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Alle Olimpiadi liberi tutti: in pista atleti transex

L’importante è partecipare, non vincere. E non è nemmeno importante che tu come atleta maschio partecipi solo a gare maschili. Quindi il motto del barone Pierre de Coubertin, in vista delle imminenti Olimpiadi di Rio, dovrà essere riaggiustato, secondo le nuove mode del sessualmente corretto.

Sport 18_07_2016
Il logo delle Olimpiadi di Rio 2016

L’importante è partecipare, non vincere. E non è nemmeno importante che tu come atleta maschio partecipi solo a gare maschili. L’importante è appunto partecipare, magari come maschietto che compete con le donne. Quindi il brocardo del barone de Coubertin, in vista delle imminenti Olimpiadi di Rio, probabilmente dovrà subire degli aggiustamenti secondo le nuove mode del sessualmente corretto.

Ne avevamo già parlato (clicca qui).  Il Comitato Olimpico Internazionale (Coi) ha previsto che per partecipare a gare femminili il testosterone dovrà essere inferiore a 10 nanogrammi per litro e tale livello dovrà essere tenuto costante per un anno intero. Quello che fa fede quindi non è il sesso biologico, né quello anagrafico, ma la quantità di testosterone in corpo. La decisione è stata presa sia perché nel passato c’erano state gare vinte da atlete affette probabilmente da iperandrogenismo o da pseduoermafroditismo: donne fisiologicamente con tratti androgini, tanto per semplificare, e quindi con una marcia in più in pista. Sia perché il divieto di non discriminazione è omnicomprensivo e deve perciò essere applicato anche alle Olimpiadi: i transessuali possono partecipare alle batterie maschili o femminili? 

Altro che to be or not to be. Il dilemma, fino alla scorsa edizione delle Olimpiadi, veniva risolto  facendo riferimento al criterio della rettificazione sessuale perfezionata con l’operazione chirurgica. Ma ora le regole, come abbiamo visto, sono cambiate. La domanda non è peregrina perché il Daily Mail ha reso noto che due atleti maschi, di cui non si conosce il nome, potrebbero gareggiare ad agosto per la Gran Bretagna come transessuali femmine. Atleti che hanno già figurato come partecipanti in competizioni internazionali tra le fila delle squadre femminili. Come si appuntava, non è necessario che gli atleti maschi abbiano subito la castrazione per gareggiare con le donne, è sufficiente che abbiano un basso livello di testosterone. 

L’ideologia gioca una larga parte in questa decisione: «Dobbiamo assicurare il più possibile», fanno sapere quelli del Coi, «che gli atleti transgender non siano esclusi dallo sport. Al fine di tutelare la concorrenza leale non sono necessarie, come pre-condizione per la partecipazione, modificazioni anatomiche chirurgiche, dato che tali modifiche possono essere in contrasto con la linea evolutiva delle legislazioni e con la nozione di diritti umani». Tradotto: costringere un maschio a evirarsi per partecipare a gare femminili è contrario ai diritti fondamentali dell’uomo. In breve, basta un’autocertificazione per dirsi femmina e non avere molti ormoni maschili in circolo (porte aperte quindi ai furbetti che abbassandosi il livello di ormoni potranno primeggiare nelle gare femminili). Chiedere di più sarebbe discriminatorio.

Il problema sta nel fatto che, in queste Transolimpiadi, ad essere discriminate saranno proprio le donne, quelle vere, quelle biologiche tanto per intenderci. Perché non basta un tasso basso di testosterone per rendere uguale un maschio a una femmina. Rimane, infatti, il fatto che i maschi sono il 30% più forti delle donne, hanno una maggiore densità ossea, hanno un baricentro più alto, una maggiore massa muscolare. Vi sarà capitato di incontrare per strada una persona transessuale: anche se imbottita di ormoni femminili, l’aspetto è quello di un omaccione vestito da donna. E dunque per non dispiacere alle lobby omo e transessualiste forse a Rio dovremmo aspettarci nuovi record mondiali nella corsa, nel nuoto, nel salto in alto e in lungo. Ed anche nella follia ideologica, il cui tasso, in coloro che hanno avuto questa bella pensata, è sicuramente superiore ai 10 nanogrammi per litro.

Sono le differenze fisiche tra maschio e femmina che hanno imposto categorie agonistiche distinte in base al sesso. Affermazione evidente, quasi banale. Ma l’evidenza lascia il passo all’uomo nuovo, né maschio né femmina. E così la parità dei diritti sfocerà nella disparità delle uguali condizioni di gara. L’egualitarismo scolorerà nella concorrenza sleale.

La piallatrice dell’ideologia gender quindi ci porterà alle Olimpiadi unisex. Lo scenario futuro è l’abolizione delle divisioni tra gare maschili e femminili perché retaggio di un approccio sessista allo sport. La neutralizzazione sessual-identitaria prevedrà batterie in cui si gareggerà tutti contro tutte. Nello sport non conterà più il merito e il sudore ma solo la chimica. Sarà solo questione di ormoni e di politica.