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LA LETTERA

Anche i sessantottini riscoprono il valore dell'educazione

Anche i sessantottini scoprono il valore dell'educazione, con mezzo secolo di ritardo. Lo si deduce dall'ultimo articolo di Isabella Bossi Fedrigotti sul Corriere della Sera. Ma la critica resta superficiale, si ferma alle buone maniere e non affronta la confusione e l'incertezza a cui sono soggetti diseducati dai loro genitori.

Educazione 25_01_2017
Isabella Bossi Fedrigotti

Caro direttore,

persino il “liquido” Corriere della Sera si è accorto della importanza del problema educativo nella situazione attuale. Nel numero del 24 gennaio, con un richiamo in prima pagina, quel giornale ha pubblicato un articolo di Isabella Bossi Fedrigotti intitolato “Genitori e figli devono riscoprire il valore prezioso dell’educazione”. Finalmente, anche se tardivamente, visto che dal 68 ad oggi son passati ben 49 anni di assoluto vuoto educativo. L’articolista ci offre alcune osservazioni positive, come quando scrive che i genitori che desiderano prendere sul serio l’impresa educativa sono costretti ad “esercitarla in quasi perfetta solitudine, ‘contro’ il vigente magistero generale che promuove un felice e vincente liberi tutti” oppure come quando afferma che “i ragazzi all’educazione hanno sacrosanto diritto”. I ragazzi, infatti, “hanno bisogno di limiti, di regole, di divieti come fossero steccati che segnano il loro cammino, ai quali potersi appoggiare”.

La Fedrigotti ha il merito di avere aperto il problema e di avere sviluppato qualche accenno alla direzione da percorrere per “riscoprire” il valore dell’educazione. Occorre, però, aggiungere che ella non riesce a superare la superficie del problema, il che non può avvenire se non si ha il coraggio di superare i limiti del pensiero (unico) politicamente corretto, che influenza anche l’attuale insulso buonismo. E la Fedrigotti non supera questo limite, tanto è vero che il Corriere ha pubblicato il suo articolo nell’ambito di un paginone interamente dedicato ad un “drammatico” interrogativo: “perché diciamo tante parolacce?”. Il che fa sorgere il dubbio che quando si parla di educazione, la cultura liquida diffusa dal giornale di via Solferino si riferisca esclusivamente alle buone maniere che dovrebbero essere trasferite ai giovani. Si confonde, cioè, l’educazione con il galateo, mentre l’educazione è una cosa ben più seria, impegnativa e drammatica.

Questa confusione viene messa in risalto dagli esperti quando accade qualche fatto drammatico e particolarmente violento. Allora si dice che il giovane violento si spinellava. Ma nell’intervallo tra un fatto drammatico e l’altro, nessun esperto, nessun giornale, nessun maestro del pensiero ha mai esortato i giovani a non spinellarsi, forse perché tanti di questi adulti si sono a suo tempo spinellati e, quindi, non ritengono così grave quella pratica. Di fronte ad un giovane violento, spesso si sottolinea che egli frequentava le discoteche fino all’alba del giorno successivo, ma nessuno, nel frattempo, ha detto a quel giovane le ragioni della irragionevolezza del suo comportamento. In altre parole, la vera responsabilità della attuale diseducazione è in capo agli adulti, soprattutto a quelli che hanno responsabilità culturali, i quali tutto permettono, senza avere il coraggio di valutare il valore di una azione.

Quando succede un fatto drammatico, sono tutti pronti a chiaccherare a pagamento sulla deriva negativa dei nostri tempi, ma pochissimi sono pronti a trarre le conseguenze di quello che dicono, probabilmente perché gli adulti per primi sono diventati nichilisti e quindi irresponsabili. Gli stessi che si permettono di giudicare sono quelli pronti a denunciare chi da’ un lieve scapaccione al proprio figlio per insegnargli ad essere più se stesso, sono quelli che lottano per fare in modo che la cultura gender entri nella scuola (il che creerà ulteriore incertezza e confusione nei giovani), sono quelli contrari ad ogni educazione religiosa, sono quelli che accusano di integralismo chiunque voglia segnalare una strada certa ai propri figli e nipoti, son quelli che inneggiano a cattivi maestri come Vasco Rossi, che canta, nell’indifferenza generale degli adulti, che nulla ha senso nella vita. Tolto il senso alla vita, allora si toglie ogni giustificazione ad una educazione che non si limiti a salvare una “etichetta”.

Caro direttore mi piacerebbe che Isabella Bossi Fedrigotti superasse il limite al quale si è fermata. Ma ciò lo dovrebbe fare anche ogni famiglia e ogni scuola. Lo dovrebbe fare anche la Chiesa, che mi sembra diventata troppo timida di fronte al suo compito principale, che è proprio quello di educare. Penso che i pastori delle nostre Chiese sappiano bene il disastro che sarebbe costituito da una educazione gender. Ma allora, perché stanno zitti (quasi tutti)?