Americhe, un Papa contro l'ateismo dilagante
Papa Francesco continua a stupire tutti. Per cogliere fino in fondo la novità di un Pontefice che viene dall'altra parte dell'Oceano forse però servono gli occhi del “nuovo Mondo”. Ne parla Greg Erlandson, presidente di Our Sunday Visitor e dell'Associazione della stampa cattolica degli Usa e del Canada.
«Sono venuti a prendermi quasi alla fine del mondo». Con queste parole Papa Francesco si era presentato ai fedeli accorsi in piazza san Pietro dopo la fumata bianca. Un’immagine forte che ha sintetizzato una svolta, tra le tante introdotte da quest’ultimo Conclave.
Il nuovo Pontefice, oltre a essere il primo gesuita della storia a salire al Soglio di Pietro, non è più un europeo, viene infatti dall’altra parte dell’Oceano ed è lontano anni luce dagli affari di curia e da quella burocrazia vaticana di cui si parla da mesi come di un problema da risolvere. Per cogliere fino in fondo questa novità forse però servono gli occhi del “nuovo Mondo”. Greg Erlandson, presidente di Our Sunday Visitor, sorta di “Edizioni Paoline” nel cuore degli Stati Uniti (come potenza di fuoco più che come linea editoriale) e presidente dell’Associazione della stampa cattolica degli Usa e del Canada è un consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali del Vaticano. In queste settimana ha seguito da Roma le ultime tappe del pontificato di Benedetto XVI e il Conclave. «Credo che l’elezione del Cardinal Bergoglio rappresenti una novità davvero significativa per la Chiesa latinoamericana e per quella universale – spiega alla Nuova Bussola Quotidiana –. Tra Nord e Sud America i cattolici oggi sono 568 milioni (un miliardo e 200 milioni nel mondo). E la Chiesa negli ultimi tempi si è accorta di dover rispondere alle stesse sfide in tutto il Continente: consumismo, materialismo, ateismo, piaghe di società ferite da droga, corruzione, prostituzione. Papa Francesco, come arcivescovo di Buenos Aires ha guidato una diocesi di oltre 2 milioni e 500 mila cattolici, segnata dalla povertà e dalla diseguaglianza. Se Benedetto XVI era la mente raffinata della Chiesa Cattolica Francesco potrà esserne le braccia e il cuore pulsante, nel segno della continuità».
Un Papa latinoamericano è un segnale importante anche per gli Stati Uniti, paese in cui la fede cattolica trova nuova linfa proprio nei latinos?
Non c’è dubbio. Tenga conto che a Los Angeles, ad esempio, il 50% degli abitanti sono ispanici e che nei prossimi dieci anni in Usa il 70% dei bambini sarà di origine latinoamericana.
Per i latinos è stata sicuramente una grande gioia, anche se in Usa non si può parlare di una comunità latinoamericana in senso stretto perché è divisa in gruppi molto diversi (messicani, colombiani, argentini, brasiliani, cubani…).
Anche l’elezione del Cardinale O’Malley poteva essere un segnale importante in questo senso?Direi di sì, anche se in Usa è raro che un vescovo sia conosciuto, date le dimensioni, da tutta la Chiesa statunitense.
Il cappuccino O’Malley, già missionario in Cile, è molto influente a Boston e in Florida. Ma per la comunità latinoamericana in Usa forse è più famoso il vescovo di Los Angeles José Gomez, americano di origini messicane, che ha preso il posto di Mahony. Credo che il più conosciuto in assoluto sia Dolan (New York), ma, anche se è sensibile nei riguardi di questo mondo, non parla lo spagnolo. Direi che l’elezione del cardinale argentino sembra proprio quella giusta per la Chiesa nelle due Americhe. Gli stessi cardinali statunitensi mi sembrano soddisfatti, anche se di certo tra loro non mancavano gli ammiratori del Card. Angelo Scola.
La fede al di là dell’Oceano deve continuare a fare i conti con l’avanzata del protestantesimo, nelle sue varie forme?
In America Latina è un problema. Se luterani e anglicani sono in calo, gli evangelici e i fondamentalisti sono in grande crescita. Spesso questo dipende dalle basi poco solide con cui le persone si formano al cattolicesimo e anche dal connubio umanitarismo-proselitismo protestante. È vero anche che i finanziatori spesso sono negli Usa, Paese protestante fin dalla sua nascita.
Queste cose però accadono da trent’anni. A mio avviso, il vero pericolo del nostro tempo è l’avanzata dell’agnosticismo e dell’ateismo. Sono sempre di più le persone che nei sondaggi, alla domanda sul proprio credo rispondono: “no religion”.
Sono questi, secondo lei, i problemi principali che si troverà ad affrontare Papa Francesco nel “nuovo mondo”?
Le sue prime parole indicano una linea precisa che può andare alla radice di ogni problema: senza l’incontro con Cristo la Chiesa diventa una Ong pietosa. L’evangelizzazione non può essere l’applicazione di un programma, ma una conversione continua. Se questo non avviene il Vaticano diventa burocrazia e politica e perde così vitalità.
To walk, to build, to profess (“camminare, edificare, confessare” aveva detto il Papa nella sua prima omelia nella Cappella Sistina ndr) è una sfida per tutti.
E riguardo ai problemi interni al Vaticano che sono esplosi negli ultimi mesi?
Il forte richiamo alla povertà del Santo Padre fa presagire grandi cambiamenti. Poi c’è il tema della comunicazione e di tutto ciò che ne deriva.
Vede, nella Santa Sede la qualità delle persone che lavorano in questo campo è molto alta, a cominciare da Padre Lombardi. I problemi, a mio avviso, derivano dalla scarsa dinamicità della struttura. Per cui se appena sotto il Papa tutte le informazioni si fermano, puoi avere anche i migliori professionisti, ma non ti servono a nulla. E questo vale anche per le informazioni che devono poter arrivare al Pontefice da parte di tutta la Chiesa, senza che si creino dei filtri invalicabili.
Dal punto di vista della comunicazione i cardinali americani sono stati una vera e propria scossa nel pre-conclave. Dichiarazioni, conferenze stampa autonome, l’arrivo alle congregazioni con un furgoncino come se si trattasse di un vero e proprio team di pallacanestro.
È vero. Forse il richiamo del Vaticano per tutto questo baccano è stato un po’ uno schiaffo, ma credo che fosse motivato. Il fatto che solo un gruppo si muovesse in questo modo alla lunga avrebbe creato divisioni. C’è però una lezione che la Santa Sede può fare sua.
Quale?
Transparency and accountability. Prima del Conclave, ispirati proprio dall’esempio dei vescovi Usa, portare tre porporati alla volta in conferenza stampa poteva essere un’idea innovativa. A mio avviso, sarebbe stato positivo perché da un lato la Chiesa si sarebbe aperta al mondo, usando anche l’esperienza del Conclave come strumento di evangelizzazione, dall’altro non avrebbe creato gelosie e divisioni.
Al di là di questa proposta è l’atteggiamento che conta, anche riguardo agli scandali sessuali. Parlando con alcuni giornalisti italiani mi sembra che non tutti si rendano conto di quanto devastanti possano essere. Laddove qualcuno ha cercato di coprire e insabbiare i problemi sono appena iniziati, ma dove la Chiesa è stata coraggiosa e trasparente, capace di parlare con le vittime, di investigare, punire e chiedere perdono, le ferite si stanno rimarginando.
Anche su questo i primi passi di Papa Francesco fanno ben sperare…