Allusioni, ambiguità e poesia: dimmi come parli e ti dirò che Magistero è
Per dare il proprio assenso in materia di fede e di morale il credente deve capire bene ciò a cui sta dando l’assenso per poterlo fare consapevolmente. Il resto è letteratura. Dopo Amoris laetitia, anche l’Esortazione apostolica di papa Francesco sull’Amazzonia utilizza un tipo di linguaggio che enfatizza l’uso di immagini, inserzioni di poesie, concetti ambientalisti di facile presa, espressioni caricate di profetismo sociale, drastici giudizi storici. Si ritiene inutile insegnare con precisione delle verità, ritenendo che il magistero debba suscitare riflessioni, confronti e aprire cammini nuovi.
-UN DELITTO TRIBALE CHE INTERROGA di Miguel Cuartero
Il linguaggio del magistero ecclesiastico è un aspetto importante dello stesso magistero ecclesiastico. Lo stile espositivo dei documenti magisteriali, infatti, deve essere adeguato sia al contenuto che viene insegnato sia all’atto autoritativo di chi lo insegna. Parole e frasi ambigue, sfumate e diversamente interpretabili, allusive e non dichiarative, poco chiare nella loro struttura con possibilità di fraintendimenti da parte di chi vuole apprenderne l’insegnamento non sembrano adatte. I documenti che prevedono un assenso doveroso da parte del fedele devono essere chiaramente formulati, sia nel contenuto che nella forma, dato che il fedele non può sentirsi vincolato ad assentire al magistero se posto davanti a proposizioni con belle immagini sì ma dal contenuto teologico approssimativo espresso con un linguaggio incerto. Per dare il proprio assenso in materia di fede e di morale il credente deve capire bene ciò a cui sta dando l’assenso per poterlo dare consapevolmente. Il resto è letteratura.
Dal Vaticano II in poi, questo del linguaggio è diventato un problema centrale. Da quando l’intento pastorale è emerso rispetto a quello dottrinale, senza tuttavia eliminarlo ma condizionandolo, l’espressione linguistica degli insegnamenti si è fatta più imprecisa. Per mettere a fuoco correttamente alcune frasi della Gudium et spes – ad esempio – bisogna fare riferimento ad altri passi della stessa Costituzione pastorale, poi ad altri punti di altri documenti del Concilio, fino ad arrivare al Catechismo. Negli insegnamenti di Papa Francesco questo aspetto ha subito come un’impennata. L’Esortazione apostolica Amoris laetitia ne è stata forse l’esempio principale: il suo linguaggio è ricco di immagini ad effetto, utilizza strumenti retorici di vario genere, pone domande a cui non risponde, adopera spesso iperboli ed estremizzazioni, allude a criteri e soluzioni che non esplicita, le parole vengono adoperate con libertà e secondo codici diversi, come quando, per esempio, vengono chiamate “situazioni familiari” le coppie di fatto e le unioni tra persone dello stesso sesso. In questo modo il fedele non comprende con chiarezza quale sia l’esatto insegnamento al punto che, come è ormai noto, Amoris laetitia voleva dire quello che però espressamente non ha detto. Il magistero non dovrebbe insinuare ma affermare.
Ormai sappiamo che il problema nasce dal desiderio di far emergere le indicazioni pastorali dall’interno delle situazioni esistenziali. Un linguaggio preciso – così si pensa - sarebbe in grado di definire delle verità astratte di fede e di morale, ma non sarebbe capace di far emergere le concrete situazioni di vita in cui si dovrebbe viverle. Per lo stesso motivo si ritiene inutile insegnare con precisione delle verità, ritenendo che il magistero debba piuttosto suscitare riflessioni, confronti e aprire cammini nuovi. Una volta comprese queste motivazioni, bisogna però chiedersi se questo sia il vero ruolo del magistero ecclesiastico e se un linguaggio finalizzato a questi scopi non rischi di confondere.
Anche l’Esortazione apostolica di papa Francesco sull’Amazzonia utilizza questo tipo di linguaggio e lo enfatizza con l’uso di immagini, inserzioni di poesie, concetti ambientalisti di facile presa, espressioni caricate di profetismo sociale, drastici giudizi storici che colpiscono ma che sembrano improvvisati, immagini dall’impatto lirico: “Dalle vette più alte della cordigliera, dove le nevi sono eterne, l’acqua scorre e traccia un solco vibrante nella pelle antica della pietra: il Rio delle Amazzoni è appena nato. Nasce ad ogni istante. Discende lenta, sinuosa luce, per crescere nella terra…”.
Nell’Esortazione sono illustrati quattro “sogni”, ma che significato magisteriale deve essere dato a questa parola? Il quarto sogno concernente “l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna [l’Amazzonia], la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste”: cosa vuol dire? Che i “popoli originari dell’Amazzonia possiedono un forte senso comunitario” è una espressione che fa presa ma è anche molto imprecisa. Cosa comporta “coniugare la saggezza ancestrale con le conoscenze tecniche contemporanee”? oppure riconoscere l’Amazzonia “come un mistero sacro”?
Come mai nel linguaggio di una Esortazione apostolica trova spazio l’espressione “Madre Terra”?; perché si citano poeti come Neruda e de Moraes?; per esprimere la contemplazione della natura è veramente utile adoperare espressioni come questa?: “se entriamo in comunione con la foresta, facilmente la nostra voce si unirà alla sua e si trasformerà in preghiera: «Coricati all’ombra di un vecchio eucalipto, la nostra preghiera di luce s’immerge nel canto di fronde eterne»”.
È anche strano che, mentre l’Esortazione non fa proprio il documento finale del Sinodo, si dica nei primi paragrafi che l’intero cammino sinodale deve avere una ricezione armoniosa, creativa e fruttuosa; che il documento finale deve essere letto integralmente; che bisogna impegnarsi nella sua applicazione e che deve ispirare tutte le persone di buona volontà. Per rimanere sempre nel campo espressivo, è anche strano che la nota 120 – ancora una nota, come in Amoris laetitia – si ricordi che “nel Sinodo è emersa la proposta di elaborare un rito amazzonico”, il che potrebbe essere collegato ai “viri probati”.
Problemi di linguaggio certamente. Ma i problemi di linguaggio non sono mai solo di linguaggio.