Esteri 13_09_2015
Jeremy Corbyn

Accoglienza degli immigrati, pacifismo, dialogo con l’islam, ecologismo e nuovi diritti. E tanto vecchio statalismo. Non manca nulla nel programma di Jeremy Corbyn, il nuovo leader eletto del Labour Party britannico, l’uomo che ha già sepolto l'eredità di Tony Blair e sfiderà il premier Cameron nel 2020. Salvo imprevisti.

Appena nominato ha subito sfidato il governo conservatore sull’immigrazione. Nonostante il recente cambio di rotta del premier, a favore di una maggior accoglienza dei profughi, Corbyn ritiene che la porta aperta debba essere eretta a ideologia. “In tutto il mondo, la gente cerca di fuggire dall’oppressione e dalla violenza. Spesso sono vittime di guerre condotte nel nome dell’avventurismo militarista dell’Occidente e della lotta per l’accaparramento delle risorse naturali. E’ naturale che, in queste circostanze, la gente soffra. E’ evidente che molti di loro (degli emigranti, ndr) vengano dall’Afghanistan, che noi abbiamo occupato negli ultimi 14 anni”. Se, dunque, tutte o quasi le colpe sono dell’Occidente, Corbyn intende la porta aperta all’immigrazione come una sorta di risarcimento morale, che noi dobbiamo alle nostre vittime. Questa visione del mondo tralascia diversi dettagli, che dettagli non sono, quali la natura oppressiva dei governi locali e il sorgere di movimenti islamici molto violenti, fra cui l’Isis.

L’atteggiamento del nuovo leader laburista nei confronti di questi gruppi jihadisti è alquanto ambiguo. Solo per citare le ultime due polemiche che lo hanno coinvolto, in un’intervista ha negato di aver mai conosciuto, nel 2009, l'attivista libanese Dyab Abou Jahjah, l’uomo che nel 2004, intervistato da un quotidiano belga, disse: “Considero una vittoria la morte di ogni soldato americano, britannico, olandese”. In realtà, Corbyn e Abou Jahjah si sono incontrati, come testimonia una foto che li ritrae assieme nella stessa conferenza e come dichiara lo stesso suo interlocutore: “Abbiamo organizzato assieme un dibattito nel Parlamento britannico, in cui siamo intervenuti io, Corbyn e un parlamentare di Hezbollah”. Oltre al movimento armato sciita libanese, Corbyn è anche sotto accusa per i suoi contatti con Hamas, il partito islamista palestinese che governa Gaza col pugno di ferro e lancia i razzi contro Israele quasi ogni settimana. D’altra parte, Corbyn stesso, da parlamentare, ha nel suo curriculum una serie sterminata di interventi contro Israele e a favore di una Palestina indipendente (e probabilmente anche sotto un governo islamico gli andrebbe bene). La sua campagna pro-Palestina è comune a tanti altri partiti di sinistra europei, ma è opposta rispetto alla politica sin qui seguita da Tony Blair (membro del Quartetto sul Medio Oriente) e dai suoi successori. Anche per quanto riguarda l’Isis, che Blair considera la peggior minaccia all’Occidente, Corbyn ha una posizione molto più ambigua. Durante la sua campagna per la guida del Partito Laburista, ha dovuto rettificare e far distinguo in un’intervista in cui metteva sullo stesso piano le violenze dell’Isis con quelle degli americani in Iraq.

Corbyn e Dyab Abou Jahjah

Queste ambiguità si spiegano solo all’interno di una dogmatica ideologia anti-colonialista, che è alla base del pensiero del nuovo leader laburista. L’Impero è morto da mezzo secolo, ormai, ma in cima al suo programma si legge ancora: “Ho sempre lottato contro le guerre neocoloniali che sono combattute per l’accaparramento delle risorse naturali dietro il pretesto di proteggere i diritti umani. Noi dobbiamo capire il nostro passato e il nostro ruolo nei conflitti di oggi, dal Trattato Sykes-Picot (la spartizione coloniale del Medio Oriente del 1916, ndr) ai nostri interventi nel Medio Oriente dopo l’11 settembre”. La vastissima comunità islamica britannica spera in Corbyn, anche perché, come si legge nel sito online Five Pillars: “I musulmani devono sperare che Corbyn porti al governo il suo modo di fare politica anti-terrorismo. Uno che lavori assieme a, e rappresenti le vere aspirazioni di, tutti i musulmani del Regno Unito. Una politica che si basi su un solido impianto di ricerca (…) che prova come la religione non sia il principale fattore di radicalizzazione”. Perché, come ovvio in una visione neo-marxista, tutti i problemi sono sempre e solo una questione di interessi economici.

