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DOPO IL VOTO

Alla Francia non piace l'Europa dei mercati

L'affermazione forte del comunista Melenchon e pure della Destra
di Marine Le Pen non sono la vittoria dell'antipolitica, ma dell'ultrapolitica.

Attualità 24_04_2012
Elezioni francesi

Nei sistemi elettorali a due turni il primo turno costituisce un grande sondaggio di opinione, il secondo serve a eleggere veramente chi deve occupare la carica pubblica in questione. Il primo turno delle presidenziali francesi ha detto soprattutto questo, per unanime ammissione dei media internazionali: che esiste una percentuale molto rilevante di elettori che non ama la tecnocrazia, la burocrazia di Bruxelles, le ricette lacrime e sangue della Banca Centrale Europea, i partiti ridotti a comitati elettorali che anziché proporre valori e identità si presentano ciascuno come il migliore interprete delle volontà dei «mercati» internazionali, inflessibili carnefici sempre pronti a far fare «la fine della Grecia» a chi capisce male o in ritardo i loro segnali.

Un terzo degli elettori francesi ha espresso questo rifiuto. A parte chi ha scelto candidati minori, l'11% ha votato per il candidato comunista Jean-Luc Melenchon e quasi il 19% per la candidata di destra Marine Le Pen, salutata dai media come la vera vincitrice delle elezioni. Attenzione: non si tratta di anti-politica, ma di ultra-politica. Melenchon non è Beppe Grillo, è un comunista le cui formule politiche sono quanto di più tradizionale e fedele alle sue vecchie radici marxiste la sinistra europea sia oggi in grado di offrire. E Marine Le Pen guida a sua volta un partito vero, strutturato, organizzato sul territorio e che esiste da quarant'anni. I successi di Melenchon - per la verità più contenuto del previsto - e di Marine Le Pen - questo sì clamoroso - non vanno confusi con quelli di liste di protesta anti-politiche che sono emerse in altri Paesi. La nostalgia d'identità comunista nella sinistra si è del resto manifestata anche altrove.

E Marine Le Pen? Demonizzarla come razzista, xenofoba o «fascista» non serve. Nessuno può davvero pensare che un francese su cinque, votando Le Pen, si sia dichiarato razzista o nostalgico dell'occupazione nazista. Gli elettori della signora Le Pen sono, semplicemente, elettori di destra. Anche questi esistono in tutta Europa, anche se non sempre trovano adeguata rappresentanza. Vorrebbero più identità nazionale e meno euro-burocrazia, più controllo dell'immigrazione, ma anche più valori.

Ci sono interessanti studi sugli elettori di Marine Le Pen e del suo partito in Francia. Molti di loro sono più «a destra» della loro candidata, specie sul tema dei valori non negoziabili. Che Marine si sia sposata e abbia divorziato due volte e oggi viva con un terzo compagno non è solo un dettaglio per questi elettori, ma sono più sgradite le sue posizioni in tema di aborto: certo, propone aiuti alle madri in difficoltà e minori finanziamenti per l'aborto facile, ma afferma pure che la legislazione abortista non può e non deve essere messa in discussione. Gli stessi elettori apprezzano la sua difesa della libertà di educazione - cioè, in Francia come altrove, delle scuole cattoliche - ma restano talora sconcertati dalle sue tirate a favore della tradizione laicista francese, per quanto queste siano spesso giocate in funzione tattica anti-musulmana, chiedendo la «separazione dello Stato dalla moschea».

Marine Le Pen è cresciuta. Non è ancora al traguardo, ma è sulla buona strada per «sdoganare» la destra francese e rendere credibile l'ipotesi che possa un giorno governare. Qualche volta si ha però l'impressione che - ispirandosi alla «svolta di Fiuggi» di Gianfranco Fini - di Fini rischi di ripetere anche gli errori. Vanno benissimo le condanne del razzismo e del nazismo. Ma per «sdoganarsi» non è obbligatorio parlare bene del laicismo o mostrarsi tiepidi su vita e famiglia. I professionisti del laicismo e dell'ideologia radicale non voteranno comunque per Marine Le Pen, e certe posizioni rischiano di mettere in fuga i cattolici.

Già, i cattolici. A ogni elezione si ripete in Francia che sono irrilevanti, in un Paese che insieme alla Repubblica Ceca è il fanalino di coda del mondo per partecipazione ai riti religiosi. Tuttavia non bisogna confondere pratica domenicale - bassissima in Francia - ed eredità culturale cattolica. Come dimostrano gli studi di sociologi del calibro di Émile Poulat e Danièle Hervieu-Léger, la «civilisation paroissiale», il tessuto un tempo efficiente delle parrocchie per la trasmissione della fede è quasi a rischio di estinzione in Francia. Ma resta una religione come memoria, resta anche presso tanti non praticanti una cultura cattolica, un residuo di valori, perfino una simpatia per il Papa. La percentuale di anti-abortisti in Francia, per esempio, è certamente più alta di quella dei cattolici praticanti.
Anche se oggi ci sono fortunate eccezioni, tanti documenti di esponenti e associazioni ecclesiali francesi in tema politico e sociale sono davvero irrilevanti, perché ripetono stancamente un generico progressismo e slogan sulla pace, la tolleranza e l'accoglienza degli immigrati che non sono sempre sbagliati in sé, ma sono lontanissimi dalle preoccupazioni del francese medio nel 2012, anche del francese che ha ancora un'interesse per la Chiesa. A questi francesi Marine Le Pen, nonostante i suoi due divorzi, ha ora una grande occasione per parlare. Ma è un'occasione che può sprecare, commettendo diversi generi di errori.

Oltre all'apologia del laicismo, c'è anche l'eccessiva ostentazione dei legami con i tradizionalisti della Fraternità Sacerdotale San Pio X, il ricordo nelle interviste che i suoi tre figli sono stati battezzati a Saint Nicolas du Chardonnet a Parigi, la chiesa «occupata» dai lefebvriani. La presenza alle sue manifestazioni di gruppi e associazioni cattolico-tradizionaliste, la cui consistenza in Francia è notevole e non va affatto sottovalutata, fa certamente piacere a Marine Le Pen. Ma «sdoganarsi» significa anche costruire un rapporto con il mondo cattolico che non può passare esclusivamente per i tradizionalisti, i quali - anche nell'auspicata ipotesi di una prossima riconciliazione con la Santa Sede - rimarranno, per usare un eufemismo, poco simpatici alla maggioranza dei vescovi francesi. Marine Le Pen può considerare i vescovi irrimediabilmente ostili alla destra e inavvicinabili. Certamente nessun vescovo in Francia si sogna di considerare come un interlocutore lei o il suo partito come sono oggi. Questo, però, era vero anche per la destra italiana prima di Fiuggi. Poi, le cose sono cambiate.

Ma un processo di crescita e uno «sdoganamento» presuppone anche un tentativo di rapporto con il mondo cattolico nel suo insieme - non solo con espressioni «di frangia», per quanto numericamente consistenti -: un rapporto che non può certo ignorare le espressioni istituzionali e l'episcopato, che per di più nell'epoca di Benedetto XVI anche in Francia non è più quello degli anni 1970 o 1980. A Marine serve dunque ancora uno sforzo per puntare la prossima volta non a un'onorevolissima partecipazione alle elezioni, ma alla vittoria.