Anche il Maine esclude Trump: protegge gli elettori dalla democrazia
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Anche nel Maine, lo Stato americano dell’estremo Nord, al confine con il Canada, Trump non potrà candidarsi nelle prossime elezioni. Negli Usa c'è un problema di democrazia.
Anche nel Maine, lo Stato americano dell’estremo Nord, al confine con il Canada, Trump non potrà candidarsi nelle prossime elezioni. A deciderlo è stata, stavolta, non la magistratura, ma la segretaria di Stato, Shenna Bellows, massima autorità elettorale locale. Dopo il Colorado, dunque, un altro Stato decide di “proteggere gli elettori dalla democrazia”, come scrive con sagacia la giornalista Nellie Bowles, di The Free Press. Ebbene sì, gli Usa hanno un problema di democrazia.
Se almeno, nel Colorado, la decisione di escludere un candidato dalle elezioni è stata presa dalla magistratura, al terzo grado di giudizio, nel Maine, una singola donna, una politica democratica, ex direttrice locale dell’American Civil Liberties Union, con un tratto di penna ha deciso di escludere il più potente fra i rivali repubblicani, quello che i sondaggi continuano a dar vincente sicuro nelle elezioni primarie repubblicane e in testa a Biden in un’eventuale competizione per la presidenza.
Lo può fare? Shenna Bellows, come la Corte Suprema del Colorado prima di lei, invoca il 14mo Emendamento della Costituzione, che vieta la candidatura per le cariche pubbliche di chi è colpevole di insurrezione, una legge che risale al 1866, all’indomani della Guerra Civile. La segretaria di Stato del Maine ritiene dunque che la Costituzione impedisca di qualificare Trump per le elezioni presidenziali. Nella sua decisione scritta, la Bellows ha affermato che Trump «ha usato una falsa narrativa di frode elettorale per infiammare i suoi sostenitori» per «impedire un trasferimento pacifico del potere». Lo ha accusato di aver usato una «retorica incendiaria» e di non aver agito tempestivamente per fermare l'assalto al Campidoglio.
Queste sono accuse gravi. Ma manca una condanna per insurrezione. Trump affronterà quattro processi nel corso dell’anno che verrà, due dei quali riguardano le elezioni del 2020. Ma per ora non è neppure condannato in primo grado. Anche un deputato democratico del Maine, Jared Golden, che pure aveva votato a favore dell’impeachment di Trump, ha reagito affermando: «Fino a quando non sarà effettivamente riconosciuto colpevole del reato di insurrezione, [Trump, ndr] dovrebbe essere ammesso alle urne». Sono ovviamente della stessa idea anche gli avvocati dell’ex presidente, i quali hanno annunciato un ricorso immediato contro la decisione del Maine. E sono anche convinti che la segreteria di Stato non avesse neppure il potere di escludere un candidato, per lo meno non in queste circostanze.
Al di là di Colorado e Maine, gli altri Stati non sembrano seguire l’esempio. Nello stesso giorno (giovedì 28 dicembre) in cui veniva presa questa grave decisione, la California ammetteva Trump nella competizione elettorale del 2024, nonostante le forti pressioni politiche sulla segreteria di Stato. E anche nel Michigan, la Corte Suprema locale respingeva il ricorso di un gruppo organizzato di elettori che chiedeva l’esclusione dell’ex presidente.
Il problema, però, resta. Ed è incredibile il silenzio che lo circonda. Se si pensa a un’anomalia del processo democratico statunitense, la risposta è quasi automatica: Trump. E il pensiero va all’assalto del Campidoglio del 6 gennaio 2021, sempre invocato come prova della sua aspirazione alla tirannia. Eppure quegli eventi non sono ascrivibili a Trump. A parte il processo alle intenzioni tenutosi presso il Congresso l’anno scorso, senza alcuna conseguenza legale, non c’è alcuna condanna per l’ex presidente e attuale candidato. Non solo: nemmeno la Commissione del 6 gennaio del Congresso, voluta da Nancy Pelosi, è riuscita a dimostrare un legame diretto fra Trump e gli assalitori del Campidoglio. Per non parlare della vaghezza del termine “insurrezione”. Non è ancora stato dimostrato che chi aderì a quella caotica protesta post-elettorale agisse secondo un piano per rovesciare il potere.
Facciamo un esperimento: dimentichiamoci che il candidato in questione sia Trump. È normale che un cittadino americano, che ha tutte le carte in regola (cittadinanza, nascita sul territorio, ecc...) non possa candidarsi, pur non avendo subito alcuna condanna? Neppure definitiva, ma nemmeno di primo grado? Se un personaggio è semplicemente “indegno” di essere candidato, la decisione di escluderlo dovrebbe semmai spettare al suo partito, come avviene in tutti i sistemi democratici. Se è lo Stato a prendere questa decisione, allora abbiamo un serio problema di democrazia. Vuol dire che ogni personaggio, ritenuto troppo fuori dal coro, sia escluso a priori dalla competizione. Un sistema simile funziona solo in Iran. Ma quella è una Repubblica islamica e le sue istituzioni obbediscono a leggi religiose.