Amazzonia "record di incendi"? Di certo c'è solo il linciaggio di Bolsonaro
Tempo d’estate, tempo di catastrofi. Anche se in Brasile è inverno il disastro più discusso dai media, in questo agosto 2019, è l’incendio dell’Amazzonia. Secondo la narrazione più diffusa, si tratta di un disastro doloso e l’incendiario ha un nome e un cognome: Jair Bolsonaro, il presidente brasiliano conservatore. Oggi la questione verrà discussa al vertice del G7 di Biarritz (in assenza del Brasile) e si prevedono misure punitive. Ma mentre la reale entità, causa e gravità degli incendi è ancora tutta da determinare, l'atteggiamento di condanna nei confronti di Bolsonaro è certo e severissimo. Si tratta di un caso politico, molto più che di un disastro ecologico. L'idea di fondo è sempre quella: internazionalizzare l'Amazzonia, sottraendola al Brasile.
EDUCAZIONE BRASILIANA di Andrea Cionci
Tempo d’estate, tempo di catastrofi. In Brasile, nell'emisfero Sud, questi sono i mesi dell'inverno, la stagione secca, e il disastro più discusso dai media, nell'agosto 2019, è l’incendio dell’Amazzonia. Secondo la narrazione più diffusa, si tratta di un disastro doloso e l’incendiario ha un nome e un cognome: Jair Bolsonaro. Niente meno che il presidente del Brasile. Oggi la questione verrà discussa al vertice del G7 di Biarritz e il presidente Macron annunciava già da ieri misure severe contro il Brasile.
Bolsonaro viene paragonato a un novello Nerone dal Corriere della Sera (Bolsonerone, è il titolo del Caffè di Gramellini di ieri) e gli animi contro il presidente conservatore si stanno scaldando, incendiando, al punto che un eurodeputato del Pd ha condiviso un meme sulla sua pagina Facebook che ritrae Bolsonaro e la didascalia eloquente è “Burn fascists, not forests” (bruciate i fascisti, non le foreste, ndr). E' lo stesso slogan che si è visto e udito in tutte le manifestazioni ecologiste contro il presidente brasiliano. Odio ingiustificabile, come sempre, ma almeno motivato da fatti reali? Il problema degli incendi dell’Amazzonia non è nuovo. Non è chiaro se quest’anno sia realmente peggio del solito. E soprattutto non è per nulla dimostrata la responsabilità, diretta o indiretta, di Bolsonaro.
Innanzitutto, il fatto principale è dubbio: è quantomeno discutibile parlare di “record di incendi nell’Amazzonia”. La Nasa ritiene che l’attività degli incendi in Amazzonia sia leggermente inferiore alla media, quest’anno, come si può leggere anche in due righe nascoste in questo articolo della BBC. L’agenzia spaziale statunitense rileva un aumento (rispetto alle medie annuali) degli incendi negli Stati di Amazonas e Rondonia, ma una diminuzione in quelli del Mato Grosso e di Parà.
L’istituto nazionale brasiliano, l’Inpe, è quello più citato dai media, attualmente, e parla di un dato record di 74mila incendi. Ma i dati dell’Inpe si riferiscono all’intero Brasile e non all’Amazzonia in particolare. Nell’Amazzonia, l’Inpe rileva 39.033 incendi che, per quanto sia un numero molto alto e tutt’altro che rassicurante, non costituisce un “record” rispetto al passato. In prospettiva, anche i 74mila incendi rilevati in Brasile, sono solo leggermente superiori al dato rilevato nel 2016 dalla stessa Inpe (lo si vede chiaramente anche dal grafico dell’Inpe riprodotto sul sito della BBC, nonostante il titolo dell’articolo suggerisca esattamente il contrario).
Copernicus, il sistema di monitoraggio satellitare dell’Unione Europea, rileva anche l’intensità degli incendi in base alle loro emissioni di CO2 equivalenti. La serie storica ventennale dimostra come gli incendi di quest’anno siano di molto inferiori rispetto a quelli del periodo 2003-2005, poi si rileva un altro picco nel 2010 e poi un calo. Nel 2019 si rileva un aumento di emissioni rispetto agli anni immediatamente precedenti (anche qui: solo di poco superiori rispetto al 2016), ma non al livello dei primi anni 2000. Quest’anno il livello di emissioni è più basso. L’anno non è ancora finito, prima di cantar vittoria o di fasciarsi la testa si deve ancora attendere, come afferma su Twitter uno scienziato di Copernicus, Mark Parrington: “è troppo presto per dire se quest’anno è stato straordinario in termini di incendi nell’Amazzonia perché il picco delle emissioni solitamente è a settembre”.