E a proposito di economia, Corbyn, che ha applaudito subito la vittoria di Alexis Tsipras in Grecia, vuole combattere l’austerity. Respinge il welfare to work di Cameron, affermando che si tratta di un sistema che “costringe a lavorare anche sotto il salario minimo”. Stare a casa e percepire sussidi di Stato, come avveniva prima della riforma del welfare, per il nuovo leader è evidentemente preferibile. Non solo vuol invertire la rotta impostata dal governo Cameron, ma vuole smantellare le riforme di Margaret Thatcher (1979-1990): nazionalizzare le banche, nazionalizzare le ferrovie e i servizi pubblici, più soldi pubblici alla scuola (che dovrebbe essere gratis per tutti gli studenti e con più insegnanti assunti), più soldi pubblici al servizio sanitario nazionale. Dove prenderli? Più tasse, “ai ricchi”. Si tratta di un tuffo nel passato di 40 anni fa, che rinnega tutto lo sforzo compiuto da Tony Blair e dai suoi successori per portare il Laburismo fuori dalla secche del vecchio sindacalismo e portarlo su posizioni più centriste, da “terza via”. Le nazionalizzazioni, soprattutto quelle dei trasporti pubblici, sono intese da Corbyn anche come un metodo per imporre una politica ecologista, altrimenti difficilmente implementabile. “Trasporti puliti possono incoraggiare la gente a lasciare l’auto a casa”, una politica che intende affrontare assieme a: “incrementare le quote di riciclo dei rifiuti, tagliare le emissioni di Co2 e rendere l’aria più pulita”.

Immancabile il riferimento ai nuovi diritti, anche se il Partito Conservatore di Cameron gli ha scippato il matrimonio gay, su cui Corbyn si era battuto da tempi non sospetti. Ora, però, intende andare avanti, “esportandolo”: “Porrò come condizione alle delegazioni britanniche presso il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu – dichiara a Pink News – che, nel corso di ogni rivista periodica sui diritti umani, in ogni paese del mondo, dobbiamo chiedere quali siano le condizioni dei diritti Lgbt, sondare il livello di discriminazione, ogni azione violenta che sia stata commessa”. Nel caso vada al governo, prevede di proporre sanzioni economiche per i paesi che dovessero risultare negativi a questo scrutinio. Anche nei curriculum scolastici (in una scuola che per lui deve essere rigorosamente pubblica), chiede che sia “introdotta urgentemente, l’educazione sessuale e delle relazioni”, come scriveva in un’interrogazione parlamentare del 15 agosto 2013.

Perché, con un programma elettorale di questo genere, Jeremy Corbyn ha vinto? Le conclusioni tratte dagli analisti britannici sono le più disparate. Tutte concordano su un punto: è stato votato soprattutto dai giovani. Proprio lui, con la sua barba bianca, dall’alto dei suoi 66 anni (ne avrà 70 alle prossime elezioni), con un’esperienza da vecchio sindacalista, attira studenti e giovani intellettualizzati, cresciuti a film di Ken Loach e libri di Naomi Klein e Toni Negri, del neo-marxista Picketty e del decrescitista Latouche.

E’ la versione britannica di Tsipras e Varoufakis, di tutti coloro che non hanno mai abbandonato il marxismo, anche perché non vi hanno mai aderito fino in fondo, non hanno mai tradito i loro vecchi slogan socialisti, ma pensano di aggiungerne di nuovi, sull’islam, sull’ambiente e sul gender, sempre basandosi sulla stessa vecchia logica della lotta di classe. La classe degli oppressi, dal loro punto di vista, non è più solo proletariato, ma anche l’insieme dei popoli islamici, degli immigrati, dei popoli in via di sviluppo, è l’ambiente “sfruttato” dall’uomo e il gay “discriminato” dalla religione. I nemici, però, sono sempre gli stessi: borghesia e capitalismo. La religione, in questa visione del mondo, è solo “sovrastruttura”: se cristiana è presa a pretesto dalla borghesia per opprimere gay e minoranze religiose, se musulmana è presa a pretesto dai cristiani per condannare tutto un popolo di terrorismo. In ogni caso: da questo punto di vista, la religione che costituisce il vero problema è solo quella cristiana. E in caso di vittoria di Corbyn, nel 2020, la libertà per le confessioni inglesi farà un grande passo indietro.

Non ci si deve illudere: è stato votato per quel preciso motivo. Nonostante la conversione al cattolicesimo di Tony Blair, l’anti-Blair che ora guida il suo partito è un “credente nella religione del socialismo” (come scrive un lettore del Telegraph in una lettera al quotidiano), un credente praticante in cui la sua base si identifica, senza scendere a compromessi.