Insomma, non si può parlare con certezza di “record di incendi in Brasile”. Ma ancor meno di responsabilità diretta di Bolsonaro. Il presidente conservatore è accusato da movimenti ecologisti, associazioni indios e dall’opposizione di sinistra di aver incoraggiato gli incendi con la sua politica per l’Amazzonia. Storicamente parlando, tuttavia, gli incendi scoppiano per errore, quando gli agricoltori danno fuoco a sterpaglie e pezzi di foresta per dar spazio al terreno coltivabile. Queste pratiche, nella stagione secca, sono illegali. Secondo l’opposizione, Bolsonaro le avrebbe incoraggiate diminuendo le sanzioni e incoraggiando lo sfruttamento (agricolo e di materie prime) dell’Amazzonia. “Il Brasile vive di materie prime, tra non molto l’agricoltore perderà la pazienza e inizierà a prendersi cura della sua vita. Venderà la terra, si impiegherà qui o all’estero e si prenderà cura della sua vita. Di cosa vivremo? Cosa abbiamo qui oltre alle materie prime? La gente non si sta svegliando su questo punto? Se questo business si sgretola tutti noi finiremo nel fango, il Brasile finisce”. Ma si tratta di una “colpa morale”? I numeri che abbiamo visto prima, non dimostrano alcuna correlazione fra le politiche di Bolsonaro e l’aumento degli incendi. All’incremento del disboscamento in Amazzonia che si è registrato negli ultimi 11 mesi (il 15% in più, complessivamente) non consegue un aumento esponenziale degli incendi.
I media hanno poi aggiunto un sensazionalismo forte, con immagini di impatto. Che però sono ai limiti delle fake news. O anche oltre i limiti delle fake news. Ad esempio sono circolate molto le foto di Sao Paulo completamente coperta dal fumo. Le foto sono vere, ma l’incendio che ha generato la nube potrebbe non essere in Brasile, bensì in Paraguay. Le foto strazianti della scimmia che ne soccorre un’altra sono prese da un incendio in India del 2017. In generale l’attenzione mediatica all’incendio di quest’anno è infinitamente superiore a quella delle scorse volte. Come dimostrano i dati, nel 2016 si è registrato un numero simile di incendi, ma non si ricorda un’analoga campagna mediatica. Idem dicasi per il triennio 2003-2005, quando si è registrato il picco di incendi dell’Amazzonia.
La risposta dei media e della politica internazionale è sproporzionata rispetto all’evento. All’incertezza che regna sulle sue reali dimensioni, gravità e cause, corrisponde un atteggiamento di condanna certa nei confronti del Brasile. Francia e Irlanda minacciano di non ratificare il trattato di libero scambio fra Ue e l’intero Mercosur finché Bolsonaro non adotterà misure più drastiche per fronteggiare gli incendi. La Finlandia, presidente di turno del Consiglio Ue, suggerisce di boicottare a livello Ue l’importazione della carne di manzo dal Brasile. Su iniziativa del presidente francese Macron, il vertice del G7 di Biarritz metterà l’Amazzonia all’ordine del giorno. Bolsonaro replica che discutere del Brasile in assenza di suoi rappresentanti è “un modo di agire coloniale”.
E in effetti lo è, perché sta tornando in auge l’idea di privare il Brasile della sovranità sull’Amazzonia che, essendo “bene dell’umanità” dovrebbe essere “internazionalizzata”. Uno dei più celebri professori di Relazioni Internazionali, Michael Walt (Università di Harvard), lo ha anche scritto, il 5 agosto scorso, su Foreign Policy. A suo avviso, questa potrebbe essere una prossima evoluzione delle relazioni fra potenze: usare ogni mezzo per la lotta al cambiamento climatico, anche la guerra. “Il Brasile possiede – per ragioni solo storiche – una risorsa globale critica e la sua distruzione arrecherebbe danno a molti altri Stati, per non dire a tutto il pianeta. Diversamente dal Belize o dal Burundi, ciò che fa il Brasile può avere un grande impatto. Ma il Brasile non è veramente una grande potenza e minacciarlo con sanzioni economiche e persino con l’uso della forza, se dovesse rifiutarsi di proteggere la sua foresta tropicale, si può fare” (Who Will Invade Brazil to Save the Amazon? Corsivo nostro). In questo dibattito, i Radicali Italiani non hanno fatto mancare la loro voce, proponendo di deferire Bolsonaro alla Corte Penale Internazionale, per crimini contro l’ambiente. Sentiremo argomenti analoghi anche nel prossimo Sinodo dell’Amazzonia?